MESSAGGIO FINALE DEL SINODO. Accenni di umiltà e priorità alla contemplazione e al vivere accanto ai poveri

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Il Sinodo sulla nuova evangelizzazione ha prodotto, come avviene per ogni sinodo, un “messaggio al popolo di Dio” (MESSAGGIO DEL SINODO DEI VESCOVI SULLA NUOVA EVANGELIZZAZIONE), presentato il 26 ottobre. Appare felice la pagina del Vangelo scelta come filo conduttore: l’incontro di Gesù con la donna samaritana al pozzo (Gv 4,5-42). “Non c’è uomo o donna – si legge nel Messaggio – che, nella sua vita, non si ritrovi, come la donna di Samaria, accanto a un pozzo con un’anfora vuota, nella speranza di trovare l’esaudimento del desiderio più profondo del cuore, quello che solo può dare significato pieno all’esistenza (…).Come Gesù al pozzo di Sicar, anche la Chiesa sente di doversi sedere accanto agli uomini e alle donne di questo tempo, per rendere presente il Signore nella loro vita…”.

Ricorrente nel testo è anche l’immagine del mondo contemporaneo come “deserto”, con riferimento all’espressione usata da Benedetto XVI, nell’omelia della Messa di apertura dell’Anno della fede, quando ha parlato di una “desertificazione spirituale che è avanzata in questi ultimi decenni”. I padri sinodali scrivono che il cammino che la Chiesa ha davanti appare, sì, “un itinerario nel deserto”; e – dicono – “sappiamo di doverlo percorrere portando con noi l’essenziale: il dono dello Spirito, la compagnia di Gesù, la verità della sua parola, il pane eucaristico che ci nutre, la fraternità della comunione ecclesiale, lo slancio della carità”. Questa “è l’acqua del pozzo che fa fiorire il deserto”.

In questo percorso di essenzialità si appuntano gli aspetti più convincenti del Messaggio, che è piuttosto lungo e articolato in 14 paragrafi. Due in particolare: un approccio abbastanza nettamente caratterizzato da umiltà, e l’indicazione, come priorità per la vita cristiana e l’evangelizzazione, della contemplazione del mistero di Gesù e della vita accanto ai poveri. In questo soprattutto sta la via per “offrire oasi nei deserti della vita”.

Per questo impegno di nuova evangelizzazione “non si tratta – dicono i padri sinodali – di inventare chissà quali nuove strategie, quasi che il Vangelo sia un prodotto da collocare sul mercato delle religioni, ma di riscoprire i modi in cui, nella vicenda di Gesù, le persone si sono accostate a lui e da lui sono state chiamate, per immettere quelle stesse modalità nelle condizioni del nostro tempo”. Soprattutto: “l’invito ad evangelizzare si traduce in un appello alla conversione”.

E qui viene l’umiltà: “Sentiamo sinceramente – scrivono – di dover convertire anzitutto noi stessi alla potenza di Cristo, che solo è capace di fare nuove tutte le cose, le nostre povere esistenze anzitutto. Con umiltà dobbiamo riconoscere che le povertà e le debolezze dei discepoli di Gesù, specialmente dei suoi ministri, pesano sulla credibilità della missione. Siamo certo consapevoli, noi Vescovi per primi, che non potremo mai essere all’altezza della chiamata da parte del Signore e della consegna del suo Vangelo per l’annuncio alle genti. Sappiamo di dover riconoscere umilmente la nostra vulnerabilità alle ferite della storia e non esitiamo a riconoscere i nostri peccati personali”.

E ancora: “Se questo rinnovamento fosse affidato alle nostre forze, ci sarebbero seri motivi di dubitare, ma la conversione, come l’evangelizzazione, nella Chiesa non ha come primi attori noi poveri uomini, bensì lo Spirito stesso del Signore. Sta qui la nostra forza e la nostra certezza che il male non avrà mai l’ultima parola, né nella Chiesa né nella storia (…). L’opera della nuova evangelizzazione riposa su questa serena certezza. Noi siamo fiduciosi nell’ispirazione e nella forza dello Spirito, che ci insegnerà ciò che dobbiamo dire e ciò che dobbiamo fare, anche nei frangenti più difficili. È nostro dovere, perciò, vincere la paura con la fede, l’avvilimento con la speranza, l’indifferenza con l’amore”.

La parte centrale del Messaggio contiene, poi, un excursus tradizionale sui vari aspetti del mondo contemporaneo. Non vi sono aspetti di particolare rilievo, se non forse, il giudizio sereno che ne viene dato inizialmente:  “Il nostro è un mondo colmo di contraddizioni e di sfide, ma resta creazione di Dio, ferita sì dal male, ma pur sempre il mondo che Dio ama, terreno suo, in cui può essere rinnovata la semina della Parola perché torni a fare frutto (…). Non c’è spazio per il pessimismo nelle menti e nei cuori di coloro che sanno che il loro Signore ha vinto la morte e che il suo Spirito opera con potenza nella storia”. Sulla famiglia, sull’economia, sulla politica vengono fatti cenni abbastanza scontati; un po’ meno sul rapporto con i giovani e sul dialogo tra le diverse fedi. L’accenno al concilio Vaticano II è, inopinatamente, risolto nell’affermazione che il suo magistero “fondamentale per il nostro tempo, risplende nel Catechismo della Chiesa Cattolica, riproposto a vent’anni dalla pubblicazione come riferimento di fede sicuro”.

Il Messaggio si riscatta, però, nel paragrafo 12, intitolato “Nella contemplazione del mistero e accanto ai poveri”. “Vogliamo indicare a tutti i fedeli – vi si legge – due espressioni della vita di fede che ci appaiono di particolare rilevanza per testimoniarle nella nuova evangelizzazione.

Il primo è costituito dal dono e dall’esperienza della contemplazione. Solo da uno sguardo adorante sul mistero di Dio, Padre, Figlio e Spirito Santo, solo dalla profondità di un silenzio che si pone come grembo che accoglie l’unica Parola che salva, può scaturire una testimonianza credibile per il mondo. Solo questo silenzio orante può impedire che la parola della salvezza sia confusa nel mondo con i molti rumori che lo invadono (…)”.

“L’altro simbolo di autenticità della nuova evangelizzazione ha il volto del povero. Mettersi accanto a chi è ferito dalla vita non è solo un esercizio di socialità, ma anzitutto un fatto spirituale. Perché nel volto del povero risplende il volto stesso di Cristo: «Tutto quello che avete fatto a uno di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). Ai poveri va riconosciuto un posto privilegiato nella nostre comunità, un posto che non esclude nessuno, ma vuole essere un riflesso di come Gesù si è legato a loro. La presenza del povero nelle nostre comunità è misteriosamente potente: cambia le persone più di un discorso, insegna fedeltà, fa capire la fragilità della vita, domanda preghiera; insomma, porta a Cristo”.

Nella conferenza stampa di presentazione del Messaggio, rispondendo ad una domanda sull’umiltà della Chiesa, il futuro cardinale Tagle, arcivescovo di Manila, ha affermato:che “Humility for the Church is not a strategy: it is the way of Jesus…”, che “per la Chiesa l’umiltà non è una strategia: è il modo di essere di Gesù”. “E’ il modo in cui Dio ha manifestato se stesso a noi in Gesù”. Quindi, ha osservato, “no abbiamo scelta diversa che essere umili”.

(giampiero forcesi)

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