Il kairòs di Pierre Carniti

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Pubblichiamo l’introduzione al convegno: “Pensiero, azione, autonomia. L’Italia di Pierre Carniti”, organizzato da Cisl Parma e Piacenza, Libertà Eguale, Università di Parma, l’11 dicembre scorso, presso il Campus delle Scienze di Parma. L’autore è membro del Centro Studi Nazionale della Cisl di Firenze

 

E’ un grande onore e comporta una certa responsabilità intervenire per parlare di Pierre Carniti davanti a molti protagonisti sindacali che con lui, o comunque durante la sua guida della Fim e della Cisl, hanno condiviso battaglie e impegno.

Il libro che ha “celebrato” gli ottanta anni di Carniti, uscito esattamente un anno fa, nel dicembre 2016, riporta, tra i vari sottotitoli: “una vita senza rimpianti, Pierre Carniti e il suo tempo”.

Il tema del tempo, di oltre sei decenni di impegno sociale e sindacale di Carniti, mi permette di fare una prima riflessione.

Dobbiamo guardare ad una figura come la sua non nell’ottica tradizionale di un tempo cronologico, per quanto esteso, ma di un kairòs, un “tempo opportuno”.

Paolo Giuntella altro grande testimone, in un suo testo: “Il fiore rosso[1]” ci ricordava che nel Libro della giungla di Kipling, il cucciolo d’uomo Mowgli riesce a vincere l’arrogante tigre Shere Khan con il fiore rosso, il fuoco, un tizzone ardente. Il fuoco non brucia Shere Khan, lo allontana per sempre.

Prendendo lo spunto da questo episodio e, soprattutto da questa simbologia, Giuntella ci mostra il passaggio, di generazione in generazione, del tizzone ardente, del fuoco della fede, del fuoco interiore, fino ad oggi e all’infinito. Come scriveva Giuntella: “non è, dunque, la potenza delle pietre dei templi o la forza delle istituzioni ad assicurarci l’avvenire, ma il passaggio da persona a persona di questo tizzone ardente, del fiore rosso della testimonianza.”

Così, ripercorrere la biografia vivente di Pierre Carniti, attraverso il libro, ci permette di raccogliere e stringere le sue “mani aperte” e intrecciare al meglio la sua passione per il sindacato e per i lavoratori e le lavoratrici, per il “fare giustizia insieme”, come ci ha ricordato anche Papa Francesco, attraverso il dialogo, fruttuoso e dialettico, tra le generazioni.

Il primo passo non può che essere un ritorno alle origini valoriali di una straordinaria e più che centenaria esperienza collettiva: riscoprire il desiderio di fare ed essere sindacato, la felicità, in senso antropologico, quell’habitus che Bordieu definisce “desiderio di essere”.

Rileggere Carniti, oggi, alla fine del 2017, discutendolo e non trasformandolo in una comoda icona, facendogli quindi un torto, ci permette, pur nelle difficoltà del nostro tempo, di sentirci dentro un kairòs collettivo, un tempo opportuno e condiviso per la Speranza.

Carniti ci ammonisce immediatamente nel testo affermando che il fare sindacato è “cosa impossibile da dire” e che proverà a trasmettere alcuni ricordi e riflessioni senza rinunciare alla sua “vista da presbite sul mondo di domani”.

Il volume[2], con l’ampio corredo di saggi e testimonianze sul lavoro che lo completano, intreccia, molto opportunamente e senza forzature, passato, presente e futuro.

Una prima riflessione su Carniti ce la suggerisce proprio il nome “Pierre” alla francese, un nome scelto dal padre, “cattolico-socialista”, per prendersi gioco dell’ordine del regime fascista di dare ai bambini nomi autarchici.

Un’altro spunto ce lo dà il luogo di nascita: Castelleone, centro agricolo del cremonese, non troppo lontano da Bozzolo, luogo in cui operò don Primo Mazzolari (che era di casa nella dimora della famiglia Carniti) e ancor più vicino al luogo di azione di un altro grande cattolico sociale “non ordinario”: Guido Miglioli. Di Miglioli, Carniti, ricorda la promozione di scioperi durissimi, in ambito agricolo, e, soprattutto, i primi esperimenti di “conduzione associata” in ambito agrario, una sorta di autogestione ante litteram, in cui anche lo stesso Carniti si impegnò, prima di venire notato da amici di quello che sarà per lui guida e maestro: Luigi Macario.

Carniti rifiuta la prima chiamata della Cisl al già “mitico” Centro Studi di Firenze nel 1955 e partecipa al corso “lungo” nel 1956, un’annata particolarmente fruttuosa per la Cisl poiché suoi compagni furono, tra gli altri, Eraldo Crea, Mario Colombo, Franco Marini.

