di Sandro Antoniazzi
Nella recente Festa dell’Unità di Reggio Emilia, Elly Schlein ha iniziato a proporre alcune linee programmatiche per le future elezioni politiche; ciò significa che il PD comincia a prepararsi per il futuro confronto.
Cosa occorre al PD per essere pronto a questa scadenza e arrivarci in grado di poter competere seriamente?
Esprimo a riguardo alcune considerazioni che riassumo in tre punti.
La prima questione è una piattaforma politica, un pensiero politico, un robusto programma per il paese.
Le proposte attuali della Schlein sono soprattutto sociali, scelta giusta perché consente di recuperare consenso popolare (come è avvenuto nelle elezioni europee).
Ma chiaramente non ci si può fermare a questo: già a Reggio tra i temi programmatici ha fatto capolino anche l’industria; è un segnale di attenzione per i problemi più ampi, che sono molti, l’economia, l’ambiente, l’energia, la guerra, l’Europa, le questioni internazionali…
Il metodo della Schlein sembra induttivo: partire dai problemi concreti e da questi risalire alle idee generali, piuttosto che scrivere documenti di principi che spesso rimangono lettera morta.
Ogni metodo è valido purché porti al risultato e purché serva ad affrontare i problemi, sapendo che ci sono problemi spinosi che oggi sono a carico di chi governa, ma domani saranno a carico del nuovo governo (primo tra tutti il debito pubblico, e poi il costo dell’energia che da noi è più alto che negli altri paesi, la produttività che in Italia è bassa e cresce poco, ecc.).
Il secondo problema riguarda lo schieramento delle forze su cui sarà possibile contare.
Il PD è nato come partito di centro sinistra, ma in questo momento si qualifica piuttosto a sinistra: c’è un assoluto bisogno di stringere alleanze coi partiti di centro.
Qualcosa si muove in questo senso, anche perché il sistema è polarizzato (e se passasse il premierato sarebbe addirittura congelato in una maggioranza blindata e in un’opposizione insignificante) e pertanto i partiti di centro devono decidere di essere di centro-sinistra o di centro-destra (come ha capito bene Tajani che infatti guadagna voti).
Il PD, dunque, deve sviluppare queste alleanze. In proposito suggerirei di lascia perdere l’immagine del campo largo: sembra che si tratti di aderire al campo largo – cioè, a una cosa già esistente, fatta da altri, esclusiva e vincolante – mentre si tratta di allearsi ognuno nel modo e nelle forme che ritiene adatti. Si deve aderire a un’alleanza, non al campo largo.
Ciò forse renderebbe più facile i rapporti coi diversi partiti, coi 5S in costante fermento, con Renzi e il suo passato criticabile, con Calenda dalle posizioni sempre piuttosto rigide.
Quello che conta sarà convergere su un programma comune e su questo occorre lavorare fin d’ora.
In terzo luogo, bisogna ricordare che non di solo pane vive l’uomo, ma anche di ideali.
La destra, a mio parere, raccoglie consensi non tanto per il suo programma pratico, ma per i suoi valori, che sono certamente tradizionali (rimangono Dio, patria, famiglia, un po’ rimodellati), ma che fanno presa, in particolare il nazionalismo come difesa dell’identità e degli interessi del paese.
La sinistra, abbandonati i valori di un tempo ormai superati, fa fatica a presentare un orizzonte coerente di ideali: quello in cui crede è un miscuglio di affermazione di diritti, propensione al sociale, attenzione al lavoro (poca), maggiore internazionalismo, però generale.
C’è molto da lavorare a sinistra per dotarsi di una cultura comune all’altezza dei problemi attuali.
Non si tratta di un problema astratto perché la cultura è una forza (lo dimostra la cultura che la sinistra ha avuto per oltre cento anni) ed è una forza necessaria se si vuole competere per vincere.