Gaza, dove l’umanità è scomparsa

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di Sandro Antoniazzi

Diceva Simone Weil che “la verità si allontana presto dal carro dei vincitori”.  A Gaza l’umanità è addirittura scomparsa. La pietà è morta.

Quando Israele ha iniziato la sua azione contro Hamas, tutti gli Stati occidentali hanno dichiarato unanimemente che tale reazione era lecita, purché avvenisse nel rispetto del diritto internazionale e dei diritti umani.

Dopo breve tempo, si è visto che si andava ben al di là di questi limiti e quale è stata la posizione degli Stati occidentali?

Hanno ripetuto la dichiarazione precedente, ormai chiaramente superata dagli avvenimenti; se il diritto internazionale e i diritti umani non sono rispettati, occorrerebbe denunciare la situazione e decidere quali misure assumere. Nessuno si è mosso ed è calato il silenzio.

Da ultimo la responsabile della politica estera dell’Unione Europea, la estone Kaya Kallas, in modo quasi serafico, ha dichiarato “lo Stato israeliano sta esagerando” e avrebbe potuto aggiungere che la politica della UE ha rinunciato a qualunque iniziativa a riguardo.

Nei primi tempi l’esercito israeliano bombardava facendo ogni volta 5/10 morti, ma ora quando bombarda i morti sono 50/100. L’esercito ha più fretta di ottenere risultati.

L’obiettivo di ieri era Hamas, ma oggi non è più solo Hamas, ma l’intero popolo palestinese, il quale, come ha sostenuto Trump, dovrebbe andarsene altrove in modo da trasformare Gaza in una splendida area balneare.

E Israele, se da una parte bombarda centri vitali per il popolo, dall’altra impedisce gli aiuti umanitari e il rifornimento del petrolio necessario per il funzionamento di attività essenziali; si cerca di creare le condizioni perché il popolo “volontariamente” decida di andarsene e si sono aperte per questo delle apposite liste di adesione.

Che fare in questa situazione?

Alcuni partiti di opposizione (Pd, 5Stelle, AVS) hanno adottato un documento impegnativo in proposito che propone il riconoscimento italiano ed europeo dello Stato di Palestina e si dichiara d’accordo col Piano arabo per la ricostruzione e la futura amministrazione di Gaza.

Inoltre, sostiene il cessate il fuoco, la liberazione degli ostaggi e il ripristino degli aiuti umanitari e propone la sospensione della vendita di armi a Israele e l’adozione di sanzioni nei suoi confronti per la continua violazione del diritto internazionale.

Il documento è molto importante, dopo mesi e mesi di silenzio, mentre ogni giorno muoiono centinaia di persone e di bambini nell’indifferenza generale.

Personalmente penso che Hamas dovrebbe fare un bel gesto unilaterale col rilascio di tutti gli ostaggi e la restituzione delle vittime. A volte certi gesti hanno più peso che un combattimento.

E poi a cosa servono gli ostaggi? Per poter fare scambi con Israele sulla tregua? (Come l’ultima incredibile e irrealistica proposta di Hamas del rilascio di tutti gli ostaggi di fronte a una tregua di 5 anni e il ritiro dell’esercito israeliano da Gaza).

Sulla possibilità della pace e su Gaza futura incombe il problema di Hamas: non puo’ certamente essere Hamas il futuro amministratore della Striscia, altrimenti la guerra non finirebbe e i problemi rimarrebbero.

Occorre dunque che i paesi arabi (Qatar, Egitto, Iran) convincano i miliziani rimasti a ritirarsi in un paese amico (l’Iran?), dove potrebbero essere inquadrati nelle milizie locali.

Del resto, il problema ostaggi oggi non dipende tanto da eventuali scambi con Israele, ma dal fatto che costituisce fattore di giustificazione dell’esistenza di Hamas.

E Hamas mette in gioco la sopravvivenza dello stesso popolo palestinese, ridotto agli estremi, per salvare sé stesso.

Questo è il punto più difficile, ma essenziale da affrontare se si vuole realizzare la pace e soprattutto un futuro realmente possibile.

Certo un’Europa meno bellicista e più orientata alla pace, potrebbe collaborare più concretamente per favorire l’avanzamento del processo pacifico, ma per questo occorre credibilità che non si acquista in breve tempo.

Del resto, l’Europa non è stata capace di avviare un processo di pace in Ucraina, dove è direttamente coinvolta, lasciando spazio all’intervento americano che si è presentato deciso a superare le difficoltà dall’una e dall’altra parte.

Anche per Israele-Palestina l’intervento USA appare determinante: sono gli unici che potrebbero far fermare la guerra in tempi relativamente brevi, ma purtroppo sono totalmente schierati dalla parte del governo israeliano, che sostengono militarmente ed economicamente dalla nascita dello Stato.

È molto di più di un’alleanza: è quasi un’identificazione reciproca (e del resto la maggioranza degli ebrei all’estero si trovano negli USA dove costituiscono una lobby potente).

Un freno all’iniziativa politica nei confronti di Israele è dato dalla questione ebraica: sono molti coloro che confondono Israele e gli ebrei, senza distinzione delle responsabilità, ma anche gli Stati hanno paura che una critica a Israele venga vista o strumentalizzata come antisemita.

Ma di fronte a quanto succede a Gaza, un vero sterminio di una popolazione innocente, le remore devono essere superate e gli Stati democratici sono chiamati ad assumere la propria responsabilità.

In questo caso, più che per l’Ucraina, sarebbe necessario un gruppo di Stati “volonterosi”, che assieme ai paesi arabi, assumano la paternità di un’iniziativa concreta, con la volontà di portarla fino in fondo, al raggiungimento della pace e l’avvio della realizzazione dei due Stati.

 

 

 

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