Quella sana inquietudine per la pace

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Carlo Cefaloni, giornalista redattore di Città Nuova

L’inizio del 2021 si è aperto con l’annuncio di un esposto-denuncia da parte dei genitori di Giulio Regeni contro il governo italiano per violazione della legge 185/90, che vieta l’esportazione di armi verso Paesi in guerra nonché verso i governi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani accertati dai competenti organi dell’Ue, dell’Onu e del Consiglio d’Europa. Come è noto, infatti, dal nostro Paese sono salpate due navi da guerra destinate inizialmente alla nostra Marina Militare ma vendute all’Egitto come tappa di una strategia che vede l’Italia in competizione con la Francia nel settore degli armamenti.

Non possiamo ignorare, inoltre, che la Fincantieri, società controllata dallo Stato, ha annunciato come “prestigiosissimo risultato” la grande commessa delle nuove fregate lanciamissili alla US Navy grazie alla quale ha ottenuto, tramite la Fincantieri Marinette Marine, «un ordine plurimiliardario per la costruzione di 4 unità Multi-Mission Surface Combatants (MMSC), destinate al regno dell’Arabia Saudita, nell’ambito del programma Foreign Military Sales degli Stati Uniti».

L’ambito cliente saudita, come è noto, è uno dei maggiori acquirenti di sistemi d’arma a livello mondiale. E verso quel Paese, che guida una coalizione militare impegnata nel conflitto in Yemen, sono partiti dai nostri porti e aeroporti carichi di bombe d’areo costruite da una società italiana controllata da una multinazionale tedesca. Invio sospeso da luglio 2019 con il governo del Conte 1 e da confermare a gennaio 2021 dal Conte 2. Precedenti istanze in tal senso, presentate da diverse organizzazioni nel 2017, sono state rigettate dal governo Gentiloni nonostante le numerose risoluzioni del Parlamento europeo che chiedevano di interrompere la fornitura di armi destinate ad essere utilizzate in un conflitto dove, come avviene in Yemen, vengono colpiti impunemente suola bus e ospedali.

Credo sia evidente a tutti che limitarsi a sospendere l’invio di armi senza una politica economica e industriale alternativa apra le porte ad odiosi ricatti occupazionali come quelli che avvengono tra ambiente, salute e lavoro. Strumenti come Invitalia non possono intervenire solo dopo le crisi conclamate e annunciate, dal caso Termini imerese all’Ilva, ecc.

La dismissione del patrimonio d’avanguardia in campo civile a favore di quella bellica operata da parte della direzione di Finmeccanica, ora Leonardo, sempre a controllo pubblico, dimostra un orientamento trasversale tra le forze politiche dominanti. Sono state ignorate, in tal senso, le obiezioni ragionate sollevate, ad esempio, dell’ex presidente di Confindustria Genova, Stefano Zara, parlamentare dell’Ulivo. Così come è stata rimossa l’azione di Scanu, deputato Pd, di opposizione alla discutibile e contraddittoria operazione dei caccia F35 legata all’alleanza strategica con la Lockheed Martin.

E per capire le profonde rimozioni culturali che giustificano tali scelte, non possiamo ignorare l’affossamento bipartisan della proposta di legge di Giorgio Zanin che intendeva riconoscere l’orrore delle fucilazioni di massa operate durante il primo conflitto mondiale. L’enorme mattatoio della “grande guerra” è ancora posto a fondamento retoricamente della nostra unità nazionale.

Le idee ricostruttive elaborate a Camaldoli nel 1943, nella previsione del crollo del fascismo e accolte nella Costituzione, maturarono, secondo l’intuizione di Sergio Paronetto, a partire da un forte esame di coscienza. Era impensabile poter risollevarsi dalle macerie di una dittatura totalizzante ritornando alle fondamenta dello stato sabaudo.

Oggi, in un drammatico e incerto spartiacque della nostra storia, serve lo stesso profondo esame di coscienza per ragionare sul varo del piano di ripresa collegato a Next Generation Ue. Si tratta, quindi, di capire se è possibile superare la fumosità e genericità di tante formulazioni sulla centralità e dignità della persona, per proporre un dialogo aperto sui temi della guerra e della pace.

Un confronto aperto, non moralistico, dentro l’agone dei partiti, nel segno di Giovanni Bianchi e altri esponenti del cattolicesimo sociale e democratico che, tra tante contraddizioni, mantenevano una sana inquietudine dentro la concretezza dell’impegno di partito. Anche grazie ad alcuni di loro abbiamo avuto la legge 185/90 che ha cercato di porre la produzione e l’esportazione di armi dentro l’orizzonte della Costituzione. Una legge boicottata e presa d’assalto da lobby trasversali. Sorprende la mancanza di una vera opposizione morale interna alle forze di governo, così come è avvenuto anche con il voto per rifinanziare la guardia costiera libica coinvolta con la grave violazione delle persone migranti e come dimostra l’impotenza verso l’orrore che si consuma sulla rotta balcanica.

Nella sostanza si tratta di affrontare il nodo della posizione che si vuole assumere verso quegli autorevoli e molto ascoltati centri di pensiero che pongono il preteso interesse nazionale al di sopra di ogni criterio etico come prova di maturità politica e istituzionale. L’esempio più eclatante è quello imminente dell’entrata in vigore a gennaio 2021 del trattato di proibizione sulle armi nucleari che vede l’Italia tra i Paesi non aderenti mentre permettiamo che gli ordigni atomici siano dispiegati sul nostro territorio nelle basi di Ghedi e Aviano.

In mezzo a tante emergenze è necessario uscire da uno stato di sonnambulismo e riassumere la consapevolezza di trovarci come ci dice ancora Giorgio La Pira sul “crinale apocalittico della storia” e ridare un orizzonte degno al senso dell’impegno politico e della nostra umanità.

Carlo Cefaloni, giornalista redattore di Città Nuova

Rappresentante del Movimento dei Focolari Italia presso la Consulta dell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e del lavoro della Cei

 

Foto da pexels-spacex-586068

 

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