Proviamo a ragionare di pace

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di Sandro Antoniazzi

La guerra in Ucraina continua da tempo, senza che si veda alcuna prospettiva di soluzione. Giustamente, dice Kissinger, se non si trova una soluzione con le armi allora bisogna ricorrere alla via diplomatica, politica.
Ma il problema sta proprio qui; al momento nessuno sembra avere un’idea di come sia possibile fare la pace. Qualcuno, compreso il nostro Presidente del Consiglio Giorgia Meloni, parla di pace giusta.

Ora la pace giusta, per chi sta dalla parte dell’Ucraina e ne ascolta la voce, consiste nella riconquista di tutti i territori perduti, Crimea compresa; in altre parole, guerra sino alla vittoria.

Ma che questa vittoria non sia a portata di mano ormai lo pensano in molti, particolarmente nelle alte sfere USA (che, non dimentichiamo, sono i veri protagonisti della guerra, perché se l’Ucraina mette gli uomini, la maggior parte delle armi, dei finanziamenti e delle comunicazioni vengono dall’America).

L’alternativa è alzare il tiro, elevare il livello dello scontro: è ciò a cui chiaramente tende Zelensky, che chiede più armi (ne occorrono dieci volte di più di quelle che arrivano oggi) e che vorrebbe un più diretto coinvolgimento di altri Stati, perché oggi la guerra interessa l’Ucraina, ma domani potrebbe riguardare altri, perché è una battaglia comune per la democrazia, ecc…

E così il rischio dell’escalation procede: l’Inghilterra propone munizioni con uranio impoverito, un ministro tedesco parla della possibilità di colpire centri russi, Stoltenberg esprime la possibilità di inviare aerei e da ultimo Borrell pensa a un intervento delle marine dei Paesi europei nientemeno che a Taiwan per proteggerne il canale.

Quest’ultima affermazione, che sembra solo un’esagerazione fuori luogo, in quanto è molto probabile che non sia raccolta da nessuno, offre però plasticamente l’idea della situazione.

L’Ucraina è l’epicentro, ma in fondo è una realtà limitata; sempre di più il vero teatro dello scontro è il mondo intero (e la battuta di Borrell è illuminante in proposito).

La guerra in Ucraina è direttamente o indirettamente la causa maggiore dell’inflazione che pesa su tutti i popoli e tutte le famiglie, ci siamo procurati l’energia necessaria ma i costi sono cresciuti, tanti paesi poveri sono diventati poverissimi, le migrazioni aumentano per soddisfare necessità elementari, ogni Stato ha deciso di spendere di più in armamenti, le catene produttive e distributive sono entrate in crisi producendo fenomeni di protezionismo (vedi USA).

Sono scoppiate nel frattempo altre tensioni mondiali, non solo a Taiwan, ma anche in Sudan, dove si fronteggiano due gruppi armati, ma dove hanno interessi sia gli USA che la Russia (che è presente con la Wagner).

La Cina, che non partecipa alla guerra in Ucraina, intanto estende la sua influenza in Africa, ma ora sempre di più anche nei paesi arabi; e un’alleanza Cina-paesi arabi non è certo una prospettiva rassicurante.

Le relazioni internazionali stanno decisamente peggiorando per l’Occidente, l’area di cui facciamo parte stabilmente e organicamente (basterebbe pensare a cosa sarebbe un’ipotetica difesa dell’Italia senza la NATO).

Qui sbaglia Conte che parla di pace, ma separandosi dagli alleati; al contrario occorre parlare di pace, rimanendo saldamente uniti agli alleati e all’Ucraina.

Detto questo, sembra ragionevole cercare immediatamente la pace.

Certamente significa rinunciare almeno a una parte dei territori in questione, ma la soluzione alternativa è solo una guerra ben più pesante che non sappiamo dove possa arrivare, con pericoli enormi fuori da ogni controllo.

La rinuncia di qualche parte del territorio sembra presentarsi come un male minore rispetto ai danni già provocati dalla guerra e a quelli incorso a livello mondiale.

L’Ucraina, che è dalla parte della ragione e che merita tutta la nostra stima e l’incondizionato appoggio, avrà come contropartita un’accoglienza fra gli stati europei democratici e un accordo europeo e internazionale che le garantisca la sicurezza per il futuro.

Ora però è necessario che qualcuno si muova; un piccolo passo l’ha fatto la Cina, qualcosa dovrebbe fare l’America (su cui pesa purtroppo il prossimo inizio della lunga lotta presidenziale); dopo di che potrebbe essere l’ONU, coi suoi limiti ma con un necessario atto di coraggio, ad aprire la strada per i colloqui di pace.

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