A difesa dei valori chi della negoziabilità ha fatto un valore?

Non c’è un’incongruenza nel Partito che vuole definirsi tutore dei valori non negoziabili, se nel corso di questi  anni è stato fatto del mercato il principio ispiratore di tutto?

di Vittorio Sammarco

Sia detto senz’alcun intento polemico. Mi chiedo da un po’ di tempo: ma come possono proclamarsi alfieri difensori dei cosiddetti “valori non negoziabili” gli allievi sostenitori di una maggioranza politica, di centro destra, che ha fatto della negoziabilità un valore? Ossia: ha nel corso degli ultimi vent’anni propugnato con forza la tesi che tutto ha un prezzo, ogni genere di bene ha un punto cruciale dove la domanda e l’offerta si incontrano, e non è più neppure importante che la seconda riesca a spuntare un livello alto per ritenersi soddisfatta, tanto è vitale la transazione in sé.

E si tratta, dunque, si negozia, si impostano tattiche e strategie, si finge, si imbroglia, si millanta e poi si ritorna sui propri passi per ottenere il risultato migliore.

Mandando a braccetto efficienza ed efficacia si porta all’estremo valore la legge del mercato. Appunto. E se questo può anche essere accettato per il commercio di beni e servizi, secondo le normali transazioni di una società a capitalismo avanzato, è altrettanto imprescindibile affermare che la logica del mercato deve – obbligatoriamente – trovare un limite che risiede, prima ancora che nelle regole e nei sistemi economico-sociali, nella stessa filosofia di vita dei cittadini.

Lasciamo da parte la “negoziazione” di corpi e cervelli, ormai imperante secondo il metro che premia e paga (si tratta solo di fissare il giusto prezzo) la bellezza desiderabile e scissa dall’anima, e l’intelligenza fedele al potere, ma separata dalla libertà. Troppo facile parlare di mercato perverso in questi casi.

Ma cos’altro è, se non squallida e illecita contrattazione, l’assegnazione di posti di potere e di responsabilità che dovrebbero servire alla collettività, come contropartita di precedenti prestazioni di tutti i tipi?

Oppure, per fare un altro esempio, cosa sono i condoni, se non il contratto (al ribasso) che segue la violazione di una regola, fiscale, contributiva o edilizia che sia?

O, ancora, aver dichiarato per anni la legittimità morale di non pagare le tasse (e quindi di “non mettere ancora le mani nelle tasche degli italiani”), se lo Stato appare come vessatorio, truce impositore di meri balzelli, che altro invece non sono che il giusto corrispettivo ai servizi offerti, quando sono offerti, secondo il sano principio “da ciascuno secondo le sue capacità, a ciascuno secondo le sue necessità”?

E lo scudo fiscale? Commercio di … denaro e degli obblighi derivanti dalle leggi sull’esportazione di capitali. Le clientele politiche? Commercio di voti, facendo leva – spesso – sul bisogno di un padrino politico per necessità di sopravvivenza. Le tangenti? Commercio di lavori pubblici e privati. I programmi televisivi morbosi? Commercio di corpi e sentimenti. Persino accordi internazionali e scelte difficili e drammatiche, come l’entrata in guerra, ha visto – con disarmante chiarezza – prevalere il criterio: “ci conviene economicamente”. E così via.

Tutto, in questi sciagurati tempi di decadenza, è stato sottoposto alla legge della negoziazione che trova il suo trionfo a prescindere da ogni considerazione etica e valoriale; etica e valori, che in questo caso non possono che funzionare da freno, da bandire perché troppo influenti sul successo finale o – peggio – sulla riuscita stessa dell’accordo. E’ un caso che l’Italia in questi ultimi anni sia precipitata nelle classifiche internazionali sulla corruzione? No, non lo è.

Quindi campeggiano alcuni verbi: trafficare, lucrare, ingegnarsi, creare alleanze e schemi, contrapposizioni e accordi, opzioni e priorità. Alimentando, alla fine dei giochi, un sistema di pensiero, una weltanschaung, una visione del mondo, alla quale o si appartiene, e quindi ci si fregia orgogliosi di far parte della banda dei vincenti, o si rimane fuori, tra i “perdenti”, gli sfigati, quelli che non hanno diritto di parola, quelli che rosicano d’invidia perché non hanno ottenuto gli stessi risultati dei primi (si veda, a mo’ d’esempio, l’illuminante intervista televisiva alla signora Terry de Nicolò, su YouTube, per chi l’avesse persa).

A chi governa (questo sì) il pensiero unico dominante, non passa nemmeno per l’anticamera del cervello che ci possano essere sistemi di pensiero e di vita diversi, affrancati dalla legge del mercato o, quantomeno, dall’intima convinzione che solo così si possa vivere una vita dignitosa.

Eppure, dopo questi anni di “tratta continua”, ora c’è qualcuno che (si veda il recente libro, le interviste e il pensiero del ministro Sacconi) ci viene a dire che il centro destra, e segnatamente il Pdl, sarebbe il partito più cristiano, il solo in grado di tutelare davvero i “valori non negoziabili”.

Davvero non ci sorprende: hanno negoziato di tutto, traendone a lungo un discreto (e immeritato) profitto in termini di consenso e di credibilità. Ora si passa alla verità: nell’indecente speranza che le coscienze e il cervello degli italiani, ormai, siano acquistabili con pochi spiccioli.

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