Chiesa e Sinodo: ora, è il momento di cambiare

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“Che fatica dover discernere, consigliare, dialogare. Assai più facile condannare…”. Dice Cettina Militello, teologa e docente di ecclesiologia, liturgia, mariologia e titolare della cattedra “Donna e Cristianesimo”. “La comunità è memoria vivente ed è memoria affidata a gesti e parole”; “considero la forza dell’annuncio casa per casa e la testimonianza che l’accompagna”; “siamo dinanzi a un patriarcalismo e androcentrismo clericale che in nessun modo intende cedere il suo potere…”. “Investire sulle donne. É tutta la vita che lo faccio. Si potrebbe davvero fare molto di più…”; “investire sulla formazione teologica non è uno spreco, ma una scelta saggia e lungimirante – ciò vale ovviamente per gli uomini come per le donne.” Di questo e di altri temi delicati abbiamo ragionato con lei.

 

a cura di Giandiego Carastro

 

Nata a Castellamare del Golfo (TP) nel 1945, la professoressa Cettina Militello, ha un curriculum lunghissimo e prestigioso. È laureata in filosofia e teologia. Già docente di ecclesiologia, liturgia e mariologia presso diverse facoltà ecclesiastiche di Roma; dal 1983 dirige l’Istituto Costanza Scelfo per i problemi dei laici e delle donne nella Chiesa e dal 2002 la cattedra “Donna e Cristianesimo” presso la Pontificia Facoltà Teologica Marianum. Già presidente della Società Italiana per la Ricerca Teologica (SIRT) attualmente fa parte del suo direttivo ed è socia ordinaria di diverse associazioni teologiche (AMI, APL, ATI, AFERT); è membro del direttivo della Pontificia Accademia Mariologica Internazionale (PAMI) e ha fatto parte del gruppo teologico misto del SAE. La sua bibliografia è raccolta nel volume, dedicatole per i suoi 70 anni, L’Ecclesiologia dopo il Vaticano II, curato da C. Caltagirone e GL. Pasquale (Marcianum, Venezia 2016). Diversi i volumi propri e quelli da lei curati; da ultimo (con Serena Noceti) Le donne e la riforma della Chiesa, EDB, Bologna 2017; Maria con occhi di donna. Nuovi saggi, San Paolo 2019; Ripensare il ministero. Sfida e necessità per la Chiesa, Nervini, Firenze 2019; Fraternità e sororità. Una sfida per la Chiesa e la liturgia, Cittadella, Assisi 2021. Grazie per il tempo dedicatoci, gentile prof.ssa

 

Comincio dal chiederle come sta vivendo il cammino sinodale nella sua diocesi? Da battezzata e da teologa, che aspettative ha sui cammini sinodali?

Purtroppo, sono “apolide”. Il che è paradossale per una persona che per quarant’anni ha insegnato ecclesiologia. Sono a Roma, ma è come se non ci fossi. Dalla mia diocesi d’origine manco ormai da trent’anni. L’impressione che ne ho è di un procedere lento e nemmeno molto centrato. Sono vittima anch’io, nella mia storia personale, del Concilio incompiuto. Tutto sarebbe stato assai diverso se avessimo accolto il Vaticano II. Invece ci siamo impantanati nelle ermeneutiche e nel frattempo le Chiese ne perdevano memoria, peggio, lo tradivano. Scoprire la sinodalità (epigono della riscoperta conciliare del popolo di Dio), farne stile, metodo, modalità che restituisca le Chiese alla loro bella forma: questo vorrei venisse fuori dai cammini sinodali…

 

Lei è coordinatrice dell’Istituto Costanza Scelfo per i problemi dei laici e delle donne nella Chiesa. Quali sono i problemi dei laici e delle donne nella Chiesa?

Sono i problemi del popolo di Dio tutto. Viviamo in un tempo di congedo dalle comunità cristiane, in un tempo in cui è difficile trasmettere la fede. È un tempo sospeso, senza gli slanci ideali (e ideologici) della mia generazione. L’impressione è che occorra una trasformazione strutturale che ci coinvolga tutti in un ripensamento radicale della identità e della varietà dei soggetti ecclesiali. Ovviamente in primo piano è la questione del ministero e connessa quella delle donne nelle Chiese. Non si tratta di rivendicare, ma di capire finalmente la comune dignità battesimale e quanto ne deriva.

 

Che vuol dire per una adulta ed un adulto di oggi confrontarsi con la forma, lo stile, di Gesù Cristo? Cosa è la teologia per laici? Ha un futuro? Oppure è opportuno ripensare ad una formazione comune tra presbiteri, laici, religiosi e successivamente una diversificazione?

