Per una critica democratica del capitalismo

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Ho avuto la tentazione di intitolare questo breve articolo in modo più provocatorio “per una critica non comunista al capitalismo”, allo scopo di esprimere più esplicitamente due questioni fra loro collegate e cioè che è imprescindibile rimettere a tema come obiettivo politico prioritario la lotta al capitalismo  – a questo capitalismo  –  e che per farlo non si può partire dal vecchio armamentario della sinistra (da qui il termine “comunista”, del tutto indicativo di una cultura che ritengo sostanzialmente esaurita).

Sul primo punto a me sembra evidente che il sistema mondiale così com’è non sia accettabile ed è anche un po’ ridicolo che continuiamo a parlare di aziende in crisi, di disoccupazione, di debito pubblico, di vincoli europei, quando non solo non affrontiamo, ma neppure mettiamo all’ordine del giorno il funzionamento del sistema economico mondiale che costituisce il primo e il maggiore di tutti i problemi (a cui generalmente gli altri sono connessi). Questo sistema produce diseguaglianza tutti i giorni. Si leggeva recentemente che 83 magnati posseggono lo stesso patrimonio di 3 miliardi di persone: come la mettiamo col principio cattolico della destinazione universale dei beni (di cui la proprietà privata è solo una variabile dipendente)?

Ci preoccupiamo  giustamente delle tristi condizioni degli immigrati e della loro tragica sorte nelle drammatiche attraversate del Mediterraneo, ma abbiamo presente che questa è solo una modestissima emersione di un esodo mondiale gigantesco che tocca milioni e milioni di persone e sconvolge paesi interi in modo orribile? E nello stesso tempo ci troviamo di fronte a elezioni europee dove dilagano movimenti populistici di destra, razzisti, antiimmigrati, a volte esplicitamente fascisti. Dovremmo affrontare il problema “mondo”, ma al contrario gli europei tendono a chiudersi egoisticamente in difesa, non senza acredine e violenza.

E la disoccupazione e la non occupazione che intanto salgono alle stelle? Pensiamo che le cose potranno cambiare nei prossimi anni oppure ormai si sta realizzando un equilibrio diverso e tanta produzione e lavoro sono destinati a trasmigrare altrove? E’ un riequilibrio che riteniamo inevitabile e per questo rimaniamo silenziosi? Se per un momento si potesse dire il vero, parlare con parresia come direbbe San Paolo, dovremmo mettere questi problemi al primo posto nel programma di un partito democratico, ma mi immagino la conseguenza in termini di voti. Eppure si tratta non di idealismo, ma di problemi che ormai toccano la nostra esistenza quotidiana e, se non siamo in grado di connettere obiettivi realistici internazionali coi problemi della gente, la situazione non potrà che aggravarsi. Si ha l’impressione di trovarsi sul Titanic e che l’impatto con l’iceberg non sia lontano.

A questa situazione che ho brevemente richiamato occorre ora aggiungere qualche considerazione sul perché non si esprima in proposito una cultura e un’iniziativa proporzionalmente critiche e all’altezza dei problemi. La mia convinzione è che questi problemi, in passato, e per effetto di trascinamento un po’ anche oggi, sono stati affrontati con la cultura di “sinistra”.

Questa cultura è esaurita.

Lasciando agli storici i meriti e i demeriti del passato, ciò che è certo è che oggi essa non è più in grado di costituire uno strumento analitico adeguato per interpretare la realtà, né di rappresentare un sistema di valori e di orientamenti tale da poter essere la base culturale su cui appoggiare una nuova prospettiva e un nuovo movimento.

Del resto nel mondo cattolico se si parla di “sinistra” si ha subito in mente  il “comunismo” e il “socialismo”, da cui si rifugge velocemente. Anche i cattolici democratici non riescono a evitare questa morsa: da una parte svolgono un ruolo critico degli eccessi del liberismo e dall’altra si sforzano di recuperare il possibile, con molta attenzione e prudenza, dell’armamentario della sinistra. E’ una funzione assai debole, di rincalzo e di ritocco delle posizioni altrui, che non può portare molto lontano.

Peraltro la dottrina sociale della chiesa è un insieme di ottimi principi generali, che rischiano di servire per belle citazioni oratorie se a esse non si dà corpo con una proposta storica concreta capace di affrontare i problemi reali dell’economia mondiale.

La partita del Capitalismo che si gioca oggi a livello mondiale è una partita truccata: c’è solo una squadra in campo, quella liberista (Banca Mondiale, Fondo Monetario, banche, finanze, ecc..), e per questo domina incontrastata. A valle poi i singoli stati possono fare ben poco.

L’obiettivo da porsi è dar vita a livello mondiale alla squadra alternativa, la squadra sociale, fatta non da sigle, ma da milioni e milioni di persone e di lavoratori, che pensano e costruiscono un’altra realtà sociale. Oggi i cattolici possono essere un soggetto importante, suscitatore e promotore, di questo movimento e i cattolici democratici dovrebbero avere in proposito un ruolo di stimolo e di guida. Dunque alziamo il tiro, pensiamo in grande e assumiamoci  con decisione la nostra responsabilità di fronte al mondo che ce lo chiede.

 

Sandro Antoniazzi

2 Comments

  1. Condivido in toto. Saper creare uno strumento, una proposta, “una squadra sociale” come dice l’autore per un’alternativa al Capitalismo/liberismo che tenga conto della Dottrina Sociale, per non farne solo uso per belle citazioni. La stessa cosa servirebbe per una proposta sulla salvaguardia del creato che non sia solo l’ambientalismo tradizionale, sulla cooperazione internazionale e politica di inteventi davvero umanitari (anche per evitare conflitti) alternativa alla politica delle cancellerie (viziata a volte da nazionalismi e imperialismi), e sulle questioni etiche (ultimo esempio il blocco agli obiettori nei consultori: di cui non parlo perchè non conosco il provvedimento e gli aspetti connessi, ma che rischia di essere discriminatorio) SENZA ATTEGGIAMENTI INTEGRALISTI, ma che riesca a spiegare e segnalare posizioni non necessariamente contrapposte o penalizzanti per chi è minoranza. E questa “squadra sociale” va pensata a livello anche Europeo e internazionale

  2. Condivido il taglio del ragionamento. Mi chiedo solo perché invece di continuare a scrivere le analisi non ci si incontra per realizzare dei tentativi di ipotesi di fuoriuscita da questo sistema economico, escludendo le vecchie ideologie, con azioni e buone pratiche di ricostruzione delle comunità

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