Non possumus

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Maurizio Lupi non può, ovviamente, che dissentire dal don Sciortino di “Famiglia cristiana”. Il quale, con la consueta schiettezza, ha scritto che, nella situazione data, la soluzione più razionale (e più utile per il Paese) sarebbe che Berlusconi si ritirasse per sempre dalla vita politica. Beccandosi così, il coraggioso prete, del “moralista” dall’ esponente ciellino, ormai insopportabilmente sovraesposto mediaticamente, tra l’altro. E raggiunto invece dalla sorprendente considerazione di Gasparri, per il quale l’appellativo di “don” applicato al direttore del settimanale cattolico nascerebbe dal fatto che, da giovane, costui era un ammiratore di noti artisti che avevano essi pure un tale appellativo, senza essere preti.

Va da sé, a me pare, che la condanna dell’ex premier, confermata da giudici non credo impazziti, non può che avere il suo corso. E che, ferme ovviamente restando le prerogative del Capo dello Stato in argomento, la richiesta di “grazia” suona come una sorta di provocazione. Quali che siano le procedure che dovrebbero essere seguite al proposito, evidentemente sconosciute ai capigruppo PDL, che hanno fatto la solita figuraccia affermando che avrebbero sollecitato loro in tal senso Napolitano, salvo poi ridimensionare il significato dell’incontro richiesto al capo dello Stato. A riguardo della “grazia”, mi sono permesso di commentare che, fossi io il Presidente, risponderei forse positivamente alla domanda a una sola, precisa condizione preventiva: che il “condannato” dichiari pubblicamente la sua definitiva uscita di scena dalla politica, appunto. Anche perché v’è comunque un problema: considerata la prospettiva, non c’è forse il rischio che nasca l’esigenza di una prossima “grazia” numero due, dopo la numero uno? Insomma, razionalità vorrebbe che si prendesse semplicemente atto che, finalmente, “Roma locuta est, causa finita est”, lasciando Silvio al suo destino. A partire, naturalmente, dal momento in cui il Senato sarà chiamato a pronunciarsi per gli aspetti di sua competenza. In un Paese “normale”, tanto più di democrazia occidentale avanzata, l’appello del citato “don” non susciterebbe per niente scandalo, e i “media” non faziosi (o comunque non “di famiglia”) approverebbero. Già, ma la nostra è notoriamente una realtà anomala, giusto a causa del berlusconismo.

