La nuova politica tra voto polarizzato e voto post-ideologico

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Abbiamo ricevuto questo articolo che volentieri pubblichiamo. L’autore è storico e ricercatore presso l’Università della Calabria

 Il difficile anno del governo Monti ha consegnato alle urne un parlamento molto diverso da quello del 2008 o del 2006 e del 2001. Sotto la scure europea sono crollate appartenenze politiche decennali: i clientelismi, il moderatismo facile e clericale, il voto di protesta antagonista e fine a sé stesso non esistono più. La morsa della crisi della finanza e la crisi progettuale del sistema italiano hanno polverizzato tradizionali moduli di rappresentanza basati su una qualche espressione di ideologismi diffusi o di interessi deboli.

La società italiana sembra atomizzata ed epilettica, scossa nelle fondamenta, disarticolata nei suoi rapporti generazionali, incapace di farsi una ragione del rapido cambiamento di stile di vita imposto dal crollo dell’economia.  Come conseguenza ha preso piede una scelta di voto direi infantile, una sorta di lamento, una carica di odio, di disillusione, quasi una rappresentanza passionale delle difficoltà quotidiane di milioni di italiani. Molto è stato detto e scritto sulle peculiarità della nazione italiana, la sua tenera età, le sue mille contraddizioni, il suo ruolo di avanguardia nel crogiolo di modernità e antichismo che la contraddistingue. Analisti, intellettuali, giornalisti hanno raccontato le mille incongruenze di uno stato-nazione giovane, diviso tra nord e sud, creatore di ideologie nuove, ma regno di mentalità millenarie, dove secondo alcuni studiosi è nato il capitalismo, ma in cui lo sviluppo economico non è maturato in maniera conscia, coerente e coesa.

La politica è stata contraddistinta da diverse qualità; il problema si pone nel momento in cui essa rinuncia a svolgere forse la funzione più nobile e democratica: la rappresentanza di interessi. In assenza di un interesse collettivo della nostra comunità nazionale, come sarà possibile contarci ed aggregarci secondo interessi alternativi? Ad urne chiuse tutti gli italiani riconoscono effettivamente che l’interesse comune si chiama Europa, e quindi governabilità. Nella differenze abissali che separano le forze politiche nel parlamento è possibile riscontrare, tra clownerie, cabaret, sfoghi emotivi, urla, lazzi e frizzi, la necessità di mettere in discussione in senso positivo e propositivo le politiche europee di stabilità. Questo piccolo segnale di raziocinio torna puntualmente nel dibattito pubblico, sommerso dalla retorica degli sprechi, del taglio delle tasse, della invettiva sonora e vuota, della proposta assurda e irrealizzabile.

Il malato che si agita nel letto si chiama welfare state: pensioni e sanità. Il tanto vituperato modello italiano ha prodotto uno dei migliori stati sociali al mondo. La difesa di uno stato sociale trasparente e democratico – grazie alla cornice europea – è l’unica ragione di una politica alta, nobile, che riesca a parlare al cuore e alla pancia degli italiani.

La scelta politica manca di luoghi orizzontali, si forma in un crogiuolo mediatico informato da monopoli, dittature dell’ignoranza, solipsismi tecnologici, rifugge ogni analisi e memoria, anche a breve termine, tra virtuosismi dell’ignoranza e della faciloneria. Tra social network per analfabeti demoralizzati e canali televisivi per casalinghe, da qualche parte giace ancora l’entusiasmo e l’interesse di milioni di persone per il loro futuro, la capacità di una attenzione al dibattito e alla crescita culturale che è fondamentale per ogni vitalità democratica. Non è il momento di pessimismi o di inutili storicismi, i segnali di ottimismo non mancano. Le elezioni del 2013 ci consegnano un parlamento polarizzato e ingestibile, ma anche un voto post-ideologico e mobile; i canali di accesso alla sfera pubblica rimangono molto stretti, ma non si affida più il voto per appartenenza: si avverte l’esigenza di nuovi attori politici e sociali.  La riserva di energie che i cristiani tengono in serbo per il mondo, la trasparenza individuale, lo spirito di servizio, la ricerca interiore e culturale possono costituire simbolo e segno di una nuova partecipazione democratica.

 

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