Il Sinodo fragile della Chiesa italiana

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Riprendiamo dalla newsletter de “Il borgo di Parma” (una delle associazioni più vitali della rete c3dem) un interessante articolo che fa il punto sul cammino sinodale della chiesa italiana. L’autore, che è il coordinatore nazionale dell’associazione “Viandanti”, si chiede come mai non si è seguito l’invito fatto da Francesco già a Firenze nel 2015, quando esortò la chiesa italiana a dare vita al sinodo, di porre al centro della riflessione quanto suggerito nella sua esortazione “Evangelii gaudium”

 

 

Consegnate, in agosto, alla Segreteria generale del Sinodo dei vescovi le tredici pagine della Sintesi nazionale della fase diocesana, la Chiesa italiana ha avviato più specificamente il proprio Cammino sinodale che si concluderà nel 2025. Il Cammino sinodale è ora nel bel mezzo della prima delle tre fasi (narrativa, sapienziale, e profetica) in cui è stato articolato. La fase narrativa, che si sviluppa negli anni 2021-2023, si caratterizza per una duplice consultazione: una in funzione del Sinodo dei vescovi che si terrà nel 2023; l’altra, che si avvia ora, dedicata ad alcune priorità che i vescovi hanno individuato a partire dalla Sintesi appena consegnata in Vaticano.

Annose questioni che affaticano il passo

La Sintesi, elaborata sulla base dei documenti ricevuti dalle diocesi, mette in evidenza come il percorso abbia rimesso in movimento “comunità, a volte stanche e ripiegate su se stesse” e, pur in un ottimismo di fondo, segnala i molti problemi che attraversano la Chiesa italiana. Tra le “annose questioni che affaticano il passo” si elencano: “il clericalismo, lo scollamento tra la pastorale e la vita reale delle persone, l’afasia di alcune liturgie”. Non si tace poi che: “l’emarginazione dei laici riguarda prevalentemente le donne”; “la mancanza di trasparenza ha favorito insabbiamenti e omissioni su questioni cruciali quali la gestione delle risorse economiche e gli abusi di coscienza e sessuali”; “la Chiesa appare troppo ‘pretocentrica’ e questo deresponsa-bilizza”; “il mancato o inefficace funzionamento degli organismi di partecipazione: diverse comunità ne sono prive, mentre in molti casi sono ridotti a una formalità, a giustificazione di scelte già definite”. La sinodalità trova poi in seria difficoltà preti e vescovi. Si rileva, infatti, che “non va sottaciuta la fatica a suscitare un coinvolgimento cordiale di una porzione non trascurabile del clero, che ha visto il Cammino sinodale con una certa diffidenza”, pur segnalando anche “il senso di fatica e solitudine” dei preti. Circa i vescovi si osserva in modo sfumato che “non è risultata scontata la sintonia tra le modalità ordinarie di esercizio del ministero episcopale e l’assunzione di uno stile pienamente sinodale”.

Una sintesi bifronte

Il testo della Sintesi sembra avere due destinatari; da un lato, come naturale, il Sinodo dei vescovi, dall’altro il Cammino sinodale della Chiesa italiana. Le sezioni dedicate al metodo (punto 2.10) e ai “cantieri sinodali” (punto 3) svolgono considerazioni che riguardano esclusivamente il secondo anno della fase narrativa del Sinodo italiano. Inoltre, in apertura (punto. 2) si precisa che i dieci punti in cui è articolata la Sintesi è funzionale al “tentativo di riprendere il percorso compiuto tra i due ultimi Convegni Ecclesiali Nazionali, celebrati a Verona (2006) e a Firenze (2015)”, sembra, con l’intento di passare ad una non meglio precisata azione pastorale che superi le strutture degli Uffici per accedere ad una visione che abbracci sempre “l’insieme dell’esistenza delle persone” e colga “le interconnessioni della vita”. Questa scelta, spiegabile forse con la sovrapposizione dei due percorsi sinodali, da un lato ha ibridato la Sintesi, dall’altro, sottraendo spazio ad un documento che aveva le pagine contingentate (dieci), ha costretto ad un’ulteriore sinteticità che ha tolto forza al testo in molti passaggi.

