Quel prete che non amava la DC degasperiana

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Agostino Giovagnoli ricorda su “l’Unità” del 15 marzo, a cinquant’anni dalla morte, la straordinaria figura di don Giuseppe De Luca, sacerdote e uomo di cultura, molto legato alle sue origini meridionali (era nato vicino a Potenza nel 1898), fondatore dell’Archivio per la storia della pietà e poi delle Edizioni di Storia e Letteratura. Don De Luca ha avuto relazioni amicali e intellettuali con papa Montini e con papa Giovanni, con Togliatti e con Emilio Colombo, con Piero Bargellini e con Giacomo Manzù e con moltissimi altri protagonisti della vita ecclesiale, politica e culturale del secondo dopoguerra. “Sommo risvegliatore d’intelligenze e suscitatore di nuovi studi” lo ha definito Romana Guarnieri, sua discepola e preziosa collaboratrice.

 

Don Giuseppe De Luca, di cui si ricorda il 19 marzo il cinquantesimo anniversario della morte, non ha occupato posizioni importanti, non ha compiuto una brillante carriera ecclesiastica e non ha fondato un partito politico. Eppure la sua memoria è ancora viva e il suo insegnamento continua ad interrogarci. Senza mai assumere ruoli di primo piano, nell’Italia cattolica del secondo dopoguerra ha rappresentato un riferimento importante per quanti cercavano un’alternativa al progetto democristiano. Molto vicino a Tardini ed Ottaviani, è stato, perciò, contrapposto ad un altro importante ecclesiastico del suo tempo, Giovanni Battista Montini – Sostituto della Segreteria di Stato, poi arcivescovo di Milano e, infine, Papa con il nome di Paolo VI -, il più convinto sostenitore dell’iniziativa degasperiana per portare i cattolici alla guida del Paese.

Era inevitabile che De Luca diventasse l’interlocutore di tanti che si opponevano a quel progetto, soprattutto a destra, come i sostenitori del «partito romano», ma in qualche caso anche a sinistra, come i cattolici che continuarono a guardare al Pci negli anni della guerra fredda. E questa singolare figura di «prete romano », come egli amava definirsi, ha favorito l’incontro o, quantomeno, tentativi di reciproca comprensione non solo tra il Vaticano e i comunisti italiani, negli anni 40 e 50, ma anche tra la S. Sede e Mosca durante il pontificato di Giovanni XXIII, amico e ammiratore di De Luca. Tale contesto aiuta a capire l’interesse di Togliatti per la sua figura, ma un’interpretazione banalmente politica sarebbe riduttiva e fuorviante. De Luca, infatti, credeva nell’importanza di una cultura, in primis quella più elevata e raffinata, svincolata dalla politica e, soprattutto, dall’ansia dell’azione. Più ancora di Montini – che tra l’altro aveva una grande ammirazione per la cultura religiosa deluchiana – il suo vero antagonista fu Agostino Gemelli, fondatore dell’Università Cattolica.

Malgrado la sua eccezionale erudizione, tuttavia, egli è sempre rimasto anzitutto un uomo del Sud. Proveniva da un Mezzogiorno continentale molto lontano da Napoli, per secoli una delle più grandi città europee, e dal Mediterraneo, da sempre animato da intense correnti di scambi commerciali e di incontri culturali. Nato in un piccolo paese vicino a Potenza nel 1898, egli aveva ascoltato i racconti di quanti ricordavano i tempi in cui l’unico contatto con il mondo esterno degli abitanti dei piccoli paesi della Basilicata era costituito dalle visite pastorali del vescovo, di gran lunga il più importante evento non solo religioso ma anche sociale e civile. Don De Luca è stato uno dei pochissimi capace di dar voce a questo mondo, chiuso e arretrato, apparentemente senza storia e invece denso di una storia amara e terribile, di miseria e di sofferenze, cui per secoli – fino oltre la metà del Novecento – milioni di uomini e di donne sono stati legati da un destino apparentemente invincibile e in cui la preghiera ha rappresentato una delle poche forme in cui riusciva ad esprimersi la loro umanità. Proprio seguendo l’insegnamento deluchiano, Gabriele De Rosa ha scritto che non si prega mai nel vuoto e che un legame profondo unisce preghiera e storia. De Luca, non a caso, ha concepito un progetto di grande originalità e di forte impatto storico-culturale avviando L’Archivio per la storia della pietà, un’iniziativa che si trova agli inizi delle Edizioni di Storia e Letteratura da lui fondate intorno al 1940-’41.

La sua convinzione che un profondo legame unisce sempre umanità, storia e preghiera era, ovviamente, molto lontano dall’idea di preghiera quale oppio dei popoli, così come la sua conoscenza del ruolo della Chiesa nel Mezzogiorno era distante dalle teorizzazioni gramsciane sul legame tra clero e classi dominanti. Egli conosceva bene, infatti, quei preti «cafoni» delle campagne meridionali, sin troppo simili ai loro fedeli, di cui condividevano interamente le difficili condizioni di vita, compresi il vino e il gioco quali uniche forme di evasione.

L’interesse di Togliatti per una personalità indubbiamente straordinaria ma anche culturalmente molto lontana da lui, è indicativa di un ampiezza di vedute non comune e rimanda ai caratteri specifici del comunismo italiano, per molti versi originale forse grazie anche all’influenza del mondo religioso di cui De Luca è stata una delle più alte espressioni.

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