ARIA DI “RIVOLUZIONE” NELLA CHIESA DI FIRENZE: PER QUALE FUTURO?

Un editoriale di padre Alberto Bruno Simoni pubblicato sulla rivista “Koinonia”, (n. 290 del 13 gennaio 2012), http://www.koinonia-online.it  ConventoS.Domenico – Piazza S.Domenico, 1 – Pistoia

 

“Anche un lettore saltuario e distratto de “Il Corriere fiorentino” potrebbe facilmente rendersi conto di quanto queste pagine locali del Corriere della sera siano ospitali nei confronti della “Chiesa di Firenze” che va per la maggiore, e cioè quella che si fregia di tante glorie e di tante storie che sembrano fare da cornice per un quadro in fase di restaurazione raffinata.

Ed allora capita che il Corriere fiorentino del 7 gennaio ci offra ben due pagine, che ci danno l’immagine di una chiesa vincente e unitaria, per quanto sorprendente agli occhi di chi guardi al di là delle apparenze di facciata. Vi si può cogliere subito un lapsus fotografico, quando si riportano le foto di tutti gli ultimi vescovi di Firenze, ma non figura quella del cardinale Piovanelli.

A parte questa svista, siamo all’indomani della nomina a cardinale dell’attuale Vescovo Giuseppe Betori e quindi largo alle reazioni e ai complimenti trasversali che dicono di “un premio al suo magistero e alla comunità cattolica”. Ma, guarda caso, l’annuncio arriva da Roma dopo la messa solenne dell’Epifania in san Lorenzo, “celebrata in latino (ma con letture ed omelia in italiano), accompagnata dalla suggestiva ed emozionante liturgia musicale fiorentina del XIV secolo”.

Già questo la direbbe lunga sul contesto di Chiesa che si è ricreato e che spiega l’emergere di tendenze formali ed estetizzanti, in sostituzione di tendenze diverse o comunque sotto controllo. Ma a parte la costatazione di una stampa laica che dà rilievo a questa immagine di chiesa, una prima sorpresa è nel fatto che ad avvalorarla storicamente sia un intervento di Alberto Melloni (spesso ospite in questo giornale locale), che si sofferma sul nuovo ruolo del vescovo a Firenze, che “non è una diocesi qualsiasi nella chiesa cattolica e in quella italiana” e che ha segnato la chiesa per una intera stagione. E dopo aver presentato un vescovo preparato a raccogliere l’eredità fiorentina, A.Melloni si affaccia sul futuro in maniera sospensiva: “Che con la porpora Betori ne sia ancora di più visibilmente erede, custode, voce e seminatore è un fatto dalle conseguenze imprevedibili”.

Ma forse è qualcosa non del tutto imprevedibile, date certe premesse celebrative  e data l’interpretazione aulica che di questi eventi ci dà Pietro De Marco, parlando senza mezzi termini di “Rivoluzione fiorentina: più mistero meno socialità”. Si riferisce naturalmente alla esecuzione de “La Missa seicento anni dopo” e alla celebrazione del Vescovo secondo il Messale latino. Come dire che nell’ascolto musicale del XIV secolo e nell’uso del latino non ci sia socialità, quando proprio dovrebbero assicurarla e crearla alla loro maniera. E come se il richiamo al mistero escludesse la socialità e quindi la comunione che sostanzia ogni forma di chiesa! A tanto si arriva quando ci sta a cuore di parlare “del tempio ornato di belle pietre e di doni votivi”, non tenendo conto che “non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta” (Lc 21,6-6), perché possa rinascere un tempio di pietre vive, e cioè di persone in carne ed ossa solidali tra di loro mediante Cristo.

A sostegno della sua valutazione, Pietro De Marco parla di una “nuova dialettica dei riti“. E va bene! Salvo poi dimenticarsene e parlare a senso unico di correttivo per una indebita frattura pratica ed ideologica: “La libertà della celebrazione della Messa latina detta (impropriamente) preconciliare è il correttivo, se non il risarcimento, di un’indebita frattura pratica e, più gravemente, ideologica consumata nel recente Novecento. Frattura con la tradizione medievale-moderna della Chiesa e, quanto alla lingua, pressoché con l’intera  tradizione. Non voluta dalla Costituzione sulla liturgia, la frattura consisté nella cancellazione deliberata o di fatto dello spirito della liturgia precedente la riforma, quasi lasciando intendere ch’essa fosse in sé cristianamente inadeguata, il che è assurdo”.

Tralasciando di lamentare che purtroppo una rottura non c’è stata e che ci troviamo ancora nel solco della tradizione di una chiesa medievale-moderna, mi permetto di chiedere amichevolmente a Pietro De Marco se ritiene che il neo-cardinale Betori – con quella responsabilità di chiesa di cui parla Melloni – possa essere totalmente dalla sua parte e sposare le sue posizioni. Così come verrebbe spontaneo chiedere – potendo – allo stesso cardinal Betori se la celebrazione in latino dell’Epifania, da cui De Marco prende le mosse e peraltro del tutto legittima, stia a rappresentare una linea pastorale ben precisa. Da Alberto Melloni sarebbe bene sapere se “L’eredità di Dalla Costa e due missioni romane”, di cui egli ci parla in riferimento al neo-cardinale, coincidano con quanto De Marco ci espone, altrimenti il polverone disorienta!

Al di là di ogni provocazione, ci sarebbe da chiarire se la “rivoluzione fiorentina” che a detta di De Marco sarebbe in atto, soppianti quella che lui chiama “l’inaccettabile lettura ideologica e sostanzialmente “rivoluzionaria” che del Concilio è stata data da élite teologiche e pastoralistiche cattoliche, e lentamente penetrata nei laicati parrocchiali”. Qualcuno si sente chiamato in causa in quel di Bologna?

Non entriamo poi nella questione del “dato sacramentale” su cui De Marco ci intrattiene, ma mentre si riconosce che “la forma rituale della Messa ‘antica’ ha, dunque, una portata obiettiva per la fede” e ha quasi un valore sacramentale, si afferma che “la lingua non ordinaria” – e quindi il latino – “opera contro la tentazione evidente ogni domenica di considerare ‘sacramento’ l’assemblea, ossia di sacramentalizzare la socialità dei credenti a scapito del mysterium fidei”. Niente da dire da parte di nessuno davanti a queste affermazioni, che – queste sì – provocano quel “santo sbigottimento” affidato  alla architettura, alle arti figurative e alla musica?

Sotto la parvenza di verità orecchiabili non si lasciano passare affermazioni davvero aberranti e sovversive? È questa la rivoluzione che si vuole a Firenze?

Qui veramente andiamo al di là della suggestione quotidiana di un articolo e si entrerebbe in questioni teologiche delicate e serie. Ma quel che sarebbe importante chiarire è se – al di là di evocazioni nostalgiche e molto soggettive che riscuotono spontanei ed entusiastici consensi – a tutto questo ci sia un avallo tacito da parte di chi ha responsabilità di un “magistero a carattere prevalentemente pastorale”. In ogni caso sarebbe bene e doveroso venire allo scoperto e smascherare queste operazioni tanto accattivanti quanto sconcertanti. Così come si usa fare nei confronti di stili celebrativi diversi.

Stiamo a vedere, ma intanto una certa vigilanza non sarebbe fuori luogo, se un lavoro di discernimento è necessario!”

 Alberto Bruno Simoni op

Comments are closed.