Non è nella Costituzione la via maestra per uscire dai mali che ci affliggono

| 0 comments

Contributo alla discussione per il convegno c3dem di novembre

 

Nella mia lettura del declino economico dell’Italia, la cultura occupa un posto centrale. Tutta Europa, ma l’Italia in modo estremo, non ha elaborato una risposta adeguata agli shock geopolitici (riassumibili nella fine della “grande divergenza” iniziata cinquecento anni fa) e tecnologici (fine del fordismo, avvento della tecnologia dell’informazione) che hanno investito il nostro mondo tra la fine degli anni Ottanta e l’inizio del secolo successivo.

Una questione culturale

La cultura economica e politica, la “narrazione” dei problemi del paese si svolgono ancora largamente sulla base di categorizzazioni e interpretazioni della realtà elaborate nell’età dell’oro (1950-1970), in quella fortunata e irripetibile nicchia della geografia e della storia nella quale la generazione degli attuali sessantenni italiani ha studiato ed è cresciuta e che resta, a volte senza nemmeno rendersene conto, nostalgica di una belle époque simile a quella alla quale riandavano con altrettanta nostalgia i nostri nonni tra le due guerre.

Se così è mi chiedo se la riproposizione pura e semplice di una riscoperta della lettera, e forse di alcuni aspetti dello stesso spirito, della nostra Costituzione possa essere la strada migliore per fare uscire l’Italia dai mali economici e sociali che la affliggono, per offrire se non proprio una “visione” (magari così fosse), almeno un progetto condiviso per uscire dall’apatia che sta alla radice del nostro declino.

La Costituzione oggi

La nostra Costituzione è frutto di un compromesso altissimo tra le due culture uscite dominanti dalla tragedia fascista e bellica: quella cattolico popolare e quella comunista di stampo gramsciano. Il compromesso è l’essenza della politica, quando avviene al livello del 1946-47 è l’essenza della migliore politica. Non c’è dubbio: i costituenti hanno pacificato l’Italia sulla base di valori condivisi e hanno permesso che si realizzasse quell’episodio unico di crescita economica e sociale alla quale guardiamo come a un’ età dell’oro. Le culture cattolica e comunista coglievano, ciascuna a proprio modo, molti dei caratteri salienti della società e dell’economia italiane di allora. Entrambe queste culture sono oggi in declino, almeno nell’occidente europeo, a mio parere per una loro incapacità quasi congenita di interpretare il mondo del ventunesimo secolo e, quindi, di offrire una guida culturale e politica a chi, piaccia o meno, in questo secolo deve vivere. Per fortuna, la gran parte dei valori ai quali s’ispirò il compromesso costituzionale sono tuttora punti cardinali indispensabili per orientarci. Sono stati però tradotti in una costituzione lunga e dettagliatamente prescrittiva e, soprattutto, in regole, comportamenti, forme mentali che non tutti adeguati a realizzare quegli stessi principi generali nella società e nell’economia di oggi.

Costituzione ed economia

I valori di democrazia, cittadinanza, uguaglianza, solidarietà che ispirano la costituzione vanno, mi pare, adattati al mondo nel quale vivono i nostri figli e vivranno i nostri nipoti. E pongono questioni complesse, anche penose da affrontare per quelli che hanno la mia formazione culturale. Ma non possono essere evase. Faccio qualche esempio rilevante. La geopolitica e l’economia di oggi impongono decisioni efficienti e rapide: esse vanno rese compatibili con la democrazia non solo formale ma anche sostanziale. Come? La cittadinanza è stata interpretata soprattutto, direi quasi unicamente, come estensione di diritti, alcuni di essi difficilmente caratterizzabili come tali e pertanto riconosciuti solo a parole ma sempre disattesi. Mi pare sia necessaria una riflessione profonda sul concetto stesso di diritto costituzionalmente garantito (quello al lavoro può essere tale?). L’uguaglianza di fronte alla legge è principio intoccabile che andrebbe maggiormente realizzato in concreto, nello spirito del 1789. Ma in nome di un’uguaglianza male interpretata abbiamo trascurato il merito, con il risultato di avere una società immobile, disuguale, nella quale le fortune di ciascuno dipendono in misura inaccettabilmente elevata dalle circostanze del tutto casuali della nascita. La solidarietà è stata capita solo come dovere dello Stato di redistribuire il reddito. E’ un modo di intendere la solidarietà che va preservato, ma come lo si incarna oggi? Accanto alla solidarietà possiamo recuperare fortemente il valore della responsabilità, anzitutto verso se stessi e la propria famiglia? Possiamo diffondere una cultura basata sull’idea che prima di ricorrere allo Stato tutti dobbiamo fare quanto è in nostro potere per non ricorrervi? Potrei continuare a lungo nel porre domande per le quali non ho risposte, ma sulle quali vorrei avere una discussione seria, serrata, non ideologica, non nostalgica.

Il lavoro

L’attuale “tecnologia universale” tende a dividere il lavoro in due tronconi separati: professioni a sempre maggiore contenuto tecnico-intellettuale (sempre più gratificanti e meglio pagate) e mestieri non qualificati di esecuzione manuale di piccoli compiti ancillari (poco gratificanti e mal pagati). Nel mezzo stanno sparendo molti lavori qualificati. Le conseguenze sulla distribuzione del reddito (che si cumula a quelle derivanti dalla fase attuale della cosiddetta globalizzazione), sulla mobilità sociale, sulla realizzazione delle aspirazioni individuali potrebbero essere enormi. Nel medio termine l’antidoto principale sarà l’istruzione soprattutto universitaria e post-universitaria. Nel più lungo andare le tendenze attuali, qualora dovessero continuare, ci obbligheranno a riflettere sull’organizzazione stessa della società. “Lavorare meno, lavorare tutti” non è opzione praticabile e forse nemmeno desiderabile. Sussidi monetari, una maggiore progressività fiscale, l’accesso a servizi pubblici di qualità aiuterebbero a ridurre la disuguaglianza del reddito netto, ma non risolverebbero il problema della mobilità sociale. Una riflessione non ideologica su questi temi s’imporrà presto.

I valori espressi dalla Costituzione potranno servire da guida. La loro formulazione attuale in taluni casi non aiuta, in ogni modo anche rispetto a essa dovremmo avere un atteggiamento “laico”, non preconcetto, soprattutto non ideologico.

Gianni Toniolo

Lascia un commento

Required fields are marked *.