Pasqua: “La storia riscattata”. Ricordando Aldo Moro

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 Il 9 maggio 1978 venne fatto ritrovare a Roma il corpo senza vita di Aldo Moro. Per questo 44° anniversario la figlia Agnese ha segnalato alla Settimana News un articolo che il padre scrisse per il quotidiano Il Giorno un anno prima di morire, il 10 aprile 1977, in occasione della Pasqua. Era intitolato “Agire uniti nella diversità”. Settimana News lo ha ripubblicato con un nuovo titolo. Ci fa piacere riportarlo anche noi sul nostro sito

 

Le feste cristiane conservano, anche in una società largamente laica, il potere di commuovere gli animi e di predisporre ad una nuova considerazione più attenta delle cose.

La Pasqua La storia riscattata evoca la redenzione dell’uomo, che è in fondo la meta di ogni sforzo morale e di ogni impegno politico.

Se la redenzione è l’affermazione di un valore fuori discussione e perciò, in sé, perfetta e compiuta, molti disegni di vita individuale e sociale sono invece in via di faticosa attuazione e incontrano difficoltà gravi e talvolta insuperabili. Ma il principio resta, illuminante e stimolante.

Il significato di questa giornata è nel riscontrare che, in modo mirabile e misterioso, vi sono oggi, tutte le condizioni, perché l’uomo sia salvo, salvo per tutta l’intera estensione dell’esperienza umana. È un giorno di gioia, perché la salvezza è alla nostra portata.

Ma è anche un giorno di preoccupazione, di critica e di ripensamento nel raffronto tra l’enorme possibilità offerta e il ritardo, la limitatezza, la precarietà di ogni conquista umana; tra il bene dell’armonia e della pace, il quale contrassegna la pienezza della vita, e la realtà delle divisioni che separano l’uomo dall’uomo e lacerano il mondo.

La storia sarebbe estremamente deludente e scoraggiante, se non fosse riscattata dall’annuncio, sempre presente, della salvezza e della speranza. E non parlo naturalmente solo di salvezza e di speranza religiose. Parlo, più in generale, di salvezza e di speranza umane che si dischiudono a tutti coloro che hanno buona volontà.

La gioia pasquale, della redenzione dell’uomo, della pienezza dell’uomo, della comune dignità e concordia degli uomini che sono chiamati a vivere insieme, non lascia nessuno indifferente, proprio perché essa corrisponde ad un’esperienza più larga e costituisce il simbolo altamente emotivo della generale vocazione ad andare al di là, comunque, di sé stessi e a dare senso più pieno e autentica dignità alla vita.

L’esperienza politica, come esigenza di realizzare la giustizia nell’ordine sociale, di superare la tentazione del particolare, per attingere valori universali, è coinvolta dunque nello sforzo di fare, mediante il consenso e la legge, l’uomo più uomo e la società più giusta. Il che vuol dire perseguire, con gradualità e limiti certo inevitabili, la salvezza annunciata, ad un tempo luminosamente certa e paurosamente lontana.

Questo può essere forse un rasserenante richiamo in una giornata come questa. Tutto quello che si muove nel mondo, sia nel chiuso insondabile delle coscienze sia nella grande arena del collettivo e dell’esterno, ha la stessa molla che lo muove, la stessa difficoltà che lo mette alla prova, lo stesso sforzo e sacrificio che lo contrassegna, la stessa nobiltà di un traguardo esaltante.

Possiamo tutti insieme, dobbiamo tutti insieme sperare, provare, soffrire, creare, per rendere reale, al limite delle possibilità, sul piano personale come su quello sociale, due piani appunto che si collegano e s’influenzano profondamente, un destino irrinunciabile che segna il riscatto dalla meschinità e dall’egoismo.

In questo muovere tutti verso una vita più alta, c’è naturalmente spazio per la diversità, il contrasto, perfino la tensione. Eppure, anche se talvolta profondamente divisi, anche ponendoci, se necessario, come avversari, sappiamo di avere in comune, ciascuno per la propria strada, la possibilità e il dovere di andare più lontano e più in alto. La diversità che c’è tra noi non c’impedisce di sentirci partecipi di una grande conquista umana.

Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino; ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiano il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo.

La pace civile corrisponde puntualmente a questa grande vicenda del libero progresso umano, nella quale rispetto e riconoscimento emergono spontanei, mentre si lavora, ciascuno a proprio modo, ad escludere cose mediocri, per fare posto a cose grandi.

Il motivo che più amareggia e offusca la speranza di questi giorni è la constatazione non tanto della divisione, quanto di una divisione sottolineata e difesa dalla forza brutale e ingiusta; della violenza aperta e di quella paurosamente tramata nell’ombra e non per contrastare altra violenza cristallizzata e potente, ma proprio per contestare la libertà, nella quale si cammina verso il superamento di un passato finito e l’apertura di nuovi e più ampi orizzonti.

