La sfida dei cattolici

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Agostino Giovagnoli su “la Repubblica” dell’11 marzo 2012 interviene sulla polemica a proposito del ministro Riccardi, sostenendo che l’interpretazione data alle sue parole va rovesciata: non era segno di antipolitica ma, all’opposto, di amore alla politica. E chi lo ha criticato non solo non lo ha capito, ma ha confermato la validità del suo giudizio: “c’è oggi chi nei partiti rema contro la politica, la sua dignità, la sua rinascita”. Giovagnoli riprende, poi, il tema del rapporto dei cattolici con la politica italiana, osservando alcune modificazioni in corso dovute alla politica del governo Monti: la soluzione dell’Imu per la chiesa ha tolto armi all’anticlericalismo e all’oltranzismo cattolico; la rinnovata scelta europeista mette in difficoltà certe propensioni cattoliche all’euroscetticismo; il silenzio sul federalismo frena le convergenze tra cattolici e leghisti. Infine per Giovagnoli anche la questione dei valori non negoziabili “appare oggi in una luce diversa”. L’articolo si conclude con la tesi che i cattolici che sono stati vicini al berlusconismo e al “bipolarismo selvaggio degli anni passati” sono in sofferenza, mentre “Riccardi interpreta invece quei cattolici, sempre più numerosi, che sentono l’urgenza di una politica rivolta verso il bene comune (…): una strada obbligata per il cattolicesimo italiano se vuole uscire dal rischio dell’afasia e dell’irrilevanza storica”. A vent’anni da Mani Pulite, il bilancio della Seconda Repubblica appare sempre più problematico, mentre alcuni dei suoi principali protagonisti – in primis, la Lega e il Pdl – sono sempre più in difficoltà. Non è strano, perciò, che recentemente si siano moltiplicate le fibrillazioni e che si profili il rischio di una fase molto convulsa fino alle elezioni del 2013. In tale contesto, c’è chi cerca diimputare al governo Monti la crisi della politica, attribuendo ai “tecnici” disprezzo per quest’ultima e volontà di sostituirsi ai partiti. Si spiega così anche lo “strano” incidente del ministro Riccardi.

Alcune sue frasi captate a distanza dai cronisti sono state presentate come espressione di disprezzo per la politica e i politici. Ma le sue scuse hanno smentito l’idea di un'”arroganza dei tecnici”, mentre i suoi studi e le sue dichiarazioni rivelano una visione alta della politica. L’interpretazione dei frammenti del suo pensiero riportati dai mass media, infatti, va rovesciata: egli ha espresso un giudizio su un modo strumentale di usare la politica che umilia quest’ultima e la stravolge profondamente. Contrariamente a quanto si è detto, Riccardi ha posizioni opposte a quelle di Beppe Grillo, non ha alcuna simpatia per l’antipolitica e considera la stagione del governo Monti utile anche perché la politica riacquisti credibilità e autorevolezza. Qualcuno non ha capito – anche fra quanti lo hanno difeso – e altri hanno fatto finta di non capire il vero significato delle sue parole, confermando involontariamente la validità del suo giudizio: c’è oggi chi nei partiti rema contro la politica, la sua dignità, la sua rinascita. Si tratta di un grave errore, come hanno compreso i dirigenti del Pdl, fermando una mozione di sfiducia che si sarebbe trasformata in un boomerang (in questi giorni si sono moltiplicate sul web le espressioni di sostegno al ministro). Ma la questione va al di là della vicenda specifica e investe un problema di fondo: la politica – e, come ha ribadito anche Riccardi, non ci può essere politica senza i partiti – può uscire dalla sua grave crisi solo rinsaldando i suoi rapporti con la cultura e con la moralità, solo cioè se cerca di trasformarsi in guida sapiente e responsabile della collettività come nei momenti alti della storia unitaria, da Cavour a De Gasperi. La questione, ovviamente, non riguarda solo i politici, ma investe tutta la società civile: è infondata, infatti, la contrapposizione tra i presunti vizi dei primi e le presunte virtù della seconda, molto in voga nella Seconda Repubblica. L’esigenza di tornare ad una politica di alto livello interroga anche la Chiesa e i cattolici. Nel corso del 2011 si è molto discusso di una nuova presenza cattolica, fino ad ipotizzare una rinascita della Dc, ma si tratta di un obiettivo astorico: i cattolici, piuttosto, possono dare un contributo positivo inserendosi nelle trasformazioni in corso. Senza suscitare grandi polemiche, ad esempio, è stata risolta la questione dell’Ici-Imu, un problema rilevante che si trascinava dalla revisione del Concordato nel 1984, togliendo così armi potenti agli opposti fronti della polemica anticlericale e dell’oltranzismo cattolico. In modo diverso ma rilevante incide anche la crescente consapevolezza che il sistema economico-sociale in cui vivremo dipende da scelte a livello europeo, imponendo anche ai cattolici di riconsiderare l’alternativa tra europeismo e euroscetticismo. L’improvviso silenzio sceso sulla retorica federalista sta, intanto, incrinando quelle convergenze tra cattolici e leghisti cresciute “nell’illusione che nel piccolo si possa vivere tranquilli”, come ha detto mons. Crociata. Anche la questione dei valori non negoziabili appare oggi in una luce diversa e così via.

Tutto ciò provoca, ovviamente, resistenze e opposizioni. Pesano, infatti, i precedenti legami con il berlusconismo e c’è chi spera che, risanata l’economia, i tecnici si tolgano di mezzo, permettendo il ritorno al bipolarismo selvaggio degli anni passati (la discesa dello spread, paradossalmente, indebolisce il governo Monti). Con la sua presenza nel governo – che, malgrado i tentativi di candidarlo pressoché a tutto, egli considera eccezionale e temporanea – Riccardi interpreta invece quei cattolici, sempre più numerosi, che sentono l’urgenza di una politica rivolta verso il bene comune, capace di far rientrare rapidamente l’Italia dentro le dinamiche della globalizzazione e di farle riacquistare un rispetto internazionale dilapidato nell’ultimo ventennio. È, tra l’altro, una strada obbligata per il cattolicesimo italiano se vuole uscire dal rischio dell’afasia e dell’irrilevanza storica.

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