Purtroppo, forma e stile di Gesù Cristo ci appaiono mediati da tante sovrastrutture che niente hanno a che fare con la semplicità e radicalità del messaggio originario. Gesù ha annunciato il regno di Dio e i suoi valori. Ma restano fuori dal nostro orizzonte fattuale e testimoniale.
Non credo a una teologia per Laici. La teologia o è teologia o non serve a nessuno. Mi duole che in Italia si siano creati percorsi paralleli tra gli ISSR e le facoltà ecclesiastiche. Non mi convince il diploma di magistero che chiude gli ISSR. Sono invece per una formazione comune e previa. Prima, da battezzati, si studia insieme teologia, poi ci si sottopone al discernimento delle comunità per essere abilitati al ministero che corrisponde al carisma proprio a ciascuno/a. Trovo assurdo che a livello secolare si frequentino scuola superiore e università e che a livello ecclesiale ci si fermi alla catechesi per la prima eucaristia o, nel migliore dei casi, per la confermazione.

 

Nel Novecento, siamo passati dal volto di Dio Padre presentatoci come Giove tonitruante pronto a scagliarsi contro di noi per i nostri errori (soprattutto in cabina elettorale ed in camera da letto…), al volto di Dio Padre misericordioso, con delle viscere di misericordia… Dal suo punto di vista di teologa ecclesiologa, come le parrocchie e le comunità diocesane hanno vissuto questa transizione nella narrazione del volto del Padre? Come mai esistono credenti che cercano un “riflusso” verso il volto più paganeggiante di Dio?

È più facile fare i conti con l’Onnipossente. È più facile rispondere sì o no a una lista di peccati veri o presunti tali. Incontrarsi con la misericordia, cioè essere costretti all’autogiudizio, alla fatica del pensare, alla coerenza testimoniale del credere è molto molto più difficile. Infastidisce i fedeli e infastidisce i presbiteri. Che fatica dover discernere, consigliare, dialogare. Assai più facile condannare… Posso sempre dire: “sono cristiano anche se…” mentre l’“anche se” svilisce e mette in forse l’affermazione: “sono cristiano”.
Il problema è uno soltanto: l’accidia. Preferiamo lo stantio, senza accorgerci che è estraneo o contrario al messaggio, anziché il vento nuovo che ci obbliga a reinventare o quanto meno a vagliare il nostro abitudinario essere cristiani.

 

Da teologa, quale volto del Padre dobbiamo ancora scoprire per affascinare i “cuccioli d’uomo” (copyright don Armando Matteo) allo stile di Gesù?

Sarebbe facile dire: recuperare il volto materno di Dio… Ma anche questa dicitura pone problemi. Forse dovremmo andare oltre le metafore familiari e inventarci qualcos’altro. Padre Figlio sono nomi che si approssimano più che a Dio al nostro mondo relazionale familiare. Non ho esperienza della maternità. Ma se avessi avuto dei figli li avrei con tutta naturalezza inseriti nella comunità cristiana confidando nella sua forza anamnetica e mimetica. La comunità è memoria vivente ed è memoria affidata a gesti e parole. Non avrei dato lezioni, ma vissuto. E poi, solo poi, avrei risposto alle domande… Insomma, innanzitutto vivere la fede e poi conseguenzialmente darne le ragioni.

 

Lei propugna il recupero della memoria ecclesiale dei primi secoli del cristianesimo in Occidente, quando le Chiese erano chiese di case, non ancora Basiliche o pievi o edifici sacri…Ci sono le condizioni per questo ritorno? Dove Lei ha potuto osservare casi di chiesa di case?

Si, conservo l’utopia dell’ekklesia kat’oikon, della Chiesa nelle case. Ed evidentemente non ne considero solo l’aspetto cultuale, il raccogliersi per fare memoria della morte e risurrezione del Signore; considero anche la carità fraterna e sororale, l’apertura agli altri… considero la forza dell’annuncio casa per casa e la testimonianza che l’accompagna… La struttura ministeriale modulata sul cursus honorum dell’impero ha sacralizzato culto e diakonia facendone una questione professionale. Penso invece che tutti siamo portatori del comune sacerdozio, tutti profeti, tutti portatori dell’exousia regale… Insomma, mi piacerebbe ripartire da lì o quanto meno investire nella dignità di una coppia davvero sposata nel Signore. Sì, conosco qualche casa-chiesa nel senso forte del termine, casa aperta, alla vita, agli altri, con ritmi di preghiera propri, solerte dentro e fuori. Il fatto è che abbiamo investito veramente poco sul piano della reciprocità nuziale, ma più in generale sulla reciprocità come tale…

 