C’è, soprattutto in questi giorni, del male personale e sociale da sradicare e del bene, visibile o, com’è più probabile, non visibile, da esaltare. Ma c’è, in tutta evidenza, lo squallido spettacolo della violenza, sempre meno episodico, purtroppo, sempre più finalizzato alla degradazione e all’imbarbarimento della vita, di fronte al quale è nostro dovere prendere posizione. Ne sono corrose le basi della convivenza civile ed è messo in causa lo Stato.

Restaurare lo Stato, rispettoso dei diritti ma intransigente contro ogni violazione specie quelle che toccano la vita democratica, è un’inderogabile esigenza politica, da attuare con il minor numero possibile di parole e invece con fatti stringati, come i tempi stringenti richiedono.

Si chiamano in causa utili convergenze delle forze politiche sulle quali è doveroso portare l’attenzione con grande serietà e responsabilità.

Ma tutto questo non sarebbe appropriatamente evocato nel giorno di Pasqua, mentre la gioia della liberazione è fortemente attenuata da incredibili contestazioni dei valori della convivenza, se si trattasse solo di un fatto politico che richieda un attento ripensamento nel suo proprio ambito.

Ma c’è di più, che siamo posti dinanzi ad un fatto allarmante che va cancellato essenzialmente nel nostro spirito; un segno vistoso di quella inammissibile vecchiezza, di quella insopportabile stortura, di quell’offesa all’umanità, per sradicare le quali, tra l’altro, è stato pagato un così alto riscatto e reso possibile un consolante annuncio di salvezza, di dignità, di libertà e di pace.

 

Aldo Moro

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  1. “AGIRE UNITI NELLA DIVERSITÀ”: L’ATTUALITA’ DEL PENSIERO DI ALDO MORO A 45 ANNI DELLA SUA UCCISIONE:

    Il 9 maggio sono passati 45 anni dal 9 maggio 1978, giorno in cui le Brigate Rosse fecero ritrovare in Via Caetani a Roma il corpo senza vita di Aldo Moro. Il ricordo di quei drammatici 55 giorni, che vanno dal sequestro alla sua uccisione, resta vivo nelle persone e nel Paese.
    Esattamente un mese prima, il 9 aprile scorso, abbiamo celebrato la Santa Pasqua, memoria di un’altra e più drammatica uccisione, storicamente avvenuta il 3 aprile di 1990 anni fa, quella di Gesù detto il “Cristo”, ucciso dalla miopia e dalla follia religiosa, la cui vita e morte hanno segnato l’inizio di una nuova storia del mondo e nel mondo.
    Non sembri irriverente, e tantomeno blasfemo, l’accostamento dell’uccisione di Gesù con quella di Aldo Moro, ucciso da una assurda ideologia politica e dalla crudeltà delle BR, non risorto come Gesù, ma che a suo modo ha segnato l’avvento di una fase nuova e inedita della politica italiana, ma non perché nuova anche migliore.
    In un articolo di Aldo Moro, scritto il 10 aprile 1977 in occasione della Pasqua di quell’anno, intitolato “AGIRE UNITI NELLA DIVERSITÀ” in quanto rifletteva il clima di attesa e di speranza per l’avvio del “dialogo e confronto” tra la DC e il PCI, che aveva in Aldo Moro ed Enrico Berlinguer gli autentici protagonisti, ci sono queste parole:
    “La diversità che c’è tra noi non ci impedisce di sentirci partecipi di una grande conquista umana. Non è importante che pensiamo le stesse cose, che immaginiamo e speriamo lo stesso identico destino, ma è invece straordinariamente importante che, ferma la fede di ciascuno nel proprio originale contributo per la salvezza dell’uomo e del mondo, tutti abbiano il proprio libero respiro, tutti il proprio spazio intangibile nel quale vivere la propria esperienza di rinnovamento e di verità, tutti collegati l’uno all’altro nella comune accettazione di essenziali ragioni di libertà, di rispetto e di dialogo”.
    “I have a dream” (Io ho un sogno) è il memorabile discorso che Martin Luther King, ucciso il 4 aprile 1968 dal fanatismo bianco e dalla violenza razziale, ha tenuto alla Marcia per i Diritti Civili del 28 agosto 1963 a Washington. Parafrasando questo discorso si può ben dire che Aldo Moro aveva un “sogno” per l’Italia, un sogno non dimenticato che è un invito, sempre attuale, a “sognare”, rivolto alle forze politiche, anche a quelle arlunesi, in particolare a quelle che si richiamano alla nobile storia del popolarismo cattolico e alla grande tradizione delle forze politiche sociali e democratiche, di coloro cioè che stanno dalla parte degli ultimi e dei senza voce, degli emarginati e degli sfruttati, degli indifesi e dei poveri e lottano per la dignità di tutte le persone, contro le ingiustizie e le disuguaglianze, per la solidarietà e la pace, perché riflettano sulle parole di Aldo Moro al fine di convenire sulle ragioni che presiedono al coraggio del cambiamento quale condizione essenziale per una proposta e una politica di Governo che abbia nei principi e nei valori costituzionali il sicuro riferimento e la valida ed efficace guida della sua iniziativa ed azione.

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