Democratici e progressisti: quale futuro?

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di Silivio Minnetti
Riceviamo questo contributo e proposta di lettura circa l’esito delle ultime elezioni politiche.

 

La grave sconfitta elettorale del Pd, il 25 settembre, obbliga questo partito, nato solo 14 anni fa, a rifondarsi attraverso un vero congresso costituente. Identità: il Pd vuole essere un generico e liquido partito di opinione, di élite o diventare un autentico partito di massa radicato in ogni città e regione, oltre che in Parlamento? Superata l’attuale fase conservatrice ci sarà probabilmente voglia di progressismo democratico, corrispondente allo spirito del tempo. Occorre prepararsi per l’appuntamento, che avverrà prima o poi. Bisogna partire dall’ analisi del voto. Su 46 milioni di aventi diritto al voto, solo 12 milioni circa hanno votato per la coalizione di destra-centro. In pratica solo il 26,7 per cento degli aventi diritto ha votato a destra, una minoranza del popolo italiano. Un mare di astenuti al centro e a sinistra. Vittoria legittima, in base ad una pessima legge elettorale, ma di una minoranza coalizzata a differenza delle altre. Il primo partito, FdI, rappresenta solo  il 16% degli aventi diritto al voto. Il campo progressista con 15 milioni di voti, diviso in tre schieramenti, ha preso più voti della destra- centro ma pochi seggi. Alcune considerazioni sono necessarie. L’astensione, il non voto di 18 milioni di aventi diritto ha determinato la vittoria della minoranza più organizzata, pur divisa nella precedente legislatura. Esiste quindi un grande spazio per un pensiero politico alternativo alle destre.  Questo spazio  non ha trovato più rappresentanza politica, in particolare nel Partito Democratico, identificato con un partito sempre al potere, chiuso nel Palazzo, lontano dagli interessi popolari e nel M5S che ha dimezzato i voti.

Emerge la necessità nei prossimi anni  di unire il vasto campo progressista e riformista, tappando i buchi, superando ostilità reciproche, con proposte a difesa degli strati sociali più deboli, dei ceti medi impoveriti, dell’Italia in una Europa integrata ed unita. Occorre trovare una proposta condivisa superando liti e tradimenti tra i leader. Il campo progressista e riformista ha bisogno di una rappresentanza chiara e coerente di interessi, valori, visione. Servono urgentemente idee e ideali per dare gambe e senso alle proposte. Chi subisce disuguaglianze, ingiustizia sociale, deve trovare rappresentanza in un campo social-democratico, distinto e alleato, come in Germania, di quello liberal- democratico, a difesa del welfare comunitario e dello Stato sociale.

Detto in altri termini, il campo progressista deve ritrovare credibilità.  Quando ha governato non ha operato scelte radicali o ha proposto soluzioni non strutturali o inefficaci, come nella scuola, Università e Ricerca, che hanno finito per scontentare molti e alimentare il populismo. Il Reddito di cittadinanza, per come è stato pensato e realizzato, è apparso più un intervento assistenziale che di uscita dalla povertà.  Il PD ha dimostrato poco coraggio e ha proposto soluzioni deboli e contenute come il Rei, Reddito di inclusione, finanziato con pochi fondi. Non è stata offerta una soluzione radicale alla platea di fragili: poveri, giovani, Sud, donne, con lavoro e posti al nido, tempo pieno nelle scuole. Il più grande partito di sinistra d’Occidente non ha saputo operare, anche per mancanza di una legittimazione del voto, una scelta radicale, strutturale, di massa, a difesa degli ultimi, svantaggiati, scartati. Insufficienti le tante piccole monetizzazioni con bonus, proposte di doti, soldi in tasca subito, senza riforme strutturali. Sono state operazioni, di regola attribuite alle destre, che non hanno rafforzato il Welfare, che hanno indebolito il profilo identitario della sinistra, fondato sui diritti sociali, scuola, sanità, servizi di uno Stato sociale forte. Il PD, diventando un partito di opinione e di élite, ha tradito la sua mission e contribuito ad un incredibile suicidio politico-elettorale. Partito di apparati e slegato dalla società civile, dagli ultimi, dai ceti medi impoveriti, è stato abbandonato dai suoi elettori.
Tornare ad essere un partito di massa vuol dire radicamento nei territori, cura delle ferite sociali, proposte popolari condivise, andare oltre le monadi autoreferenziali dei circoli del PD. Significa andare oltre apparati, correnti di potere, cooptazione di fedelissimi anche se mediocri, presunzione intellettuale, schemi ideologici, incapacità di lettura critica della realtà. Si tratta di tornare ad essere un partito popolare e non “populista di governo”, come è avvenuto nel decennio precedente.

Il PD, con i suoi alleati di centro-sinistra, è in grado di rilanciare l’elaborazione politica, attraversare il deserto di una difficile opposizione, promuovere la partecipazione nei luoghi del disagio, con proposte dei mondi vitali dell’economia civile e sociale, del volontariato, del Terzo settore e del mondo cattolico chiamati a ricucire la società? La maggioranza del Paese è reazionaria e rivolta al passato o ha sete da un lato di un conservatorismo liberale ed europeista e dall’altro di un progressismo democratico di tipo partecipativo?
In conclusione, il congresso del Partito democratico, perno di una alleanza di centro- sinistra, sarà un’occasione storica per trovare le ragioni della sua esistenza e occupare il vuoto lasciato dalla sinistra

Recupero di una chiara Identità, affermazione di una nuova classe dirigente con spazio ai giovani ed alle donne, superamento  delle attuali correnti di potere, nuovo pensiero politico  e recupero dei principi neokeynesiani in economia, dopo la tentazione neoliberista di sinistra, apertura al ricco mondo del volontariato e del Terzo settore sono una opportunità da non sprecare per un sistema politico di stampo europeo, con un centrodestra conservatore ed un centrosinistra progressista, entrambi liberali ed europeisti.

Silvio Minnetti

(già presidente nazionale del Movimento politico per l’unità – Movimento dei Focolari

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