La morte di Guido Fanti. Quell’apertura a Lercaro che avviò la riconciliazione

E’ morto Guido Fanti, grande sindaco di Bologna. Fanti è stato una delle figure storiche del Pci. Nato nel 1925, si iscrisse all’università, dovendo però lasciarla con lo scoppio della Seconda Guerra mondiale. Fu partigiano contro il nazi-fascismo e aderì al Pci il giorno della liberazione di Bologna, il 21 aprile 1945. Eletto consigliere comunale nel 1957, nel ’66 divenne sindaco dopo la stagione di Giuseppe Dozza. E’ stato anche deputato del Pci dal 1976 al 1987 e parlamentare europeo dal 1979 al 1989. Nel 1965, a conclusione del concilio Vaticano II fu lui ad accogliere alla stazione di Bologna l’arcivescovo Lercaro e ad aprire una pagina nuova nei rapporti tra l’amministrazione comunista della città e la chiesa di Bologna.  Sulla pagina bolognese del Corriere della Sera Alberto Melloni ricorda quegli anni straordinari.

di Alberto Melloni, in “Corriere della Sera” – Bologna – del 12 febbraio 2012

Fanti e Lercaro, un incontro fondamentale per la politica e la Chiesa bolognesi. Guido Fanti è stato un personaggio di grande rilievo per la chiesa bolognese, a partire da quella stagione così palpitante che essa ha vissuto nell’episcopato di Giacomo Lercaro e nel provicariato di Giuseppe Dossetti.

Quando Giorgio Napolitano è venuto a visitare la Fondazione per le scienze religiose avevamo preparato tutto perché se solo gli alti e bassi della malattia glielo avessero concesso, potesse salutare il presidente della Repubblica in una zona oggi sala delle conferenze della fondazione e dove lui, sessant’anni fa organizzava gli studenti del Pci. Avendo come dirimpettaio, sotto lo stesso androne dell’antico ospedale di san Vitale 114, Giuseppe Dossetti e il suo gruppo di lavoro. Non sarebbe stato quello, però, il luogo né quello il momento in cui Fanti avrebbe allacciato un rapporto decisivo per la città e per la chiesa bolognese: gli anni dello scontro ideologico non lo avrebbero permesso o lo avrebbero certo immiserito a negoziato; ma proprio aver portato fino in fondo il peso e l’inutilità reciproca di quell’antagonismo avrebbe preparato il terreno ad un incontro fissato dalla storia per il 1965-1966, all’indomani del Vaticano II.

Bisognava che passasse il Concilio II perché in questa città, che si credeva il laboratorio del domani con una convinzione tale da renderlo perfino vero, accadessero cose mai viste: Lercaro, val la pena di ricordarlo, non aveva mai stretto la mano del sindaco dopo la repressione dell’Ungheria; e Dozza non aveva usato nessun riguardo istituzionale per il cardinale che rappresentava non solo la vita, ma la storia di una città di cui era papalina perfino la massoneria. Solo la sera dell’8 dicembre 1965, all’arrivo in stazione del treno che riportava a Bologna il cardinale, partito da Roma subito dopo la cerimonia conclusiva del Vaticano II, Dozza si presentò a ricevere il porporato e dargli il «bentornato» in città, accompagnato sulla pensilina dal consigliere quarantenne Fanti, che i12 aprile 1966 lo avrebbe sostituito a Palazzo d’Accursio.

E da lì avrebbe curato in modo deciso un vizio culturale del Pci che forse non s’è neppure esaurito oggi, a più di vent’anni dalla fine del partito: il vizio tutto togliattiano di pensare la chiesa come un potere, nella quale cercare con pazienza i membri del comitato centrale, il segretario e la linea per potere adattare e correggere la propria. Fanti, in un dialogo sempre più fecondo con i cenacoli dell’istituto di Alberigo, del Mulino, dell’Avvenire capisce prima di tanti vescovi la dottrina conciliare sulla chiesa locale: è una comunità viva ed è il vescovo nella sua dignità di primo liturgo che sono l’interlocutore di chi vuole far vivere una città permettendo ad ogni sua componente di esprimere la sua natura più profonda.