I cantieri di Betania

Con l’apertura, in settembre, dell’anno pastorale nelle singole diocesi si è avviato il secondo anno di ascolto relativo, in modo specifico, al sinodo della Chiesa italiana. Il documento di riferimento, già diffuso dalla Cei, ha il suggestivo titolo “I cantieri di Betania”, prendendo spunto dal racconto del Vangelo di Luca al capitolo 10 (vv. 38-42). I cantieri di Betania presentano già le scelte che orienteranno la consultazione di questo secondo anno. Le priorità pastorali individuate a partire dalle sintesi diocesane sono indicate così: “crescere nello stile sinodale e nella cura delle relazioni; approfondire e integrare il metodo della conversazione spirituale; continuare l’ascolto anche rispetto ai “mondi” meno coinvolti nel primo anno; promuovere la corresponsabilità di tutti i battezzati; snellire le strutture per un annuncio più efficace del Vangelo”. Si tratta di indicazioni di carattere molto generale che non sarà semplice tradurre operativamente in un secondo round di consultazione, inoltre dal loro orizzonte sembrano essere scomparse le questioni “che affaticano il passo” delle comunità, elencate un po’ troppo rapidamente nella Sintesi verso la fine del punto 1, di cui si è detto più sopra. Queste priorità vengono mixate nei tre cantieri proposti seguendo la metafora di Betania; i cantieri: “della strada e del villaggio”, “dell’ospitalità e della casa”, “delle diaconie e della formazione spirituale”, ve n’è poi un quarto lasciato alla libera scelta delle diocesi. Oltre alle domande guida si indicano come bussole per questi approfondimenti i documenti del Concilio Vaticano II.

Il metodo

I due documenti, Sintesi e Cantieri, insistono molto sul metodo della conversazione spirituale. Una modalità ritenuta funzionale agli incontri in quanto crea un clima “che evita logiche di contrapposizione o dibattiti superficiali”, inoltre “l’attenzione alle risonanze profonde con l’esclusione di forme di dibattito o discussione” permette di non sentirsi giudicati e spinge “a entrare in contatto con il piano delle emozioni e dei sentimenti” ritenuto “più profondo di quello della logica e dell’argomentazione razionale”. Questo metodo, – peraltro suggerito anche dal Vademecum per la consultazione del Sinodo dei Vescovi e che sembra più appropriato, nella sua dinamica, ad incontri di scambio spirituale come suggerisce il suo stesso nome (conversazione spirituale) -, presenta qualche limite ed esprime un timore.   Il timore è che possano emergere conflitti e contrapposizioni all’interno di comunità che di fatto non sono abituate al libero confronto. Eppure la Sintesi nell’elencare le criticità riconosce che “tale disamina non si è connotata per i toni accesi della rivendicazione”. Sul conflitto l’Evangelii gaudium (nn. 226-228) osserva che “non può essere ignorato o dissimulato” e che occorre “risolverlo e trasformarlo” in un processo di maturazione che rende possibile “sviluppare una comunione nelle differenze”. Ecco allora il limite. Il voler escludere “forme di dibattito”, – per restare sul piano delle esperienze, “delle emozioni e dei sentimenti” -, pensando di evitare i conflitti, limita la possibilità di maturare insieme visioni di Chiesa che possano affrontare quanto la Sintesi presenta come le “annose questioni che affaticano il passo”.

Alcuni elementi di fragilità

Nonostante i buoni risultati di partecipazione del primo anno, come testimoniano alcuni dati statistici (circa 50mila gruppi sinodali, 200 sintesi diocesane su 216 diocesi, partecipazione di mezzo milione di persone), il Cammino sinodale sembra presentare elementi di fragilità, che si dovrebbero considerare visto che la stessa Sintesi mette le mani avanti rispetto ad un possibile flop: “si è messo in luce il timore che l’entusiasmo e la voglia di partecipazione che l’esperienza dei gruppi sinodali ha generato possa spegnersi presto, se ad essa non viene data continuità e se il processo sinodale avviato non condurrà a cambiamenti concreti (prassi e istituzioni) nella vita delle comunità”. Fin dalla “Carta d’intenti” (maggio 2021), si sottolinea l’importanza di avviare un cammino più che indicare il punto di arrivo. Per la meta finale si accenna ad “un momento assembleare nel 2025, da definire”, che “cercherà di assumere alcuni orientamenti profetici e coraggiosi, da riconsegnare alle Chiese nella seconda metà del decennio”. Poiché il percorso è stato posto in continuità con i Convegni nazionali decennali, che poco hanno da spartire con la sinodalità, più che ad un’assemblea sinodale forse si pensa all’assemblea di un sesto Convegno nazionale. Non si può poi non osservare ancora che le priorità indicate per i Cantieri di Betania sono molto distanti dalle urgenze delle “annose questioni” rilevate dalla Sintesi. Ancora, per segnalare l’esigenza di concentrarsi su questo importante percorso, poteva essere opportuno snellire il calendario delle grandi iniziative pastorali (Settimana sociale, Congresso eucaristico, …) invece di “innestarle” nell’itinerario con dubbie possibilità di collegamento. Ed è così che ora si propone di inserire nel percorso restante, che sarà anche di preparazione al Giubileo del 2025, l’opportunità di “‘riscoprire’ le Costituzioni del Concilio Vaticano II”. A Firenze Francesco, a dire il vero, aveva suggerito “di avviare, in modo sinodale, un approfondimento della Evangelii gaudium, per trarre da essa criteri pratici e per attuare le sue disposizioni”. Un invito che non sembra essere stato raccolto.

 

Franco Ferrari

(qui l’articolo come pubblicato sulla newsletter de “Il Borgo di Parma”)

 

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