Il dibattito su “incidenza” dei cattolici in politica: qualche ulteriore chiave di lettura

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Quattro tracce per interrogarsi su come valutare effettivamente (e come affrontare) la sempre lamentata scarsa incidenza dei cattolici nella vita del Paese. In che cosa consiste “incidere”? Come misurarlo? E perché è così difficile fare rete tra cattolici impegnati e realtà ecclesiali? E ancora: perché non si tiene mai conto dell’impegno di tanti cattolici nelle amministrazioni locali?

 

 

A fasi alterne e con maggiore intensità con l’avvicinarsi di appuntamenti elettorali, emergono numerosi e autorevoli commenti e analisi sulla “presenza” e “incidenza” (di solito lamentata come mancante o insufficiente) dei cattolici nella vita del Paese. Tutti i contributi dicono più o meno qualcosa di vero ma devo dire che ho trovato interessante, anche perché un po’ diversa da altre, la riflessione di Luigi Alici, seppure anch’egli sia molto efficace nell’analisi e nell’individuare l’obiettivo di fondo ma meno definito nelle modalità con cui perseguirlo: sarebbe bello che ci donasse un secondo contributo per aiutarci a delineare alcune piste di lavoro.

Con molta umiltà, mi permetto di portare anch’io una piccola riflessione.

1.

In molti contributi che ho letto non è molto chiaro in cosa i cattolici non siano o sarebbero (più?) “capaci di incidere” politicamente e quali dovrebbero essere i temi e gli ambiti in cui questo dovrebbe avvenire. Perché è evidente che non tutti i credenti  la pensano allo stesso modo su tutti i problemi e il modo di interpretare la propria missione di politico cattolico – persino della stessa area politica – non è detto sia identico.

Mi spiego con un esempio banale: un ministro alle infrastrutture è più “incisivo”, come cattolico, se fa costruire nuove strade, dando lavoro e “sviluppo” ma aumentando l’inquinamento, o se ne fa costruire di meno, deludendo magari parte consistente di una popolazione ma salvaguardando di più l’ambiente? Per risalire dall’esempio banale al problema generale, non è immediato e non è semplice, di fronte a molti problemi concreti, stabilire in cosa un cattolico è più “incisivo”, in quanto credente, rispetto a un altro. Il fatto è che questa non è una novità: era così anche ai tempi della DC, solo che ce ne accorgevamo meno perché quasi tutti i politici credenti militavano in quel partito.

Quindi per “misurare” l’incidenza dei cattolici sulla politica e stabilire quanto le loro idee e proposte influiscano, bisognerebbe enucleare alcuni temi dirimenti – che non possono essere limitati alle pur fondamentali questioni sensibili in materia di vita, di educazione e di relazioni interpersonali, ma che devono comprendere la pace, la giustizia sociale, l’ ambiente, la solidarietà ecc. ecc. – e capire se chi ha partecipato con ruoli di responsabilità alla vita politica e, in generale, la spinta della comunità cristiana, hanno ottenuto risultati, ovviamente non  nei termini di una lobby ma a favore del bene comune. Ma questo presuppone appunto di essere d’accordo, come cattolici, almeno su alcuni obiettivi ritenuti prioritari. Il che non è scontato né immediato, nonostante le diverse encicliche (soprattutto le ultime), visto che ci sono cattolici, a destra, che non hanno nessuna remora ad affermare che i migranti vanno ricacciati indietro con navi da guerra.

Almeno, però, si potrebbe iniziare da chi già condivide una sensibilità più o meno simile – chiamiamola cattolico democratica e sociale. Abbiamo la capacità e la forza di fare questa opera di discernimento comunitario? E’ impensabile elaborare un’agenda o almeno una road map di contenuti, che non potrà essere troppo precisa e vincolante sul piano personale ma nemmeno troppo generica (e che non si traduca nei “valori non negoziabili!”), sulla quale provare ad agire assieme, ognuno nel proprio ruolo?

2.

A complicare le cose ci sono i numeri. I cattolici sono di fatto ormai una minoranza nel Paese e quindi anche nella classe politica. Ammesso quindi che si riesca più o meno a muoversi nel senso indicato al punto 1, non è detto che con tutto l’impegno possibile si riesca a “incidere” come si vorrebbe. E qui si passa quindi a quella cultura della mediazione e anche del bene possibile o del male minore, materia difficile e scivolosa perché ovviamente va stabilito un limite anche a questi criteri (altrimenti si finirebbe per giustificare quei cattolici che negli anni ’20 e 30 del ‘900 definivano come male minore anche il fascismo).

Anche qui, si potrebbe cercare di capire se l’apporto dei cattolici impegnati in politica ha avuto e può avere un ruolo significativo nel rendere “migliori” leggi e provvedimenti, nell’”incidere” appunto su di essi, sempre considerando che il tribunale ultimo di ogni credente, anche quello impegnato in politica, è la propria coscienza. Ma come fare queste verifiche? Con un centro studi che se ne occupi in modo serio e costante? Con momenti di confronto tra cattolici impegnati e mondi associativi, peraltro più volte auspicati in questo portale e su Avvenire da varie parti ma di fatto mai realizzati?