La Bologna degli anni Sessanta è una città che il centrosinistra programmatore potrebbe metter in crisi: e che deve decidere, anche se non lo sa, se conservare la sua fisionomia storica di federazione di paesi o diventare una piccola metropoli anonima. Tema politicissimo nel quale Fanti vede come decisivo non il ruolo, ma l’autocomprensione della chiesa. Mentre l’arcidiocesi si interroga su come riformarsi per fedeltà al concilio — l’esperimento più significativo del postconcilio su scala mondiale — Fanti decide che è questo cristianesimo consapevole il suo interlocutore e non la pigrizia dell’opposizione democristiana.

Un rapporto difficile da stabilire: perché in materia di anticomunismo Lercaro non era mai stato e non sarebbe mai stato secondo a nessuno; ma un rapporto nel quale il cardinale trova anche lui una ragione profonda di impegnarsi. Da un lato la Pacem in terris, con la distinzione fra ideologie e militanti, aveva aperto gli occhi su quanta dedizione alla giustizia ci fosse in coloro che nel 1949 avevano subito la scomunica. Dall’altro l’esperienza conciliare aveva insegnato con la forza di una dottrina infallibile che la forma eucaristica della chiesa determinava un nuovo stile, dell’essere cristiano e dell’essere vescovo.

L’apertura di fiducia che Fanti faceva su Lercaro, certo con degli obiettivi anche politici, veniva così colta, accolta e ricambiata con una apertura di fede: con la convinzione di poter far leva sulla limpidezza morale e spirituale di questo sindaco non certo praticante per poter rendere a tutti la «bella testimonianza» della fede. L’occasione l’avrebbe fornita Fanti il 26 novembre 1966, conferendo la cittadinanza onoraria al cardinal Lercaro: la città medaglia d’oro della Resistenza conferiva al proprio arcivescovo il «riconoscimento solenne dell’alto magistero espresso in seno al concilio Vaticano II, a sostegno delle aspirazioni universali alla pace, alla cooperazione fraterna tra i popoli e al civile progresso; del nobile impegno a contribuire solidalmente, alla guida della chiesa bolognese, alla costruzione di un più avanzato modello di civiltà negli spiriti, nel pensiero, nella vita e nel costume cittadini, in una società più giusta e più umana; più umana, dei sentimenti di responsabilità e d’affetto per i quali egli ha voluto collegate alla città di Bologna, sino alla fine, l’opera sua e la vita stessa».

Motivazione alla quale il cardinale rispondeva con quel famoso discorso che, sbagliando, il Comune di Bologna non tiene sul proprio sito, nel quale Lercaro dichiarava di voler essere trovato da ognuno solo con il vangelo: un impegno che sarebbe rimasto intatto anche quando nel corso dell’anno successivo la reazione della città alla campagna di bombardamenti a tappeto sul Vietnam avrebbe trovato in Lercaro un interprete, in nome del vangelo, alto e coraggioso. Di nuovo in un rapporto stretto con Fanti e di Fanti con Dossetti, di cui perfino gli emissari americani mandati a capire qualcosa di Bologna in quell’anno dovettero riconoscere la qualità e il significato.

Quando a fine gennaio del 1968 l”episcopato di Lercaro fu interrotto dalla rimozione comandatagli da Paolo VI, non finì la carriera di Fanti: e tanto meno il suo interesse per un mondo di passioni di vita e di ricerca che nella fede trovavano il loro alimento. Ma diventava impossibile che quel valore esemplare che la sua Bologna ebbe in materia di servizi, di organizzazione politica, di correttezza amministrativa valesse anche per il rapporto fra un potere democratico che come tale, come potere e come democratico, deve sempre comportarsi e una vita di chiesa come tale, come vita e come chiesa, può solo esistere.

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