Non sono un teologo e non mi azzardo a parlare di presbiterato alle donne…Più prosaicamente, però, sarebbe opportuno che i Pastori investano di più sulle donne, anche finanziariamente…Ad esempio: se un pio lascito prevede una somma importante per lo studio dei credenti, perché questa somma va data a priori al presbitero? Perché non anche a laiche e laici? Nella mia diocesi, ho suggerito ad una cara amica che vorrebbe proseguire gli studi teologici di chiedere un sostegno al Vescovo…

Personalmente non penso che lo Spirito chiami al ministero discriminando sul sesso. Seguitiamo a parlare di incapacità delle donne a rappresentare Cristo capo e non ci rendiamo conto che riscaldiamo la minestra già acida della imbecillitas sexus. Siamo dinanzi a un patriarcalismo e androcentrismo clericale che in nessun modo intende cedere il suo potere… Investire sulle donne. É tutta la vita che lo faccio. Per quel che posso. Si potrebbe davvero fare molto di più… Se ne avessi i mezzi istituirei delle borse di studio o delle cattedre riservandole a donne. Le comunità dovrebbero farsene carico. Investire sulla formazione teologica non è uno spreco, ma una scelta saggia e lungimirante – ciò vale ovviamente per gli uomini come per le donne.

 

Riprendo una Sua affermazione da Agensir del 18.11 scorso: “Il discernimento è ciò che rende diversa un’assemblea ecclesiale da una qualunque assemblea democratica; esso fa leva su un dono dello Spirito: il consiglio”. Sarebbe bellissimo se i cammini sinodali offrissero questa esperienza di discernimento comunitario… Ma come renderlo possibile?

Confesso che il documento preparatorio, se preso sul serio, se non ridotto a kermesse burocratica o vetrina d’efficienza, indicazioni ne da. Bisogna avere la pazienza d’interrogarsi e di ascoltarsi reciprocamente. Ascolto e dialogo sono la condizione per l’elaborazione di un consenso che è vincolante nella misura in cui è sorretto dal discernimento. Sì, il discernimento comunitario può essere ricondotto al dono del consiglio. Ed è fondamentale. Tutti abbiamo qualcosa da dire. Tutti dobbiamo reciprocamente ascoltarci. Certo è faticoso elaborare una scelta, una decisione, un orientamento compartito. Forse è più facile farlo a colpi di votazioni. Ma ciò che fa differente le Chiese è che non vi si procede a maggioranze qualificate, ovvero che le maggioranze qualificate sono frutto di un discernimento comune, faticoso sin che si vuole, ma quanto più arricchente e fedele al disegno originario. Purtroppo, abbiamo preferito le scorciatoie autoritarie, le abbiamo motivate teologicamente, caparbiamente… Ora però è il momento di cambiare.

 

Il prof. Fulvio De Giorgi nel suo pamphlet Quale Sinodo per la chiesa italiana chiede allo Spirito Santo non tanto nuovi carismi (forse ce ne sono già tanti …), ma nuovi ministeri. Ministeri ordinati, istituiti, di fatto… Di quali ministeri la Chiesa avrebbe maggior bisogno oggi?

Penso che anche questa sia una questione di discernimento. I ministeri, come i carismi, rispecchiano l’incedere delle Chiese nel tempo. Lo spirito suggerisce ciò di cui c’è bisogno. Oggi, forse, bisogna più insistere su quanto dice estroversione, incontro, dialogo, riconoscimento della ricchezza che viene dal fatto che nessuno/a di noi è identico ad un altro/a. Abbiamo tanti problemi nella cosiddetta casa comune. E questi problemi chiedono risposte ministeriali.
Sono persuasa che ciascuno ha un suo nome di grazia. Esso va scoperto insieme. Direi che i ministeri di cui abbiamo più bisogno sono quelli relativi all’annuncio, alla testimonianza, alla estroversione solidale (giustizia, pace, povertà, ecologia, economia sostenibile, politica, mondo digitale…), senza dimenticare i percorsi formativi, perché i ministeri non si improvvisano. Il dono va non soltanto scoperto e autenticato, ma fatto crescere e accompagnato con tutti i mezzi possibili. Personalmente poi chiedo allo Spirito che moltiplichi i profeti. È di profezia che abbiamo bisogno. Solo la voce dei profeti ci farà fare quel salto di qualità che sani ogni discriminazione di genere, che guarisca la piaga del clericalismo e le tante altre che deturpano il volto delle Chiese. Solo la profezia può traghettarci verso quella riforma urgente, urgentissima, condizione stessa del futuro delle Chiese.

One Comment

  1. Rinfranca l’animo o l’anima quel sentire che la casa è luogo primario per iniziare una comunità. Certo sposi perfetti mi crea blocco ma bella e coraggiosa intervista.

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