3.

E qui veniamo a un terzo problema. Va bene discutere su quanto incidono o non incidono i cattolici in ambito politico, ma perché non ci si interroga anche sulla enorme difficoltà di fare rete, di confrontarsi (senza confusione di ruoli)  tra cattolici impegnati e realtà associative ed ecclesiali? Nonostante alcuni ottimi tentativi e il lavoro portato avanti da alcune associazioni, come l’Azione Cattolica, queste occasioni, questi luoghi, stentano o non ci sono. E’ solo un problema organizzativo o c’è dell’altro? Certamente il  tema organizzativo non è da sottovalutare (chi convoca chi, come, con quale “legittimazione”, con quali cadenze, quali “ordini del giorno” ecc.) ma il mio timore, spero del tutto infondato, è che una certa autoreferenzialità e frammentazione sia presente anche all’interno della nostra comunità cristiana, sia da parte di chi si impegna in politica, sia da parte delle realtà di base.

Detto in modo più brutale: non si riesce a trovare momenti di confronto tra politici cattolici e realtà ecclesiale perché è complicato o perché, in fondo in fondo, non lo si vuole davvero,  preferendo fare ognuno per sé e dando per scontata una generale lamentela che poi va a ridursi a un dibattito piuttosto stanco e senza sbocchi tra chi dice che “non contiamo più niente” e chi snocciola l’elenco dei cattolici con ruoli importantissimi, da Mattarella in giù? Se il problema fosse il secondo, la prima domanda da farsi non è tanto se e quanto i cattolici incidono, ma perché fanno così fatica a incontrarsi, parlarsi, confrontarsi e individuare obiettivi condivisi da provare a implementare nel campo politico e sociale. Per chiarezza: so bene che esistono le settimane sociali, i convegni ecclesiali e il cammino sinodale, ma mi pare che questi strumenti, ottimi per una serie di finalità interne alla comunità ecclesiale, non arrivino – almeno per ora – a centrare lo scopo sopra descritto.

4.

Quando si parla di cattolici e politica, soprattutto da parte di commentatori nazionali, si guarda quasi sempre alle istituzioni centrali. Vero è che le grandi decisioni vengono prese lì, ma quasi mai si citano le centinaia o forse migliaia di credenti (spesso cresciuti nelle associazioni e nelle parrocchie) impegnati nelle amministrazioni locali e anche nelle Regioni (idem per il livello europeo, dal Parlamento alla Commissione e agli altri organismi comunitari). Molti di essi sono quotidianamente impegnati nel cercare di  garantire diritti sociali, istruzione, migliore qualità di vita ai propri concittadini. Di essi raramente si parla quando si affronta il tema “cattolici e politica”. Eppure, a loro modo, incidono, eccome se incidono.

Tutto questo è un po’ paradossale se pensiamo che il popolarismo di don Luigi Sturzo – prosindaco di Caltagirone – nacque proprio attorno alla centralità degli Enti locali e del ruolo, in essi, dei cattolici. E forse non tutti sanno che l’ANCI fu fondata da amministratori cattolici. Questa “dimenticanza” e sottovalutazione dei territori – di chi ci vive e di chi ci si impegna – che finisce per tradire la lunga tradizione municipalistica del cattolicesimo sociale e politico italiano, dice qualcosa su come anche il dibattito tra noi viva molto di “centralismo”: non stupiamoci se poi in certe aree del Paese che sono o si sentono meno considerate o garantite, facciano presa il populismo e una forma distorta di cristianesimo identitario, difensivo e chiuso, che non è vero cristianesimo.

 

Sandro Campanini

 

One Comment

  1. La prima condizione perchè i “cattolici” siano incisivi nella realtà sociale è che siano cattolici e cioè credenti, e la fede non è una etichetta identificativa ma è una modalità di vita, una concezione di sè e degli altri, una ricerca del mistero di Dio nella realtà degli uomini. Perchè questa condizione si realizzi occorrerebbe un costante impegno ad un discernimento in comunione con altri credenti, e questo comporterebbe un diverso modo di partecipazione alla vita della Chiesa, un diverso modo di fare Chiesa. La sensibilità e le attenzioni che deriverebbero da una fede “vissuta” porterebbero ad assumere iniziative nel sociale e nel politico che potrebbero coinvolgere anche non credenti (ricordiamo “il seme”, il “sale nella minestra”…). Allora la presenza ideale dei cattolici nel sociale e nel politico forse sta proprio nella fase dell’animazione, della sensibilizzazione, nell’impegno alla costante rigenerazione della democrazia che è la condizione indispensabile per una presenza viva ed efficace dei cattolici nella società. Senza ricorrere pretese di “unità” politica, come giustamente dice Sandro Campanini.

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