E così, lo stesso Corrierone, prima con talune ambigue affermazioni di sostanziale equidistanza tra le parti in causa, e oggi, ancora, con la voce “autorevole” di Sergio Romano, accomuna in un giudizio negativo sia i “paladini del riscatto” del padre-padrone del Pdl sia i paladini della sua “punizione” (tra i quali dunque lo stesso periodico delle Paoline, s’intende tacitamente). Questo ricorrente atteggiamento di equivocità dei “grandi opinionisti” fa dunque sì che, grazie anche al poderoso supporto dei potentissimi mezzi “di famiglia”, una fetta significativa dell’opinione pubblica italiana pensi davvero che Silvio sia un “martire” della giustizia. E che la democrazia abbia subito uno sbrego. Così, è soltanto o quasi il noto ”estremista” Padellaro a scrivere apertis verbis su “Il Fatto quotidiano” (di cui non sono fan) che la (semifallita) manifestazione di ieri di via del Plebiscito era, in qualche misura, “eversiva”. Del resto, anche in casa PD sembra ci si accontenti delle parole favorevoli al governo espresse come da copione dal “super capo” del centrodestra, nel comizio di ieri, prima del solito, veemente, intollerabile attacco alla magistratura. Ecco, allora, il punto: si parte dall’assunto – coniato “in alto”, condiviso dal celebre condannato, da via Solferino, dalla Confindustria, eccetera, e fatto proprio dai “democrats” – che non vi è alternativa di sorta all’esecutivo delle “larghe intese”, pena il precipitare nel caos politico, economico, finanziario, dell’Italia. Un altro governo, o elezioni anticipate, sarebbero una iattura. Irreparabile. Perché i “mercati” (i mercati!) vogliono “questo” esecutivo, che, insieme a quello di Monti, ci rammenta il citato ex ambasciatore opinionista, ha reso l’Italia più credibile. Lungi da me, naturalmente, dal misconoscere i meriti di Letta (che mi sta personalmente simpatico dai tempi della frequentazione in area DC), al cui esecutivo augurerei forse lunga vita (in realtà sono tra coloro che considerano un poco innaturale il connubio PD-PDL) se non fossi convinto, concordando con Renzi (da me non  votato alle primarie), che lunga vita esso non potrà avere se sul suo sfondo continuerà a stagliarsi la figura del fondatore di Mediaset. Le cui vicende giudiziarie non sono certo terminate con la sentenza del primo agosto, e comporteranno ulteriori, crescenti fibrillazioni nella maggioranza. Non per nulla, da quella parte è subito partita la richiesta di approntare con urgenza la riforma della giustizia. Che ha bisogno indubbiamente di essere profondamente rivisitata, anche per impedire taluni eccessi di protagonismo dei magistrati, ma non certo sotto dettatura dell’uomo di Arcore. Il sostegno del (sempiterno?) Cavaliere al governo suona non poco strumentale. Ambivalente, direbbe esattamente l’Epifani: il “nostro” ha da apparire quale soggetto responsabile, quale “statista” (pardòn: servitore dello Stato), in questo momento per lui delicato. In realtà, io ritengo che continui a essere tentato dal voto anticipato, da affrontare previa una campagna elettorale spesa nella veste di “martire” della giustizia, giustappunto, e a prescindere dai problemi di legittimità di una sua eventuale ricandidatura istituzionale. Lo frena il timore che, a quel punto, il Pd sia “costretto” a lanciare, in una veste o nell’altra, la candidatura di Renzi, il quale, nella prospettiva che risulti vincitore, sarebbe digerito, io credo, dagli stessi “bolscevichi” interni. Già, ma siamo sotto “il giudizio di quanti ci guardano dall’esterno”, ci ribadisce il citato Romano, e dunque guai al voto. L’opinionista, però, sembra riportare in maniera soltanto parziale l’opinione dei grandi osservatori esteri. La più parte dei quali, grandi opinionisti compresi (devo portare esempi?), ci dicono anche che abbiamo per le mani l’occasione, forse irripetibile, di liberare finalmente l’Italia dall’ingombrante fardello berlusconiano. Lo dovrebbe capire in primis il suo entourage, in verità, che ha l’occasione straordinaria di guardare in avanti, di costruire un futuro vero per il partito, di lasciar perdere l’idea di risuscitare Forza Italia. Ma è una missione impossibile, per i motivi che intuiamo. Se s’insiste contro Silvio, cade il governo, è il loro refrain. Meglio, dunque, per gli stessi investitori, un esecutivo zoppicante (ahi, la Shabalayeva!) anche perché sottoposto a ricatto, o la prospettiva di elezioni a breve, “giocate” però ovviamente nel modo giusto, tale da portare chiarezza e stabilità vera? La giustizia faccia pertanto il suo corso, dovremmo dire tutti. E se i berlusconiani persisteranno, com’è dunque facilmente ipotizzabile, in atteggiamenti “incompatibili”, sia il PD a staccare la spina. Anche perché il suo persistente ruolo di donatore di sangue “nell’interesse generale” rischia di dissanguarlo. E fa in ogni caso male ai militanti. Maggioranze diverse, che impediscano il ricorso alle urne, non sono, d’altronde, prefigurabili, al momento. L’occasione del “governo di cambiamento” è stata sprecata per responsabilità di Grillo e soci. E non è riproponibile, a me pare, prima di un nuovo passaggio elettorale. Purtroppo. Già: ma se il voto va male, ai fini della governabilità? Il tema della legge elettorale, dunque. Che sarebbe da approvarsi, in ogni caso, con urgenza. Da parte di chi ci sta, e perciò anche “contro” chi non ci sta, eventualmente, pur se sarebbe ovviamente auspicabile un fronte ampio. Una legge che preveda, è ovvio, di ridare più voce all’elettore e consenta la possibilità di una maggioranza solida in entrambi i rami legislativi, senza però premi assurdi. Il Partito democratico ha di suo una consistenza numerica fortissima, in Parlamento. Non mancano pertanto tantissimi voti per raggiungere una maggioranza “di scopo” (un unico scopo) e riuscire a sciogliere il nodo. E dunque? Certo: se si cambiano le regole del gioco elettorale, le Camere attuali vengono delegittimate. E gli “eletti” devono correre a farsi rieleggere. Ma, “hic Rhodus, hic salta!” Rivincerebbe Berlusconi, pur magari camuffato? Dubito. Ma, se così fosse, è chiaro che “ad impossibilia, nemo tenetur”. Fermo restando, naturalmente, che per la “guerra civile” bondiana non c’è tempo. Né oggi né domani.

 

Vincenzo Ortolina

 

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