La fede della Chiesa e dei credenti. Considerazioni in margine al Sinodo della Chiesa italiana

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Il Sinodo italiano finora ha parlato molto poco della presenza della Chiesa, e dunque dei cattolici, all’esterno delle mura ecclesiali, nella vita ordinaria di tutti gli uomini. Così continua a prevalere nei fedeli laici un atteggiamento passivo, e la Chiesa continua ad apparire, ed essere, una struttura che eroga servizi ai fedeli che la frequentano

 

 

 

Dai resoconti relativi alla prima fase del Sinodo ho tratto la sensazione che si sia prevalentemente parlato della realtà interna alla Chiesa, della sua struttura, della sua organizzazione, delle problematiche relative ai rapporti con i credenti e molto meno della presenza della Chiesa all’esterno, nella vita quotidiana, ordinaria del mondo degli uomini. Qui, a mio parere, sta soprattutto la esigenza di rinnovamento della Chiesa, fondata da Cristo per realizzare la Sua presenza ed il Suo annuncio fra gli uomini di ogni tempo. L’indifferenza, più che la contrarietà, che oggi caratterizza l’atteggiamento delle persone nei confronti della Chiesa riduce la possibilità che gli eventi ecclesiali costituiscano lo strumento più efficace per annunciare il Vangelo e trasmettere la fede.

La “Chiesa in uscita”, a cui esorta papa Francesco, deve realizzarsi attraverso la fede dei credenti, particolarmente dei laici. D’altra parte occorre che prendiamo seriamente e riscopriamo il senso delle affermazioni del Magistero della Chiesa a cui, oggi più che mai, occorre dare concretezza: “Tutti i cristiani infatti, dovunque vivano, sono tenuti a manifestare, con l’esempio della loro vita e con la testimonianza della loro parola, l’uomo nuovo di cui sono rivestiti nel Battesimo….” (Ad Gentes 11) “I laici sono da Dio chiamati a contribuire, quasi dall’interno a modo di fermento, alla santificazione del mondo…” (Lumen Gentium 31). Vengono alla mente le immagini del Vangelo riguardo alla nascita del Regno di Dio – seme, lievito – e alla sua manifestazione efficace e contagiosa nelle figure del sale, della lampada, attribuite da Gesù ai discepoli, i primi fedeli. La partecipazione alla funzione “profetica, sacerdotale e regale” di Cristo identifica i fedeli con la Chiesa e ne fa il mezzo insostituibile di presenza nel mondo e quindi di annuncio, con le modalità proprie dei fedeli laici, della Parola di salvezza. E’ appassionante l’appello di papa Giovanni Paolo II nella Christifideles laici: “…ciò sarà possibile se i fedeli laici sapranno superare in se stessi la frattura tra il Vangelo e la vita, ricomponendo nella loro quotidiana attività in famiglia, sul lavoro e nella società, l’unità di una vita che nel Vangelo trova ispirazione e forza per realizzarsi in pienezza. A tutti gli uomini contemporanei ripeto, ancora una volta, il grido appassionato con il quale ho iniziato il mio servizio pastorale: ‘Non abbiate paura! Aprite, anzi, spalancate le porte a Cristo! Alla sua salvatrice potestà aprite i confini degli stati, i sistemi economici come quelli politici, i vasti campi di cultura, di civiltà, di sviluppo. Non abbiate paura! Cristo sa cosa c’è dentro l’uomo. Solo lui lo sa!’” (Christisfideles laici n. 34).

Papa Francesco dedica alla Chiesa che evangelizza la sua esortazione apostolica Evangelii Gaudium, dove l’annuncio del Vangelo è gioia: “La Chiesa ‘in uscita’ è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano…” (EG n. 24); “C’è una forma di predicazione che compete a tutti noi come impegno quotidiano… è la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione… Essere discepolo significa avere la disposizione permanente di portare agli altri l’amore di Gesù e questo avviene spontaneamente in qualsiasi luogo, nella via, nella piazza, al lavoro, in una strada” (EG n. 127).

Senza dubbio oggi questa coscienza di essere Chiesa, parte costitutiva di essa, di condividerne la missione nel mondo, di essere gli strumenti indispensabili di tale missione, non è molto presente nei fedeli laici: è prevalente un atteggiamento passivo, di ascoltatori e fruitori di un servizio reso da “addetti” a tale ministero, una Chiesa struttura che eroga servizi ai fedeli che la frequentano e che, se ne hanno il tempo e la disponibilità, possono prestarsi per coadiuvare i “ministri” nella erogazione dei servizi: cosa senz’altro buona e necessaria ma che non può esaurire la missione dei fedeli laici, in modo particolare nel nostro tempo. L’immagine di una Chiesa in uscita è quella di una Chiesa diffusa, presente in ogni credente che la vive e la rende attuale in ogni ambito della sua quotidianità: quello familiare dove è evidente il valore della convivenza e della condivisione; ambiti in cui si realizza la trasmissione della fede con la parola e soprattutto con la testimonianza della vita; quello della professione e del lavoro dove si realizza il rapporto con l’altro e il rapporto con le cose, con l’interesse proprio e quello degli altri, dove la fede prende forma concreta nell’uso del denaro e del tempo. Si tratta di rendere sensibili i credenti a questa funzione che richiama la loro responsabilità, dà un significato sempre nuovo alla loro vita, un significato affascinante e tutt’altro che deprimente.  San Pietro, nelle sue lettere, esalta il valore della testimonianza di fede dei credentia cui dice di essere “pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi” (1 Pt. 3,15).

