Statalisti contro Ratzinger

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Nell’avanzare alcune osservazioni nei confronti di uno scritto del prof. Johan Verstraeten che, sulla rivista “Concilium”, ha criticato la “Caritas in veritate” e il “Compendio della dottrina sociale della Chiesa” per una posizione eccessivamente favorevole al capitalismo, Stefano Ceccanti, in un suo scritto in www.qdrmagazine.it di un paio di settimane fa (28 febbraio 2012), accusa di statalismo conservatore Johan Verstraeten, accomunando alla sua la posizione di Stefano Fassina, responsabile economia del Pd, e quella del direttore del “L’Unità”, Claudio Sardo, e di altri. “Le posizioni di Verstraeten e altri come lui appaiono teologicamente segnate da un ‘conservatorismo di sinistra’ – scrive Ceccanti –  che non ha ancora tenuto conto del crollo del Muro di Berlino e della sua lezione anti-monarchica, contro il prepotere dello Stato e della politica”. E’ una valutazione, quella di Ceccanti, che solleva non poche perplessità e che merita una riflessione e – magari – anche un dibattito su questo sito.

 

Tra gli esperti che nella Chiesa cattolica si occupano di dottrina sociale c’è Johan Verstraeten che insegna etica all’Università cattolica di Lovanio e che ha spiegato per filo e per segno le sue posizioni sul numero 5/2011 della prestigiosa rivista internazionale di teologia “Concilium”. Verstraeten attacca il magistero della Chiesa e, specificamente, il “Compendio della dottrina sociale della Chiesa” del 2006 e l’enciclica di Benedetto XVI “Caritas in veritate” del 2009 a motivo, spiega, del pieno appoggio che danno al capitalismo.

L’autore ritiene che il punto di caduta sia individuabile proprio nel “Compendio”, e in particolare nei suoi capitoli 4 e 7, dove “l’approvazione del libero mercato e della concorrenza” sarebbe “fatta nei termini più espliciti fin qui usati nella storia del pensiero sociale cattolico”.

Ciò fermo restando che anche in precedenza la posizione della Chiesa non soddisfaceva Verstraeten, dato che il magistero, pur criticando di più l’economia di mercato, era comunque a suo giudizio contraddistinto dal “tentare quasi convulsamente di evitare qualsiasi identificazione del pensiero sociale cattolico con la socialdemocrazia o con lo Stato che fornisce assistenza sociale”.
Per Verstraeten già l’enciclica di Giovanni Paolo II “Centesimus annus” del 1991 concedeva troppo al capitalismo. Ma nel “Compendio” vi sarebbe ancor di più “un’interpretazione sorprendentemente positiva della concorrenza” e della “situazione ideale” del “vero mercato concorrenziale”.

Il “Compendio” avrebbe la colpa di aver ripreso l’impostazione dell’istruzione “Libertatis conscientia” del 1986 sulla teologia della liberazione, dell’allora cardinale Joseph Ratzinger, con la sua affermazione del primato della carità sulla giustizia, reinterpretata quest’ultima come “carità sociale e politica”, cosa che appare a Verstraeten riduttiva.

Che cosa esprimerebbe infatti quell’impostazione? Una mentalità secondo la quale “l’etica sociale cattolica, per quanto riguarda le questioni economiche”, è ridotta a “una materia di azioni individuali o intersoggettive”, mentre la necessità del cambiamento delle “strutture ingiuste” sarebbe relegata ai margini.

In altri termini – usando il lessico dei dibattiti seguiti alla “Caritas in veritate”, lessico che però Vestraten non usa esplicitamente – l’autore accusa Benedetto XVI di essere “poliarchico”, di attribuire cioè solo un ruolo parziale alla politica, accanto ad altri poteri.

Dal “Compendio”, Verstraten passa infatti a criticare l’enciclica di Benedetto XVI, la cui “preoccupazione suprema non è la giustizia, ma l’amore, non il cambiamento strutturale o istituzionale, ma una nuova prassi basata su valori quali la relazionalità, la gratuità e la fraternità”. Ovvero non la politica come centro della società ma come sottosistema parziale.

Qua e là nella “Caritas in veritate” – concede Verstraeten – c’è qualche apertura maggiore alle “politiche sociali dello Stato”, rispetto al “Compendio”, ma nonostante ciò – accusa – l’enciclica “resta piuttosto critica per quanto riguarda lo Stato”, puntando invece di più sul principio di sussidiarietà.

La strategia del filone critico impersonato da Verstraeten è sempre la stessa e opera in due momenti.
Il primo passo consiste nel prendere le distanze da una lettura dinamica del processo di differenziazione sociale in atto, che vede la politica come una tra le sfere sociali, senza primati e gerarchie, sullo stesso piano dell’economia.

Il secondo consiste nel prendere le distanze dall’evoluzione del magistero sociale della Chiesa, o nella forma della critica esplicita o in quella più sottile che consiste nell’ignorarne l’evidente sviluppo, magari fermandosi a una lettura schematica che unisce la “Quadragesimo anno” (1931) alla “Populorum progressio” (1967).

La conclusione logica di Verstraeten è che “sia il ‘Compendio’ sia la ‘Caritas in veritate’ hanno bisogno di essere riviste” ricentrando il tutto su “istituzioni giuste”, perno di “un’economia basta sulla ‘iustitia in veritate’”.

Finché questa revisione non ci sarà – ammesso ma non concesso che ci sia – le posizioni di Verstraeten e altri come lui potranno e dovranno presentarsi onestamente come radicalmente critiche della dottrina sociale della Chiesa, a differenza di quanto fa in questi giorni, in Italia, un autorevole esponente della segreteria del Partito democratico, Stefano Fassina, che espone idee stataliste identiche a quelle di Verstraeten, ma pretende di attribuirle allo stesso Benedetto XVI e alla “Caritas in veritate”.

Le idee di Fassina sono sostenute da vari interventi su “L’Unità”, anche da parte di esponenti cattolici in sintonia col direttore Claudio Sardo che proviene dalle ACLI, come l’ex-Presidente delle stesse ACLI Domenico Rosati. Mentre viceversa l’altro quotidiano del PD, “Europa”, ha dato maggiormente spazio alle opinioni anti-stataliste, in particolare con gli interventi di Flavio Felice, presidente del Centro Studi Tocqueville-Acton e professore di dottrine economiche alla Pontificia Università Lateranense, e di Edoardo Patriarca, segretario del comitato delle settimane sociali della conferenza episcopale italiana.

A dir la verità, però, le posizioni di Verstraeten e altri come lui appaiono teologicamente segnate da un “conservatorismo di sinistra” che non ha ancora tenuto conto del crollo del Muro di Berlino e della sua lezione anti-monarchica, contro il prepotere dello Stato e della politica.

Queste correnti criticano il magistero proprio perché, invece, ha tenuto conto di quella lezione. Ma, facendo ciò, esse riproducono in campo sociale quello che è il rifiuto tradizionalista della libertà religiosa: rifiuto anch’esso rigorosamente statalista, motivato in difesa della “iustitia in veritate” contro la libera scelta della coscienza erronea in buona fede.

Insomma, Verstraeten e… Lefebvre hanno teologicamente più elementi in comune tra loro di quanto non si possa credere ragionando solo sull’asse politico destra-sinistra.

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