Contento? Ma mi faccia il piacere…

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“Primarie anche per i candidati al Parlamento? Per carità! ma non dovreste essere già contenti di come sono andate quelle per il premier?”, così mi ha apostrofato alcuni giorni fa un amico riformista sempre scettico su queste manifestazioni di democrazia avanzata.

A parte il fatto che l’imperativo categorico del “dover essere” mal si associa con la condizione dello stato d’animo della contentezza, mi sembra che la radice semantica di “contento” abbia un qualcosa di particolarmente significativo proprio in campo politico. Contento perché “conto” e contento perché “ci conto”. Il passato e il futuro, il già fatto e il da farsi: verificare i risultati ottenuti, il primo, e, insieme, puntare sui possibili sviluppi, con quella ragionevole fiducia che a volte si concede a fatti o persone conosciute: “bada che ci conto!”. Positivi entrambi, almeno in questo caso.

E allora, a parte le questioni tecniche e temporali che renderanno complicate e coraggiose insieme la scelta dei candidati per il massimo organo rappresentativo del popolo italiano, oso dire che la categoria della contentezza non dovrebbe essere propria della politica. Proprio perché la vera origine semantica richiama il contenersi, l’animo appagato che si “dimostra con dolce calma, con beata tranquillità” (da etimo.it). Ecco, visto come sono andate le cose negli ultimi anni, io sono un tantinello “inappagato” (va, diciamo così…). Vorrei che si facesse tutti di più e meglio, e se mi ricordo il primo che in un dibattito politico esordi con il proprio interlocutore dicendo “la prego, si contenga …”, ebbene, sono ancora più “scontento” di prima.

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