De Gasperi, il “nuovo” Centro, i cattolici democratici. Intervista a Guido Formigoni

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Pierluigi Mele, sul suo blog di Rai Newz 24, del 21 agosto 2012, pubblica un’ampia intervista a Guido Formigoni. La pubblichiamo integralmente. 

Nella discussione politica di questi giorni torna il dibattito sul “centro”. Ne parliamo con lo storico Guido Formigoni, professore ordinario di Storia Contemporanea presso l’Università IULM di Milano.  Fa parte del gruppo di consulenza scientifica della Società editrice Il Mulino nel campo della storia; del Comitato di consulenza del Centro studi su politica estera e opinione pubblica di Milano; del Consiglio scientifico dell’Istituto per la storia dell’Azione cattolica e del movimento cattolico «Paolo VI» di Roma (Isacem); del Gruppo di lavoro per la ricerca storiografica su Aldo Moro istituito presso l’Accademia Aldo Moro.  E’ autore di numerose pubblicazioni sul Movimento Cattolico italiano.

Professor Formigoni, ormai è  un classico: ogni anno, quando cade l’anniversario della morte del grande statista trentino, alcuni auspicano un ritorno della cultura degasperiana. E ci riferiamo, tra gli altri, al ministro Riccardi che, in questi giorni a Trento, ha affermato che “C’è bisogno di un soggetto terzo: il centro. Ma non sto pensando a un partito confessionale, bensì a un centro che governi una coalizione».  Secondo lei che significa?

 Non saprei fare  l’esegesi del pensiero dell’amico Andrea Riccardi. Quello che mi pare chiaro è che anche lui si sia reso conto che un partito caratterizzato dall’identità cristiana è sempre più difficile da realizzare. I vertici ecclesiastici spingono all’impegno ma poi non vogliono delegare responsabilità. I cattolici che pensano o si organizzano sono da molto tempo divisi e lacerati. Quindi è impossibile resuscitare l’alchimia storica del modello di partito «di ispirazione cristiana», quale fu la Dc: una sintesi che teneva assieme l’unità sostanziale dei cattolici gerarchicamente accreditata a un certo margine di autonomia e mediazione politica riconosciuto al (o meglio conquistato progressivamente dal) partito. Mitologicamente il riferimento al concetto di «centro» sembra piacere a molte parti del mondo cattolico: da qui a vedere che qualche cattolico, assieme ad altri, sia capace di mettere assieme un progetto di formazione politica di centro solida e capace di raccogliere consensi, ce ne corre. Non vorrei che si ricorresse alla più consueta idea della «mosca cocchiera»: il centro sarebbe legittimato a guidare i consensi portati da altri, per ragioni in qualche modo strutturali. Una specie di diritto acquisito preliminare.

 A ben vedere questo chiacchierato “centro” è molto eterogeneo : si va dall’ultraliberista Giannino, a Montezemolo, ai cattolici di Todi, all’Udc di Casini e perfino (?) Fini. Non vedo molta cultura degasperiana presente…

 La diversità di impostazione e di culture è piuttosto evidente. Il manifesto di Todi a me è parso piuttosto vago, ma senz’altro è ispirato da un solidarismo che non coincide molto con le tesi della «rivoluzione liberale» rilanciate ancora in questi giorni. Oltretutto, anche le issues legislativo-morali classicamente cattoliche vedono le prime divisioni tra gli aperturisti Fini (e Casini) e i più rigidi interpreti legati all’associazionismo e alla gerarchia…

 Per alcuni di questi protagonisti il premier Mario Monti può rappresentare o addirittura riporta alla memoria la figura di Alcide De Gasperi. Insomma il “montismo” è visto come erede del “centrismo” degasperiano. Esagerazione?

 Riguardo al riferimento a De Gasperi, siamo di fronte a un classico uso politico della storia. Piuttosto freddo e vago, per la verità. Il centrismo degasperiano era caratterizzato dalla condizione della politica di massa ideologica e dalla gestione dell’inedita costruzione di uno Stato democratico e sociale. L’opposizione al comunismo andava assieme al rifiuto di alleanze a destra, in quanto queste richiamavano alla memoria la crisi della democrazia del primo dopoguerra. Al contempo, il centrismo non era affatto soltanto «liberale» in politica economica, aprendo a una economia mista (sia pur criticata da vari studiosi per i suoi aspetti clientelari). Il tutto collegato con una fortissima «politicità»: si trattava di costruire la democrazia con i partiti politici, non di affidarsi ai tecnici. Cosa c’entri tutto ciò con la fase storica attuale, lo si dovrebbe spiegare  un po’ meglio. Il «montismo» ha a che fare con un fallimento della politica populista (berlusconiana) e con il richiamo super partes ai tecnici. Il suo riferimento sono le istituzioni europee e i precari equilibri di mercati finanziarizzati, non antagonismi ideologici particolari.

 Tornando alla “Cosa Bianca”. Sulla legge elettorale siamo ancora in alto mare.  Loro, i protagonisti della “cosa”, la vedono come lo strumento di superamento del bipolarismo “muscolare”. Si torna così alle vecchie “pratiche” della costruzione di maggioranze dopo il voto. L’eventuale nascita di questa formazione fa più paura al PD o al PDL?

