Trenta anni senza Moro: verso la fine della transizione politica?

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Luigi Berlinguer e Aldo Moro

L’autore, presidente dell’Istituto De Gasperi di Bologna, interviene nel dibattito sul bipolarismo aperto da Guido Formigoni su questo portale (https://www.c3dem.it/5493)

 

Nel suo 30 anni con Moro (Editori Riuniti, 2008), Giovanni Galloni dà conto di un colloquio con Moro, la mattina del 20 febbraio 1978, a pochi giorni dal rapimento di Via Fani. E’ una testimonianza importantissima, per il suo contenuto e per l’autorevolezza e l’importanza dell’autore, allora vicesegretario della Dc vicario di Benigno Zaccagnini.

E’ all’ordine del giorno la formazione del Governo monocolore Andreotti, sostenuto dal voto favorevole sul programma, tra gli altri, dei comunisti (soprattutto dei comunisti).

Moro chiede a Galloni se sia davvero convinto che l’accordo sul governo di programma possa/debba durare oltre il giugno 1981, e cioè oltre la scadenza della legislatura in corso. Lui lo escluderebbe, sperando che dall’evoluzione in corso possa generarsi una situazione che consenta da una parte alla Dc di “raccogliere i voti dei nostri elettori su un programma alternativo il più possibile avanzato e cercare la convergenza parlamentare dei partiti laici democratici che non intendano fare il governo con i comunisti, compreso lo stesso partito liberale”, dall’altra ai comunisti di presentare “un programma alternativo di governo, pur avendo in comune con noi i principi fondamentali della Costituzione”. I democratico cristiani cercheranno “di vincere le elezioni su una linea di riforme democratiche, rifiutando uno schieramento di destra. Ma anche se dovesse vincere lo schieramento alternativo democratico di sinistra, rimasto fermo sui principi costituzionali della democrazia parlamentare, noi passeremo all’opposizione, ma la democrazia nel paese non sarebbe stata per questo compromessa. Avremmo raggiunto cioè in Italia la democrazia compiuta”.

Dunque, Aldo Moro, alla ricerca di un passo diverso dall’ormai sbriciolato governo al “centro” del sistema politico, non sarebbe morto per un disegno di “compromesso storico”, ma di “alternanza democratica”.

Siamo ben lontani dalla spesso arida, definitoria e classificatoria prospettazione del politologo.

La democrazia compiuta (dell’alternanza) si qualifica tale, per Moro, non tanto e solo in virtù di “programmi alternativi di governo” ma per la condivisione tra i  due poli alternativi “dei principi fondamentali della Costituzione”. Si tratta della Costituzione italiana, un testo, sappiamo, per tanti versi inedito rispetto alle costituzioni coeve, un testo niente affatto pacifico, il contrario della costituzione  “scatola vuota”.

Lo aveva ben chiarito lo stesso Moro tanti anni prima nell’intervento all’Assemblea costituente del 13 marzo 1947 a commento degli artt. 1, 2 e 3,  segnalando che lui e i colleghi della Commissione dei 75 avevano inteso predisporre, contro un testo di pochi soli diritti immediatamente azionabili dal singolo cittadino, un testo sistematico di principi che “cristallizzano le idee dominanti di una civiltà” e vincolano “l’effimero gioco di alcune semplici maggioranze parlamentari” future.

In virtù di quella costituzione “progressiva” (si consideri anche solo la costituzione economica)  si può dunque pienamente apprezzare la circostanza che Moro, nel 1978,  vuole portare all’alternanza tra Dc e Pci una Dc con un “programma il più possibile avanzato”, “rifiutando uno schieramento di destra”. Precisa Moro: la democrazia  compiuta (dell’alternanza) sarà nell’ordine delle cose al pieno dispiegarsi di alcune condizioni: “se l’evoluzione in corso sia del Pci che della Dc andrà in porto, se da una parte il Pci compirà i passi decisivi per confermare la sua autonomia da Mosca e noi dall’altra i passi decisivi iniziati dalla Segreteria Zaccagnini per trasformare il partito, nella sua unità, in un partito popolare espressione di 14 milioni di voti”.  Il richiamo ai 14 milioni di elettori dc non sembra qui un esercizio di compiacimento, ma la constatazione che il partito ha conseguito (lo ha fatto nelle difficili elezioni del ‘76”) quella soglia quantitativa minima (come peraltro è riuscito a fare anche il Pci) necessaria per il gioco dell’alternanza, cui però deve corrispondere una soglia minima di tipo qualitativo nella realtà dei partiti destinati ad incarnarla (trasformazione e rinnovamento).

L’ampia citazione storica consente, ad oltre 35 anni dalla morte di Moro, di ancorare corposamente l’analisi sul nostro sistema politico.

L’Italia non ha conosciuto la curiosa alternanza tra un partito di ispirazione cristiana e un partito comunista come quelli italiani (entrambi cospicue eccezioni nel panorama politico europeo), disponendosi piuttosto ad un più tradizionale bipolarismo destra-sinistra, centrodestra- centrosinistra. Nessuna nostalgia per le cose morte e tuttavia, dopo varie turbolenze, questo bipolarismo è entrato in coma profondo (“bipolarismo addio?”) con le elezioni 2013.

Che bipolarismo abbiamo conosciuto? Quali le sue “colpe”? E’ davvero tutto finito?

La democrazia compiuta (dell’alternanza) di Aldo Moro comportava unità sui principi fondamentali della Costituzione italiana (che è cosa viva)  e diversità di programmi e di stili d’azione politica.

