Il piano Draghi: positività e interrogativi

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di Sandro Antoniazzi

Il Rapporto Draghi rappresenta un contributo rilevante per le prospettive macroeconomiche dell’Europa, perché fornisce un quadro che si può definire completo dei suoi problemi, ritardi, possibilità.

Come noto, si incentra su tre grandi questioni: l’innovazione, particolarmente quella digitale; l’energia, che comprende la decarbonizzazione; la sicurezza, soprattutto nel campo della difesa.

Il quadro descritto è molto preoccupante, innanzitutto a causa del venir meno di alcune condizioni sociopolitiche: si manifesta un ristagno della globalizzazione, sono diminuiti i redditi da lavoro, crescono le grandi città, ma con il parallelo impoverimento dei centri minori.

Ma soprattutto è da tempo che l’Europa cresce poco in confronto con le due grandi potenze mondiali, gli USA e la Cina: in Europa sono più bassi sia il PIL che la produttività.

Nel campo dell’innovazione fra le cinquanta maggiori imprese che operano nel digitale solo quattro sono europee e nel nuovo settore dell’informatica quantistica nessuna delle dieci aziende più significative è europea.

La causa di questa situazione è vista dal Rapporto in una struttura industriale statica e con rilevanti carenze a livello di scala; negli ultimi cinquant’anni nei settori innovativi non si è formata neppure un’azienda con oltre cento miliardi di capitalizzazione mentre negli USA ne sono sorte sei oltre i mille miliardi.

Inoltre, un grande problema europeo è la molteplicità delle regolazioni che rende difficile alle medie aziende di aumentare di scala e di diventare europee (spesso evitano di farlo per via degli ostacoli).

Nel campo dell’energia abbiamo costi che sono circa tre volte quegli degli USA e che salgono a cinque volte per il gas.

I problemi europei sono da imputare al peso del gas sul prezzo dell’energia; ai tempi di autorizzazione per gli impianti di energie rinnovabili; al gravame delle imposte; inoltre, nei settori applicativi, come quello dei trasporti, siamo in ritardo per le tecnologie (la Cina è molto più avanti nelle batterie e nell’intero settore dell’automotive).

Il Piano Draghi esprime naturalmente anche i rimedi da attuare come gli acquisti collettivi europei a lungo termine e la scissione del prezzo dell’energia pulita dal prezzo del gas.

Per la difesa il problema principale che si pone è quello della frammentazione; vene portato in proposito l’esempio dei carri armati: l’Europa presenta ben dodici diversi tipi di carri armati contro uno solo degli USA.

Per realizzare questo piano occorrono capitali ingenti (si parla di ottocento miliardi di euro) e una governance che gestisca l’intero processo (si pensa a una “Competitiviness Coordination Framework” cui farebbe capo il coordinamento di tutte le politiche riguardanti gli obiettivi stabiliti).

Gli investimenti sono sia pubblici, già oggi consistenti ma tutti di carattere nazionale, che privati, che ora preferiscono rivolgersi all’estero (soprattutto USA) dove trovano aziende maggiormente profittevoli.

Ho riassunto molto schematicamente il Rapporto che si presenta molto articolato e dettagliato, al fine di avere un quadro d’assieme per una valutazione.

Molti sono i meriti e molte sono anche le proposte condivisibili del Piano Draghi; l’Europa ha assolutamente bisogno di darsi una mossa sul piano delle politiche industriali, digitali ed energetiche, mentre sembra troppo ferma sugli splendori passati.

Però evidentemente si aprono anche seri problemi che meritano una seria discussione: in proposito si presenta particolarmente interessante uno studio del Forum Diseguaglianze e Diversità dal titolo “Piano Draghi: non ci siamo”.

Il Rapporto Draghi è particolarmente concentrato sul confronto con gli USA, che vengono presi sostanzialmente da modello, ma il sistema USA ha anche molti difetti mentre non si tiene abbastanza conto delle peculiarità positive europee.

L’idea che occorra puntare su grandi aziende (gli unicorni) avrebbe in Europa parecchie conseguenze negative, sia per la concentrazione di potere (e al riguardo gli USA sono un cattivo esempio) sia perché il nostro sistema fatto prevalentemente da medie aziende si presenta più decentrato e dunque anche più vicino ai territori e alle persone.

Una critica molto rilevante riguarda il tema della democrazia: ridurre i tempi di approvazione e semplificare le procedure può ridurre la possibiità di interventi correttivi; lo squilibrio di potere che può delinearsi con la formazione di grandi imprese non è facile da riequilibrare; il Parlamento è quasi totalmente escluso dal processo.

Estremamente preoccupante è poi la realizzazione di un simile progetto nel campo della difesa dove si concentrerebbero le più avanzate innovazioni tecnologiche e dell’Intelligenza Artificiale, dando vita a un potere difficilmente controllabile.

Infine, non certo ultima per importanza, sta la questione sociale che viene citata, ma si può dire in termini tradizionali, cioè non come un soggetto e un fattore di sviluppo, ma come un problema da tenere presente e dipendente dallo sviluppo stesso; così lo welfare si presenterebbe come una questione ex-post, secondo la ben nota logica dei due tempi.

Appare evidente che, se non viene considerata già prima al centro dei progetti che si promuovono, rivestirà sempre un carattere marginale.

Per concludere, il Piano Draghi è sicuramente di grande valore, ma non va assunto senza un esame critico.

Purtroppo, non esiste tutt’oggi una vera opinione pubblica europea e un dibattito pubblico a questo livello, ma è importante sviluppare analisi critiche come quella del Forum Diseguaglianze e Diversità.

Solo se le politiche che si assumeranno saranno state valutate a livello democratico, si può pensare che l’onerosa transizione pensata possa essere accettata e portare non solo maggiore efficienza, ma anche maggiore benessere e fiducia ai cittadini europei.

 

 

 

 

 

 

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