Non c’è dubbio che la Chiesa debba favorire questa visione modificando qualcosa del proprio modo ordinario di vita. L’assemblea eucaristica domenicale, che riunisce il “popolo di Dio” nella celebrazione del mistero su cui si fonda la sua fede, è un’assemblea di fedeli che vivono, ciascuno nella propria misura, la  fede nel mondo e in questa realtà si sentono interpellati dalla Parola e dall’omelia che ne guida la comprensione; in questa assemblea si incontrano fra loro e si sostengono reciprocamente. La partecipazione alla celebrazione dell’Eucaristia rinnova e rinforza la loro fede e la loro appartenenza al popolo di Dio.

Assume grande evidenza la fede di ogni credente che è centrale nella vita della Chiesa: è la presenza e l’esercizio di questa fede che rende la Chiesa interessante, efficace e credibile, piuttosto che gli eventi organizzati, che sono solamente strumenti che dovrebbero manifestare la fede dei credenti. L’attività caritativa a favore dei deboli e dei poveri non può esaurire la testimonianza di fede dei credenti. Ed è la fede che caratterizza ogni fedele in ogni ambito della sua vita, compreso quello pubblico e politico; non è l’intelligenza, la saggezza o una capacità particolare.

Ma la fede deve essere alimentata e un frequente rapporto con la Parola, fatto di lettura, riflessione, confronto e dialogo con gli altri può essere la via più indicata: incontri in Parrocchia, incontri in famiglia, incontri fra credenti, magari in gruppi che si ritrovano con frequenza nei luoghi di vita dei fedeli. E’ in questi luoghi, non solamente in Parrocchia, che si realizza la presenza quotidiana della Chiesa. E credo sia importante anche il metodo di approccio alla Parola ed alla proposta di fede: non è più il tempo in cui era sufficiente ed accettata la parola indiscutibile del presbitero, del catechista o dell’oratore di turno, credo che debba prevalere la coscienza del mistero da sondare. Lo Spirito ci è stato promesso e donato perché ci guidi, in comunione fra noi, col presbitero ed il catechista, in questa cammino di scoperta che, qui ed ora, non ha un suo punto terminale ma affascina e motiva la nostra fede. Penso soprattutto ai giovani che credo debbano incontrare una Chiesa in ricerca piuttosto che una Chiesa che propone verità indiscutibili. E’ la ricerca che crea interesse ed è l’interesse che fa crescere!

Quando Gesù diede il mandato a Pietro di “pascere” le sue pecore ed i suoi agnelli credo che facesse riferimento a tutte le persone generate nel mondo, non solamente ad un ristretto numero di fedeli riuniti nella Chiesa, nel “popolo” eletto, a cui assicurare un utile e buon servizio pastorale tramite alcuni benemeriti ministri di cui, nel nostro tempo, si riduce il numero con il venir meno della fede. E per questo, quando parlò del Regno dei cieli, Gesù fece riferimento al grande albero che nasce dal minuscolo granello di senape (Mc. 4, 30-32), il granello che è portato da ogni piccolo fedele, e diventa più grande di tutte le altre piante dell’orto, e gli uccelli del cielo vengono a fare il nido fra i suoi rami: un albero che supera gli spazi limitati delle strutture ecclesiali e raggiunge, potenzialmente, ogni luogo di vita delle creature che trovano, in quei rami, la propria dimora ideale!

Mi ha sempre impressionato l’interrogativo che Gesù, secondo il racconto evangelico, si pone in modo improvviso: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà la fede sulla terra?“ (Lc. 18, 8). Si tratta di un interrogativo che riguarda la Chiesa e quindi ogni credente che ne realizza la presenza sulla terra.

 

Pier Giorgio Maiardi

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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  1. Grazie della bella riflessione che mi trova profondamente in accordo. Vorrei aggiungere solo, al terzultimo ultimo paragrafo, che “il cammino di scoperta” in cui “lo Spirito ci guida” non solo può risultare affascinante in quanto metodo attivante e che suscita interesse; c’è di più ancora. Ci invita a seguire un metodo che è caratteristica intrinseca del Regno e di Gesù che viene: il fatto di proporsi come novità che noi non possiamo conoscere in anticipo, proprio perché è realtà in continuo divenire e in continua crescita ad opera dello Spirito che illumina e di ciascuno di noi che accetta di operare e collaborare. L’opera dello Spirito, lo sappiamo, non viene meno; più fragile e a volte titubante è l’opera nostra: ma il Creatore non ne ha voluto far a meno. Su come aiutarci tra noi ad essere collaboratori evangelicamente più “fedeli” dovrebbe vertere, a mio parere, almeno una parte del dibattito sinodale.

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