Mi sembra che, dal ’94 al termine dell’ultimo Governo Berlusconi, tra i due poli dell’alternanza si sia verificato paradossalmente l’inverso: una divisione sotto traccia e talora evidente proprio sui principi fondamentali della Costituzione (si veda la significativa proposta del centrodestra di modifica dell’art. 41 Cost. sull’iniziativa privata) e nello stesso tempo una certa omologazione dei programmi (in primis la rimercificazione del lavoro nelle diverse tappe di apertura della nostra legislazione alla flessibilità dell’occupazione e della prestazione) e delle pratiche ordinarie dell’azione politica (identificazione dei partiti con lo Stato e corruzione).

Nonostante tutto, mi sono spesso chiesto che cosa sarebbe accaduto alla nostra Italia in questi ultimi venti anni se al degrado della vita pubblica e allo svilimento dell’azione politica  si fossero aggiunte l’incerta formazione e sussultorietà dei Governi proprie di un sistema politico multipolare e/o frammentato.

Ne’ l’esistenza di una destra (sicuramente) “indecente” dovrebbe consolare troppo un centro sinistra “messo un po’ meglio”: nemmeno noi abbiamo una progettualità che, facendo sul serio i conti col liberismo e l’individualismo così profondamente penetrati anche in Italia dagli anni ’80 in poi (dagli ultimi governi “al centro” per il potere del cd. Caf , ai successivi governi di centrodestra e centrosinistra), ci consenta davvero di pensarci programmaticamente alternativi alla destra, anche a una destra decente.

Viene dunque in primo piano l’interrogativo: la crisi che stiamo così vistosamente vivendo in questi giorni è figlia del bipolarismo o dei partiti che lo hanno storicamente incarnato?

Ci sarebbe da ragionare, oltre che sul senso – culture politiche – e la direzione dell’azione politica e dello Stato – programmi – (si intenda bene: al fuoco della nostra Costituzione, finchè viva), sulla concreta conformazione dei nostri partiti: può essere indifferente, ai fini delle politiche effettivamente praticate, la forma della persona sola al comando (l’enorme concentrazione di potere nel Presidente fondatore del Pdl) o un regime di democrazia solo discendente (l’elezione dei Segretari e delle Assemblee nel Pd)? E cosa diciamo della proprietà personale (di una sola persona) del simbolo Movimento 5 Stelle, che si riflette, naturalmente, sulle liste collegate al simbolo?

Come ai tempi di Aldo Moro, tutto (cultura politica, programmi, conformazione organizzativa, sistema politico) tutto si tiene, ogni trasformazione in un punto comporta trasformazioni in un altro. Con una fondamentale differenza rispetto ad allora: che una qualche forma di alternanza e di assetto bipolare l’abbiamo già conosciuta, non dobbiamo nemmeno psicologicamente viverla ex novo. Dunque, perché abbandonarla? Perché rinunciare all’esaltazione della responsabilità, alla chiarezza delle posizioni, alla frusta  del cambiamento virtualmente sempre possibile, ad essa legate?  Perché invece, oltre che confermarla, non consolidarla con le necessarie trasformazioni alle culture, ai programmi e alle organizzazioni politiche?

Come confermare oggi un sistema d’alternanza?

Le elezioni 2013 hanno sì ridotto fortemente la concentrazione del voto bipolare ma (fortunatamente) non hanno prodotto frammentazione minuta, dei voti e della rappresentanza.  Occupano la scena, immobilizzandosi a vicenda, tre forze equivalenti e sostanzialmente irriducibili l’una all’altra  (non ha avuto fortuna la proposta di governo al centro, tra destra e sinistra, ora con la destra, ora con la sinistra; si è imposto invece un movimento fuori dagli schemi, tra eversione ed evoluzione del sistema).

Sarebbe logico e sensato, invece che metterle innaturalmente insieme, piegarle a due (chi governa, chi fa l’opposizione), adottando un sistema elettorale che, rispetto a tutti gli altri, stenda il più possibile sull’inevitabile manipolazione della rappresentanza quel velo di ignoranza che non consente facili profezie sul terzo soccombente. Quali rinnovamenti e trasformazioni, quali superamenti di se stessi verrebbero inevitabilmente suscitati da un simile quadro competitivo!

Sarebbe il colpo d’ala di questo Parlamento, a chiusura, finalmente, della nostra eterna transizione politica.

2 Comments

  1. illuminante analisi e stimolante conclusione. Suggerisce forse idea di schemi di teoria dei giochi e in particolare di giochi omogenei di maggioranza ponderata nella rappresentazione parsimoniosa che ne diede Isbell in cui si avrebbe un premio di maggioranza non dittatoriale con un ruolo decisivo per formare maggioranze anche di partiti “peones”?

  2. A proposito di bipolarismo queste sono due delle tante risposte di Casini ad Aldo Cazzullo sul C.S. di oggi.
    “…Il bipolarismo che io ho sempre combattuto, secondo me con buone ragioni, è stato messo in crisi non dall’irruzione dal centro, ma dall’esplosione di Grillo.Un fenomeno che unisce tante cose: antipolitica, invidia sociale, giusto bisogno di partecipazione, il senso dei giovani di una mancanza di futuro…”
    E quando Cazzullo gli chiede sui colleggi uninominali e sulla necessità del c.d. Centro di scegliere a destra o a sinistra, Casini così risponde:
    «Il centro cos’è? Una cultura della responsabilità, che vuole le riforme mai fatte per i veti ideologici della sinistra e una certa incapacità della destra. Ora comincia una nuova stagione. È evidente che la prossima volta dovremo schierarci…”
    Se un antibipolarista convinto come Casini, individua la crisi del bipolarismo, una nuova stagione assieme alla necessità di schierarsi, vuol dire che il bipolarismo ha fatto un passo avanti ! Un saluto, Nino

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