I punti fermi sul 25 Aprile

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di Salvatore Vento

Quest’anno il 25 Aprile assume un significato particolare perché direttamente intrecciato con le discussioni sulle guerre in corso e con il ruolo che dovrebbe svolgere l’Unione europea. A maggior ragione la riflessione sulla Resistenza dovrebbe, finalmente, aiutarci a stabilire dei punti fermi, acquisiti dalle ricerche storiche svolte nel corso degli anni. Cominciamo con la cronologia e con i dati di fatto, per evitare strumentalizzazioni politiche come quelle della Presidente del Consiglio relative al Manifesto di Ventotene. Le prime forme di resistenza al fascismo giunto al potere iniziano con l’aperta denuncia parlamentare di Giacomo Matteotti e la presa di coscienza di ampi settori democratici che pure avevano approvato il governo Mussolini (in particolare cattolici e liberali); già nel maggio del 1925 un centinaio di intellettuali, a partire da Benedetto Croce, sottoscrive un manifesto antifascista. Un altro momento di presa di coscienza collettiva riguarda, sempre negli ambienti più colti, lo sdegno nei confronti delle leggi razziali del 1938, che coincidono col decennio di maggior consenso. I giovani studenti della “generazione del Littorio” (i ventenni degli anni ’30) se volevano discutere potevano farlo soltanto nelle associazioni fasciste; nelle università c’erano i Guf (Gruppi universitari fascisti). Vedi le oneste dichiarazioni di Vittorini in dialogo con le lettere dei giovani ricevute nella sua rivista “Il Politecnico”, che riflettevano sul loro essere stati fascisti, oppure di Luciano Bolis (partigiano che per non confessare i nomi dei suoi compagni, si taglio la gola e i polsi) che ammette la sua giovanile supina acquiescenza a un sistema che non ammetteva alternative. Allora ogni studente era iscritto d’ufficio alle organizzazioni fasciste. Con l’entrata dell’Italia in guerra cambiano radicalmente i sentimenti popolari. Soprattutto andare a combattere contro i francesi e gli inglesi, per chi si era nutrito della letteratura di questi paesi, fu un vero trauma. Si arrivò così alla caduta di Mussolini ad opera dei suoi stessi camerati (il Gran Consiglio del fascismo votò l’ordine del giorno Grandi che ne provocò l’esautoramento, con l’approvazione della Corona, configurandosi come un “colpo di stato”). Ma ciò avvenne quando le sorti della guerra apparivano ormai compromesse: gli anglo americani erano sbarcati in Sicilia e le popolazioni erano stremate dai bombardamenti. L’armistizio e l’occupazione del Centro Nord da parte dei tedeschi, appoggiati dai fascisti italiani, che avevano costituito la Repubblica di Salò, dà avvio alla resistenza armata (settembre 1943-aprile 1945). All’alba del 9 settembre, Badoglio e il Re abbandonano Roma e si dirigono verso Pescara e Brindisi. Il 27 settembre 1943 la popolazione napoletana insorge contro l’occupazione tedesca e in quattro giorni di battaglie, condotte in ogni strada e vicolo (e non solo dai gruppi partigiani), riesce a liberare la città. Il Sud o, meglio, il Regno del Sud è praticamente libero sotto il controllo degli alleati.

I primi nuclei partigiani nascono dall’azione delle cellule clandestine comuniste, socialiste e di quelle nuove di “Giustizia e libertà”, ai quali si aggiungono i cattolici e le altre formazioni autonome. In questo tipo di resistenza la forza più organizzata era costituita dai militanti comunisti. Nella lotta antifascista, secondo le analisi dello storico Federico Chabod, morirono 72 mila persone e 40 mila furono mutilati. La qualifica di “partigiano combattente” fu data a 232.841 persone e quella di “patriota collaboratore costante” a 125 mila cittadini. Ancora prima vi fu anche una resistenza morale, di distacco dalla propaganda di regime, che continuò fino alla liberazione (quella che, certamente minoritaria, può comunque essere definita “la lunga resistenza”). Negli ultimi decenni si è iniziato a indagare, e valorizzare, il comportamento di quei circa 650 mila militari che si rifiutarono di aderire alla Repubblica fascista di Salò e furono internati dai tedeschi. Fu per primo il Presidente della Repubblica Ciampi (allora giovane ventenne ufficiale dell’esercito) a rendere omaggio alla memoria di quei militari italiani presenti nell’isola greca di Cefalonia dove ne furono trucidati oltre 9 mila. La Resistenza fu quindi un movimento plurale e nel corso dei decenni accanto alla visione unitaria della maggioranza che considera la Resistenza la base fondativa della Costituzione repubblicana, persistono minoranze negatrice di questa evidenza storica; minoranze che però a livello elettorale hanno progressivamente ottenuto rilevanti risultati. Nelle elezioni del 1972, in pieno ciclo di lotte sociali, il Msi ottiene 2.896.762 voti (pari all’8,6%), nel primo governo Berlusconi del 1994 ha avuto 5 ministri e 12 sottosegretari. Infine, nelle ultime elezioni (settembre 2022), è diventato primo partito “Fratelli d’Italia”, erede di quella tradizione che conserva nel proprio simbolo l’originaria fiamma tricolore. La destra al potere considera la Resistenza non come un’identità nazionale, ma come frutto dell’egemonia culturale della sinistra, da combattere apertamente, anche nelle sedi istituzionali. La lettura sulle cause di questa evoluzione s’impone con forza. Intanto, occorre continuamente ricordare che la Costituzione, approvata il 22 dicembre 1947, porta la firma di un cattolico democristiano, Alcide De Gasperi, Presidente del Consiglio dei ministri; di un liberale ex monarchico come Enrico De Nicola, Capo provvisorio dello Stato; e di un comunista come Umberto Terracini, Presidente dell’Assemblea costituente. Era stata approvata durante un governo che ormai, a partire dal maggio 1947, non era più quello di unità nazionale. La lotta di liberazione ebbe una dimensione europea, ma nei paesi occupati dai nazisti accanto alla resistenza ci fu anche la collaborazione, tramite governi fantocci e col consenso di parte dei gruppi dirigenti locali: un’altra verità storica che si vuole negare o, addirittura, proibire di studiare. Tra la primavera e l’estate del 1944, a Ginevra, gli esuli provenienti da diversi paesi europei si riunirono per redigere un progetto di dichiarazione comune da sottoporre ai rispettivi movimenti clandestini. La Costituzione, come ampiamente dimostrato, è più citata che attuata, soprattutto nei suoi principi fondamentali sintetizzati in undici articoli, che bisognerebbe imparare a memoria, fin dalla scuola d’obbligo. Sono quegli articoli, ricordava dopo dieci anni, Piero Calamandrei, che pongono la giustizia sociale come condizione indissolubile della libertà politica e dell’uguaglianza giuridica. E rivolto ai giovani li esortava ad andare in pellegrinaggio col loro pensiero nei luoghi di lotta e di dolore dove i fratelli erano caduti per restituire a tutti cittadini italiani dignità e libertà. Nelle montagne della guerra partigiana, concludeva Calamandrei, ovunque un italiano ha sofferto e versato il suo sangue per colpa del fascismo, ivi è nata la nostra Costituzione.

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