Il “campo largo” che  a Parma ha vinto con chi lasciò il M5S sei anni fa

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A Parma, per la vittoria del candidato di sinistra, Michele Guerra, è stato fondamentale il comune orizzonte di valori tra il Pd e Effetto Parma, la lista di Pizzarotti (ex 5stelle) che aveva governato (con Guerra) negli ultimi cinque anni, e il fatto che le differenze che pure c’erano state, in particolare, tra Effetto Parma, al governo della città, e Pd, all’opposizione, siano diventate terreno di autentico confronto ed elemento di arricchimento e di innovazione nel programma, che è stato così frutto di una  vera condivisione

 

 

Si dice che ogni campagna elettorale fa storia a sé e questo è certamente vero. Lo si è visto anche nelle ultime elezioni comunali, dove non sono mancate situazioni, nelle varie città, che sarebbe stato davvero difficile prevedere.

Prima di dire qualcosa su una campagna in particolare, quella di Parma, che mi ha direttamente coinvolto come ri-candidato (e rieletto), dopo 5 anni di consiglio comunale, nella lista del Partito Democratico, è doveroso esprimere preoccupazione per la scarsa partecipazione al voto che ha caratterizzato un po’ ovunque, punto più, punto meno, queste e le precedenti elezioni amministrative. Si tratta di un fenomeno complesso, che ha molteplici cause e sfaccettature, ma che certamente denota, nella sostanza, un problema di bassa fiducia nella politica e un venir meno in ampie fasce della popolazione di quel “sentire civile” che faceva ritenere un dovere, e non solo un diritto agibile o meno, la partecipazione al voto. Molte altre sarebbero le cose da dire, ma non mi fermerò su questo tema, altrimenti andrei fuori strada rispetto a quanto richiestomi dalla redazione. I dati comunque dicono il 51% di votanti al primo turno e il 39,1% al ballottaggio.

A Parma, dopo che, per due mandati (2012-2017, 2017-2022), il sindaco Federico Pizzarotti e la sua maggioranza monogruppo (prima 5 stelle e poi civica, denominata Effetto Parma), da un lato, e il Partito Democratico (e altri), dall’altro, si erano fronteggiati su sponde opposte, si è arrivati a un largo accordo tra tutte le forze gravitanti nel centrosinistra, che comprendeva appunto i due ex contendenti (PD ed Effetto Parma) e tutte le altre forze di centrosinistra, escluse (purtroppo) Europa Verde (che si è presentata da sola) e Azione, che si è collocata in una coalizione civica di centro a sostegno di un candidato sempre civico, Dario Costi. La coalizione “larga” di centrosinistra, caldeggiata anche dai vertici nazionali e regionali, ha scelto come candidato, senza svolgimento delle primarie, Michele Guerra, 40 anni, docente universitario, assessore alla cultura uscente. Dal lato del centrodestra, è stato scelto come candidato sindaco l’ex sindaco degli anni precedenti il 2012, Pietro Vignali, che si era dimesso per vicende giudiziarie, lasciando il Comune con un debito enorme da gestire (oltre 800 milioni); in questa coalizione erano presenti Lega, Forza Italia e liste civiche; Fratelli d’Italia ha invece corso al primo turno con un suo candidato. Oltre a queste forze, si sono presentati altri candidati civici o di area in liste con basse percentuali; le uniche due candidate sindache donne a capo di liste autonome sono state purtroppo escluse per inadempienze legate alle procedure di presentazione.

Il risultato ha visto una vittoria schiacciante del candidato di centrosinistra, Guerra, che ha al primo turno ha preso il 44% dei voti contro il 21 del centro destra e il 13 del maggiore candidato civico (Costi) e al secondo turno ha prevalso con il 66% contro il 33% di Vignali. La vittoria della coalizione di centrosinistra ha significato anche l’ingresso, per la prima volta, del Partito Democratico in quanto tale nella  maggioranza consiliare e nella Giunta comunale, tenendo conto che forze riconducibili alla storia del PD (DS in particolare) non erano più state al governo della città dal 1998. Il Pd ha ottenuto il 24,2% dei voti, primo partito in città.