 La critica al bipolarismo è di vecchia data. Che ci sia stato, da parte di alcuni ambienti culturali e politici, un fondamentalismo del maggioritario e del bipolarismo è vero: quasi che le regole da sole salvassero il mondo, a prescindere dalle idee e soprattutto dai soggetti politici. Ma dovremmo dire con chiarezza cosa vogliamo: le leggi elettorali possono essere ibride, ma in fondo tendono a privilegiare o la stabilità di candidature di governo che competono in quanto tali per il voto dei cittadini, o la rappresentanza di partiti che mediano poi in parlamento dopo il voto. Dopo anni in cui abbiamo accentuato anche nel linguaggio il primo aspetto (si pensi ai nomi dei leader nei simboli), si può anche pensare a un riequilibrio. Quello che però andrebbe detto è se vogliamo andare a una legge elettorale che appositamente impedisca qualsiasi vincitore, semplicemente per ricreare le condizioni di un nuovo «governo dei tecnici», con una maggioranza forzatamente ampia (con o senza Monti). Muoversi surrettiziamente in questa direzione sarebbe una vera truffa per i cittadini.

 D’altronde, invece, a prescindere dalla legge elettorale, una formazione politica nuova può anche ambire al consenso strappandolo ad altre in quanto si presenta come centrista:  è del tutto legittimo. Misurandosi con il consenso, si vedrà se toglierà spazio a destra o a sinistra: oggi mi sembra che sia più a rischio l’area della destra politica, con l’implosione del Pdl. Ma comunque – prima o dopo il voto (anche se la differenza non è banale) – il problema delle alleanze si riproporrebbe anche a un centro che trovi il proprio spazio. Il bipolarismo tendenziale delle democrazie contemporanee non mi pare agevolmente superabile. A meno appunto che si abbia in mente una sorta di sospensione permanente della democrazia in nome delle istanze di Francoforte o di Bruxelles. Nel caso, sarebbe da dichiarare apertamente.

 Per i cattolici il PD è una scommessa persa? Oppure vede spazi per il cattolicesimo democratico…

 Il cattolicesimo democratico, conciliare e collocato politicamente a sinistra (o al centro-sinistra), ha di fronte a sé a mio parere soprattutto un problema di vitalità culturale e di radicamento sociale ed ecclesiale. Rilanciare tale sensibilità aggiornandola e facendola reagire con i problemi attuali è un compito di enorme importanza, dopo anni in cui il clima ecclesiale non ha certo favorito tale lavoro. L’aspetto politico verrà di conseguenza. Al momento ci sono sensibilità cattoliche presenti nel Pd (e anche oltre) che dovrebbero essere più orgogliose ed esplicite: non tanto per fare una corrente confessionale o qualcosa del genere, ma per mostrare a tutti che è non solo possibile, ma è anche fecondo far interagire la fede con le scelte per una società più giusta, che prenda spunto dalla radicalità della crisi attuale per ripensare strutturalmente i modelli di sviluppo. La testimonianza profetica del cattolicesimo democratico non si può nutrire solo di critiche «apocalittiche» al sistema, ma deve misurarsi con progettualità e concretezza seriamente riformiste.

 Veniamo a quello che rimane del mondo cattolico. Il Cardinale Bagnasco auspica una maggiore presenza del laicato cattolico in politica.  A me sembra che dopo gli anni della “gelata” di Ruini ci vorrà del tempo prima di ricostruire un protagonismo adulto dei laici cattolici. Per lei?

 Eh, sì, è un programma piuttosto impegnativo. Non è che manchino energie o disponibilità, ma il clima di questi anni le ha piuttosto scoraggiate. Io ho l’impressione che normalmente si sopravvaluti la forza di costruzione del consenso della gerarchia ecclesiastica, mentre si sottovaluti la presenza nel paese di molteplici forme cristiane di volontariato, aggregazioni locali, mondi sociali, cooperativismo,  case editrici, riviste e rivistine che non sono nemmeno rappresentate integralmente  dalle strutture di vertice confederali (per intenderci i promotori di Todi…). Gli è che si tratta appunto di un arcipelago disperso, piuttosto poco disposto a percorsi di integrazione, disilluso e spesso un po’ apolitico (se non antipolitico). Quindi ci sarebbero delle potenzialità, ma l’operazione di costruire un protagonismo si presenta molto difficile.

 Torniamo, per ultimo, ad Alcide De Gasperi: nella sua “inattualità” cosa resta della sua lezione?

Resta una lezione pre-politica, legata alla sua fede limpida ma non bacchettona in quanto basata sulla parola di Dio, al suo senso della chiesa capace di sopportare la condizione di minoranza e le umiliazioni, al suo senso della mediazione e della responsabilità del credente «obbediente» che rispettosamente sa dire alla gerarchia quando non è d’accordo, alla sua duttilità nell’interpretare il tempo connessa però alla fedeltà ai principi essenziali, alla sua capacità – infine – di sviluppare leadership senza populismi e deliri d’onnipotenza. Se ne potrebbero studiare anche i limiti, ma la cosa non muterebbe il valore di questa sensibilità. Una lezione di moderazione in senso esistenziale e non di moderatismo politico, che andrebbe studiata, interiorizzata e sviluppata prima che esibita in modo superficiale.

 

One Comment

  1. Ottimo. Ma la strada sarà lunga, se non si torna all’ “Invito ai Pastori” di Lazzati, riportato alla fine del suo libro “Per una nuova maturità del laicato”. Alla “gelata di Ruini” ha anche corrisposto una “gelata” nell’impegno di formazione delle coscienze da parte di molti nostri pastori……..! Per la gran parte i nostri laici che girano attorno alle nostre comunità ecclesiali non hanno mai sentito dire che la “consacrazione del mondo è compito essenziale dei laici cristiani” e anche questa è la causa del disimpegno dei cattolici dal campo politico. Speriamo nella quotidiana preghiera allo Spirito Santo.

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