Guido Formigoni / Il «vecchio» e il «nuovo» nella crisi globale: una proposta e un impegno di ricerca (1° ottobre)

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Nei tempi di crisi e di passaggio, la normale dialettica presente nelle società umane attorno alla sostituzione del vecchio con il nuovo tende sempre ad accelerare, a radicalizzarsi, a problematicizzarsi oltremodo. Sembra palese che ci troviamo oggi in uno di quei momenti. Se ha potuto godere di così ampia popolarità lo slogan della «rottamazione» di una classe dirigente politica, o se ha potuto affermarsi l’idea che la vecchia democrazia rappresentativa ormai potesse essere sostituita dalle magnifiche sorti e progressive della «democrazia in rete», il segnale è stato evidentemente forte. E’ la conferma che la crisi (economica, sociale e politica) che ci attraversa non è contingente e passeggera, ma strutturale. E’ in crisi un ordine sistemico, grosso modo risalente al modo in cui il mondo occidentale è uscito dall’altra grande crisi sistemica del decennio 1970. Occorre quindi mettere le basi di un ordine sistemico diverso, con un grande sforzo di elaborazione cultural-politica collettiva, di cui purtroppo non sempre vediamo segnali attivi e convincenti.

Non che la cosa sia semplice. I rischi sono evidenti. In mezzo al guado della crisi, diciamolo così, possiamo essere tentati di cercare affannosamente il nuovo o di essere pervicacemente attaccati al vecchio. Possiamo affrettare la liberazione dalle scorie del passato o possiamo essere indotti a diventare nostalgici di un’età dell’oro più o meno mitica in cui tutto funzionava meglio. Anche i cattolici democratici soffrono di questa divaricazione possibile. C’è chi si attacca alla tradizione e tende a ripetere i mantra del passato, chi si scopre iconoclasta e butta a mare tutto, perché nella postmodernità occorre viaggiare liberi e leggeri senza troppi preconcetti, navigando a vista. Applicate questo schemino a tante questioni che ci angustiano: la costituzione, il lavoro, il Welfare, il fisco, la scuola, i partiti… E potrete rendervi conto di quanto sia un dilemma aperto. Asteniamoci qui per ora dal fare nomi e cognomi, che mi pare però possano essere evidenti.

Del resto, il problema è reso ancor più complesso dalle semplificazioni del confronto politico-mediatico. Attribuire l’etichetta di «vecchi» a chi la pensa diversamente sembra essere uno sport diffuso da parte di chi si vuole mettere nel mainstream. O, al contrario, chi si sente sfidato e si arrocca in difesa, taccia di «nuovismo» qualunque critica, anche magari sensata e ponderata. Quante volte la difesa dell’impianto della costituzione del 1948 ci è costato il crisma di «conservatori»! E quante volte la critica all’esorbitante ruolo dei partiti – a cui eravamo arrivati forse prima di altri, in tempi non sospetti – ci  è costato l’epiteto di sfasciacarrozze. Per fare solo un paio di esempi. Ora, il problema è che bisogna chiaramente rendersi conto del rischio di essere o apparire conservatori o sfasciacarrozze. Ci sono degli elementi di verità in queste critiche?

Facciamo in primo luogo seria autocritica, dove necessario. Dobbiamo riconoscere che spesso i cattolici democratici negli ultimi anni si sono accontentati di un glorioso passato e hanno inteso più che altro amministrare le spoglie di un onesto declino. Si sono talvolta sentiti fuori tempo, superati dai fatti, a disagio verso la coda problematica della modernità, verso la società dell’immagine e del «tempo reale». E quindi non hanno adeguato il loro nobile patrimonio alle sfide dell’oggi. Si sono troppe volte accontentati di ripetere una «cultura dell’ovvio» che parlava di popolo e di persona, nel tempo drammatico dell’individualismo massificato. Senza rendersi conto che i loro pacati e sensati discorsi non mordevano più la realtà. Da una vera autocritica si parte per ricostruire un percorso minimamente credibile.

Ma l’autocritica non può coprire atteggiamenti intollerabili. La serietà nel tutelare un patrimonio comunitario tradizionale non può essere tacciata di immobilismo (mai buttare il bambino con l’acqua sporca…). E bisogna guardarci da chi si appella alla difesa della tradizione solo per giustificare privilegi e rendite di posizione. A mio parere la sensibilità cattolico-democratica ci potrebbe dare strumenti importanti per tentare di gestire positivamente questa pericolosa divaricazione, senza farsi dominare passivamente dalla sua esasperazione. Il senso della storia come processo, che prevede apertura continua al futuro, per cui è fondamentale la coltivazione della memoria e del patrimonio del passato,  il senso critico delle mediazioni necessarie tra utopie e stabilità, tra valori assoluti e consenso sociale, che implica di essere sempre attenti a discernere tra le varie possibilità e a costruire assetti passibili di novità senza essere dirompenti: sono tutte risorse che dovremmo poter utilizzare per sciogliere positivamente il dilemma.

La rete C3dem vorrebbe mettere a fuoco questo orizzonte tematico, identificandolo come una problematica cruciale per orientarsi nella crisi. Stiamo preparando un grande convegno nazionale, che si terrà il prossimo sabato 30 novembre (segnatevi fin da ora la data). Ma vorremmo prepararlo con il contributo di molti, nella rete e tra coloro che ci seguono con interesse. Apriremo quindi sul portale un «cantiere» che ospiterà via via contributi specifici che ci aiutino a districarci in questo orizzonte. Dateci la vostra idea su come vivere al meglio il dilemma tra vecchio e nuovo, come forma migliore per prendere la crisi come occasione di discernimento critico e tracciare quindi contemporaneamente alcune vie d’uscita dalla sua drammaticità.

Vorremmo anche tentare di chiudere questo percorso, dopo il convegno, selezionando alcune questioni simboliche su cui aprire dei veri cantieri culturali e politici, dei laboratori che permettano di addensare saperi e competenze, in modo da fornire un piccolo contributo a sciogliere questi nodi complessi. Non ci sembra utile elencarli qui fin da ora, ma speriamo che il dibattito prossimo ci permetta di fare una selezione feconda, utile a far procedere questa ricerca collettiva.

 

Guido Formigoni

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