La questione vera del caso Sallusti

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Il caso Sallusti sta prendendo una piega incredibile. Il direttore del «Giornale» si atteggia a perseguitato. La sua querula compagna parla di famiglia condannata. I suoi sostenitori politici montano la solita gazzarra contro la magistratura politicizzata. Il Quirinale fa sapere che Napolitano sta seguendo il caso, ventilando quindi l’ipotesi della grazia. Che però non verrà orgogliosamente chiesta dal soggetto o dai parenti: dovrebbe essere l’Ordine dei giornalisti a chiederla, secondo loro! La votazione della legge di riforma in Senato che ha inopinatamente reintrodotto l’ipotesi del carcere per la diffamazione è stata presa da tutta la stampa come una vendetta della «casta» contro i giornalisti. Insomma, tutto congiura a spostare l’attenzione da quello che dovrebbe essere il centro del problema. E cioè come proteggere la società da un uso spregiudicato della professione giornalistica, che configura forme di vero e proprio killeraggio a mezzo stampa. Il nostro paese negli anni recenti a questo ci ha abituati, purtroppo. Si ricorderà il cosiddetto «metodo Boffo», oppure il caso Telekom Serbia.

La questione vera, a me pare, non è quindi la libertà, ma la limitazione di un modello pericolosissimo di gestione del potere mediatico. Abbiamo imparato da tempo che la libertà dei media non può andare disgiunta dalla libertà dei cittadini di non essere coartati dal potere dei media! Da qui dovrebbe partire la discussione, in un paese maturo e civile. E si può senz’altro ritenere che la punizione di queste operazioni di cosciente e mirata deformazione della verità non debba prevedere il carcere per il giornalista. Il carcere dovrebbe essere in generale pena «ultima»: purtroppo non siamo abituati a fare lo stesso ragionamento per molti poveracci che riempiono le prigioni, ma tant’è, facciamolo senz’altro in questo caso. Nemmeno aumentare le pene pecuniarie avrebbe molto effetto, di fronte alle risorse finanziarie di certe macchine del fango. Il diritto di replica è invece sacrosanto e andrebbe fortemente rafforzato.

Ma si parla poco dell’unica vera forma di probabilmente efficace contrasto a questa deformazione della libertà e della democrazia: occorrerebbe prevedere rapide e cospicue sospensioni dalla possibilità di esercitare la professione. I recidivi seriali non dovrebbero più essere ammessi nel novero dei giornalisti, radiandoli dall’ordine.  Questa mi sembrerebbe la forma da privilegiare per tentare almeno di scoraggiare tali aberrazioni. Già… ma qualcuno si ricorda come nasce il «caso Sallusti»? Il direttore del foglio berlusconiano è stato condannato per responsabilità oggettiva, consistente nell’aver pubblicato un pezzo anonimo diffamatorio del noto giornalista – nonché parlamentare – Renato Farina, che era stato radiato dall’ordine perché pagato dai servizi segreti. Allora c’è del metodo!

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