Per un rinascimento industriale. La proposta italiana per il semestre europeo

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L’articolo presenta il documento programmatico della Presidenza italiana del Consiglio dell’Unione Europea. L’autore, del Circolo Mounier di Genova, lo ha pubblicato sul settimanale della Cisl “Conquiste del Lavoro”.

Il documento programmatico della Presidenza italiana del “Consiglio dell’Unione Europea” per il periodo luglio – dicembre 2014 merita un’attenta lettura per avere un’idea dei principali temi strategici destinati a condizionare il nostro futuro. Questo Consiglio, conosciuto anche  come Consiglio dei Ministri, è composto dai ministri provenienti dai governi nazionali dell’UE. Ogni Stato membro ne assume a turno la presidenza per un periodo di sei mesi. Ad ogni riunione del Consiglio partecipano i ministri responsabili dell’argomento in discussione; il primo, presieduto dal Ministro italiano Padoan, è stato infatti quello dedicato ai problemi dell’economia (Ecofin).  Invece il “Consiglio Europeo” è composto dai Capi di stato e di governo, oltre al Presidente della Commissione; ha un Presidente permanente che viene eletto per due anni e mezzo e può essere rieletto una volta (il belga Herman Van Rompuy è in carica dal dicembre 2009). Dopo aver delineato il quadro strategico, il documento si sofferma su dieci macro capitoli (Affari generali, Affari esteri, Affari economici, Giustizia e interni, Occupazione e politiche sociali, Competitività, Trasporti e Tlc, Agricoltura e pesca, Ambiente, Istruzione/gioventù, Cultura/sport). Le principali sfide enunciate dal governo italiano riguardano l’uscita dalla crisi economica e finanziaria e l’aumento dell’occupazione. A fronte del dramma dei 26 milioni di disoccupati, la creazione di posti di lavoro rappresenta il fattore chiave per innestare fiducia nei confronti del processo d’integrazione europea. Finalmente, per invertire la tendenza in atto, si deve tener conto dell’importanza dell’economia reale, a partire dai settori manifatturiero e dei servizi qualificati, e alzare il tiro verso un “rinascimento industriale”. Una scelta quanto mai urgente se pensiamo alla drammatica caduta degli investimenti produttivi (il rapporto investimenti/Pil è sceso ai minimi livelli dal dopoguerra). Secondo dati della Banca d’Italia, nel 2012 l’industria italiana aveva prodotto 257 miliardi di euro di valore aggiunto, con un’occupazione di 4,7 milioni di addetti. Rappresenta oggi meno del 20 per cento del valore aggiunto e dell’occupazione complessivi, ma è una fonte fondamentale di innovazione e competitività (effettua oltre il 70 per cento della spesa per ricerca e sviluppo del settore privato) e ha un ruolo decisivo nell’equilibrio dei conti con l’estero (contribuisce per quasi l’80 per cento alle esportazioni). Utilizzando sempre più servizi, essa agisce anche da traino per il settore terziario: le esportazioni industriali incorporano valore aggiunto prodotto dal settore dei servizi per il 40 per cento del proprio valore complessivo. La Presidenza intende far avanzare l’agenda per l’istruzione della “Strategia Europa 2020” con un focus sull’emancipazione e l’occupabilità dei giovani; integrazione dei sistemi di istruzione e formazione con il mercato del lavoro, miglioramento dei percorsi di apprendimento basato sul lavoro (come l’apprendistato, i tirocini, ecc.). Per incrementare la ricerca e l’innovazione, oltre al programma “Orizzonti 2020” di 80 miliardi disponibili in 7 anni, saranno utilizzati fondi strutturali e fondi di investimento. Ma, aggiungiamo noi, alla luce delle ultime analisi critiche sull’uso dei fondi strutturali, occorre una maggiore capacità di verifica dei risultati conseguiti. L’euro si difende attraverso l’approfondimento della dimensione sociale dell’UEM (Unione economica e monetaria). Sulla questione delle migrazioni il governo propone di coniugare la necessaria prevenzione dell’immigrazione clandestina – anche attraverso politiche di controllo delle frontiere più efficaci – e la lotta contro il traffico di migranti con la promozione della migrazione legale, la mobilità e l’attuazione del sistema europeo comune di asilo (attuazione delle misure individuate dalla Task Force per il Mediterraneo, a partire dal rafforzamento del programma europeo del controllo delle frontiere, Frontex). Occorre soprattutto sviluppare il dialogo con i paesi terzi di origine e di transito dei flussi migratori (vedi l’emergenza Libia), in particolare attraverso partenariati per la mobilità strutturati a livello regionale. In questo spirito, la Presidenza, nell’ambito del processo di Rabat, ospiterà nel mese di novembre a Roma la quarta “Conferenza ministeriale euro-africana sulla migrazione e lo sviluppo”. Su un piano più generale, di misurazione della sostenibilità sociale, viene proposta l’adozione di un quadro analitico più rigoroso in grado di rilevare oltre quali soglie una società diventa instabile. E a questo proposito gli esempi davvero non mancano. Il Governo italiano ritiene che si debba lavorare per approntare un sistema solido e ampio di “indicatori sui fenomeni sociali”, utili per effettuare  analisi approfondite a supporto della fase decisionale. Come noto, i rischi sociali non seguono percorsi lineari, occorre pertanto rafforzare la cooperazione con Eurostat al fine di disporre di statistiche più attendibili e veloci. Il programma delineato è piuttosto ambizioso, anche perché ormai esiste una larga condivisione sul “dover