Risultato disastroso per il centrodestra e in particolare per la Lega che è crollata dal 12% del 2017 al 4,1 % del 2022: nel 2017, seppure in minoranza, aveva eletto ben 4 consiglieri, nel 2022 ne elegge solo 1; Forza Italia non pervenuta,; buon risultato della lista civica a sostegno di Vignali (13%). Fratelli d’Italia al 7,6%, da sola al primo turno e poi al ballottaggio in appoggio a Vignali, senza molta convinzione.

La campagna elettorale è stata credo piuttosto diversa da quella di altre città perché il candidato di centrosinistra ha puntato molto sul futuro (lo slogan era: “Ho scelto il futuro”; scelta a mio parere giusta ma anche coraggiosa, se pensiamo a quante volte abbiamo lamentato l’assenza di questo concetto nel discorso pubblico e anche privato…), quindi sui valori di fondo, le prospettive della città, le innovazioni da introdurre nelle scelte e nella gestione amministrativa; mentre il candidato di centrodestra ha voluto far leva soprattutto su un (a suo dire) “buon governo” precedente al decennio pizzarottiano, indicato come negativo, in una sorta di “operazione nostalgia” per un passato migliore, con una città più ordinata, pulita, attiva ecc. ; il che però, evidentemente, non ha funzionato, nonostante le indubbie passione e abilità mostrate da Vignali.

Altro tema su cui il centrodestra ha provato a far leva è quello di una sorta di sudditanza del centrosinistra locale rispetto alla Regione (identificata col capoluogo,  Bologna e/o col suo presidente, Bonaccini), tema in realtà tradizionalmente sentito in città – anche dalle parti del centrosinistra –  ma non certo nella forma caricaturale agitata dal centrodestra, quanto come desiderio di un protagonismo territoriale maggiore, capace certamente di cooperazione e alleanze con i territori vicini e con la Regione stessa, ma anche in grado di determinare le proprie specifiche strategie evolutive. Del resto, è stato proprio l’accordo tra Lega e candidato sindaco Vignali, con la sua lista civica, ad essere una forzatura dettata più da logiche nazionali che da volontà locali: la Lega aveva infatti indicato inizialmente (e pubblicamente)  un’altra figura, proveniente dalla società civile. Tale cambio di strategia in nome di accordi “superiori”  è stato pagato a caro prezzo dal partito di Salvini e in generale dal centrodestra.

La campagna elettorale di Michele Guerra è stata improntata a un tono molto propositivo e dialogico e mai aggressivo, ed è stata spesa per moltissimo tempo in mezzo alle persone, nei quartieri, nei mercati, come del resto da più parti era stato chiesto. Una scelta un po’ controcorrente (che personalmente avevo auspicato, richiamando simbolicamente il famoso slogan e lo stile della prima vittoria alle presidenziali di Francois Mitterand: “La force tranquille”), che però è stata accolta positivamente dalla maggior parte dell’elettorato. Ovviamente quando c’è un’elezione diretta gran parte del merito va al candidato o candidata che ha vinto, ma – come lo stesso Guerra ha più volte ricordato – è stato fondamentale il comune orizzonte valoriale di fondo e il fatto che le differenze che pure c’erano state tra le forze politiche (in particolare tra Effetto Parma e Partito Democratico) siano diventate terreno di autentico confronto ed elemento di arricchimento e di innovazione nel programma, sul quale c’è stato un serio lavoro di costruzione che ha consentito di trovare una vera condivisione, anche su alcuni temi particolarmente caldi. Questa comune visione, assieme ovviamente alla scelta del candidato, ha facilitato la coesione tra le varie forze politiche/liste del centro sinistra, che non hanno mostrato sbavature durante tutta la campagna elettorale e si sono presentate con compattezza attorno al loro leader. Tutt’ altra situazione per il centrodestra, che oltre alla debolezza dell’accordo su Vignali, non è riuscito ad aggregare Fratelli d’Italia.

In  conclusione, questa campagna elettorale parmigiana ha dimostrato – per usare un’espressione un po’ sdolcinata ma reale – che, oltre che con i candidati e le forze politiche giuste, i valori, i programmi, gli incontri – si può vincere col sorriso.

Sandro Campanini

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