essere”; come ha detto il Presidente del Consiglio, occorre ridare un’anima all’Europa, un’idealità forte condivisa dai suoi cittadini. E qui sta la prima criticità: la maggioranza dei cittadini europei ha dimostrato sfiducia, praticata attraverso la non partecipazione al voto e laddove ha votato si è schierata con le posizioni più critiche; a fronte di questi fenomeni a nulla serve agitare lo spauracchio dei populismi perché occorre innanzitutto capire le motivazioni di fondo dei comportamenti umani. Vediamo gli eventi socio politici in due grandi paesi – simbolo per la loro tradizione democratica quali la Francia e la Gran Bretagna. In Francia il Fronte Nazionale di Marine Le Pen ha raggiunto il primo posto col 25% dei consensi e, dicono le inchieste, ha conquistato oltre il 40% del voto operaio (tendenza già emersa alle elezioni politiche del 2012). Non solo, ma i consensi si sono estesi anche tra alcuni settori di immigrati: come mai?  Gilles Kepel (studioso del mondo arabo) individua due cause principali: la legge sul matrimonio tra gli omosessuali (invisa alla tradizione musulmana) e l’insufficiente impegno del governo socialista di Hollande contro l’esclusione sociale. La Francia è il primo paese arabo d’Europa con circa 5/6 milioni di residenti e i musulmani in passato votavano prevalentemente socialista. Oggi invece è stata premiata la carica anti sistema di Le Pen e non quella della sinistra radicale di Mélenchon. Si è inoltre passati dalle rivolte dei giovani immigrati del 2005 alla domanda d’ordine degli immigrati integrati che non accettano comportamenti violenti e chiedono pene severe contro gli spacciatori di droga nei quartieri popolari. Un mix di sentimenti contrastanti che sfociano nell’adesione a parole d’ordine, come quelle di Marine Le Pen, tese a semplificare la realtà sociale e a cercare capri espiatori del disagio. In Gran Bretagna il tradizionale bipolarismo, tra conservatori e laburisti, è stato superato non dalla terza forza liberal democratica, ma da un personaggio eccentrico come Nigel Farage che vanta una lunga militanza di politico di professione anti europeista: da giovane conservatore si allontana dal partito nel 1992 quando il suo primo ministro John Major  firma il Trattato di Maastricht istitutivo dell’Unione Europea; negli ultimi anni egli comincia a cavalcare la spinta contro l’immigrazione fino alla vittoria alle elezioni europee. Un successo davvero paradossale: l’uomo inglese che urla più forte contro l’Europa e che non è rappresentato nel suo parlamento nazionale di Westminster, deve la sua fama proprio alle elezioni europee! All’inaugurazione dell’ottava legislatura del Parlamento a Strasburgo, i 24 deputati dell’Ukip di Nagel voltano le spalle mentre viene eseguito l’inno alla gioia di Beethoven. Il 46% dei suoi elettori proviene dai conservatori e un altro 30% è suddiviso tra laburisti e liberal democratici. La Gran Bretagna nell’ultimo decennio ha visto notevolmente aumentare la presenza degli immigrati: 8 milioni di cittadini residenti, pari al 14% della popolazione, provengono dall’estero; l’80% dell’incremento della popolazione tra gli ultimi due censimenti (2001-2011) è dovuta agli immigrati. Ai primi posti (circa tre milioni) troviamo gli indiani, i pakistani e i bangladeshiani, mentre tra gli europei prevalgono i polacchi, gli irlandesi e i tedeschi. Circa la metà è concentrata in tre grandi aree urbane: Londra, Manchester e Birminghan. A Londra, in particolare, sono in maggioranza i residenti d’origine non britannica. Un altro dato allarmante è la bassa partecipazione alle elezioni europee nei paesi dell’ex blocco sovietico, proprio quei paesi che hanno avuto oggettivi benefici, ma che non hanno identificato la riconquistata libertà con l’adesione all’Europa. Prendiamo  l’esempio della Repubblica Ceca dove – pur avendo avuto un indiscusso leader d’alto profilo culturale e convinto europeista come Havel (capo dello Stato dal 1989 al 2003) – ha votato una esigua minoranza del 19%. In Polonia, paese che ha subito prima il dramma dell’occupazione nazista e poi la dittatura comunista,  patria di un europeista come Papa Giovanni Paolo II, ha votato meno del 23% degli aventi diritto. Ancora più preoccupante il comportamento degli elettori di quei paesi che nonostante abbiano adottato l’euro (Slovacchia, Lettonia, Slovenia, Estonia), si sentono estrani alle istituzioni europee. In questo generale contesto critico, ha tenuto la Germania dove il 75% degli elettori si è concentrato su tre partiti storici (democristiani, socialdemocratici e verdi) e soprattutto l’Italia, l’unico paese dove il primo partito (Pd) ha superato il 40% dei voti. Infine, l’ha ricordato Romano Prodi in un suo recente articolo, l’Italia può contribuire a far decollare quanto stabilito nell’ultimo Consiglio europeo di fine giugno: il “Patto europeo per la crescita e l’occupazione” che prevede investimenti nelle infrastrutture in settori chiave quali i trasporti, l’energia, le telecomunicazioni, l’istruzione e la ricerca. Inoltre è stato deciso di avviare la fase pilota dell’iniziativa sui prestiti obbligazionari per il finanziamento di questi progetti, col contributo della Bei (Banca europea degli investimenti) e della Bce. L’auspicio è che i contraddittori risultati elettorali possano stimolare il nuovo gruppo dirigente dell’Unione Europea a ripensare in grande, sull’esempio dei padri fondatori, sull’esempio del Piano Delors.   Salvatore Vento

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