Peculiare, nel libro, la testimonianza sul rapporto del sindacalista cremonese con Vincenzo Saba, braccio destro di Mario Romani e, all’epoca, direttore del Centro Studi di Firenze.

Carniti ricorda sia la proficua trattativa con l’austero, ma disponibile professore per la concessione della chiave del portone al fine di permettere le uscite notturne e prevenire le fughe dal muro di cinta dei corsisti più esuberanti, ma anche una differenza di vedute, significativa, rispetto alla natura del capitalismo e alla sua capacità, apparentemente quasi scontata per Saba, di autoriformarsi.

Interessanti sono poi le citazioni che l’ex segretario della Cisl ci regala sulle letture più importanti che hanno accompagnato il suo percorso formativo al Centro Studi di Firenze, luogo che la Cisl volle, fin dagli inizi, pluralista nei docenti, nei collaboratori, nei riferimenti culturali: a Maritain e Mounier si affiancavano, ad esempio, Perlman e Ferrarotti.

Con una scelta innovativa e non casuale, una volta terminato il “corso lungo”, i sindacalisti usciti dal Centro di Firenze, venivano inviati, non nel territorio di provenienza, ma in strutture diverse, con un sostegno economico di un paio di anni da parte della confederazione nazionale.

Fu così che Carniti, che aveva richiesto di rimanere nell’ambito del sindacalismo agricolo, (paradosso della storia, se pensiamo al complesso scontro nella Cisl degli anni settanta) fu, invece, inviato presso la Fim di Milano, allora guidata da Pietro Seveso, sindacalista non giovanissimo, ma aperto al cambiamento, con una scelta che avrebbe inciso fortemente, negli anni a venire, non solo sulla Cisl, ma sull’intero sindacalismo confederale italiano.

Molto interessanti da leggere sono le pagine sulla costruzione dal basso dell’unità d’azione sindacale, sono gli anni del sodalizio dialettico con figure significative come quella, tra le altre, di Franco Castrezzati a Brescia, delle varie battute d’arresto, degli “esili”, delle battaglie di minoranza nella Fim, come, ancor di più, nella Cisl, allora guidata da un Bruno Storti, allora lontano dalle innovazioni proposte da Carniti e dagli “innovatori” che erano riuniti intorno alla sua azione e al suo carisma.

Sull’innovazione nella Cisl Carniti è molto netto e preciso: “non credevamo in una Cisl diversa, ma in una Cisl che mettesse in pratica realmente quanto predicava da anni: sul ruolo delle categorie, sugli aumenti salariali legati alla produttività, sull’autonomia, sulla contrattazione aziendale”.

Sono quindi gli anni dell’impegno nel sindacato per la verticalizzazione, l’incompatibilità con le cariche politiche, il superamento delle differenze normative tra impiegati ed operai, sul rinnovamento delle forme di lotta e sull’unità di azione che culminerà con il comizio unitario al Vigorelli di Milano, non pienamente autorizzato né dalla Fim, né dalla Cisl nazionali e condiviso con il neoeletto segretario generale della Fiom, allora, ancora un po’ impacciato nell’arte oratoria, Bruno Trentin.

A Milano, intorno alla figura del futuro segretario generale della Fim e della Cisl, comincia ad animarsi e raccogliersi un mondo culturale “militante” che sarà importantissimo negli anni successivi per l’organizzazione di Via Po e per le relazioni industriali italiane in generale: pensiamo, ad esempio, a Guido Baglioni, Bruno Manghi, Gian Primo Cella, Tiziano Treu.

E’ qui che si manifesta un cardine dell’originalità dell’esperienza carnitiana con un’azione sindacale che trascende il limite delle vertenze aziendali e con una prassi rivendicativa che si trovava ad assumere, senza perdere nulla in concretezza, un valore autonomo: politico e culturale.

Carniti ricorda e con lui diversi altri, nel libro che presentiamo, un anno importantissimo, il 1964, l’anno della nascita della rivista Dibattito Sindacale che diventerà uno strumento fondamentale per il suo “gruppo milanese”.

Tra i compagni di strada, anche a Milano, uno merita una menzione e un ricordo particolare: si tratta di Pippo Morelli con la sua passione per l’educazione degli adulti che sarà alla base dell’esperienza eccezionale delle 150 ore per il diritto allo studio e di un approccio alla formazione che giustamente Carniti definisce: “pratica di libertà e processo di liberazione”.

Il 1964 è anche l’anno del primo viaggio negli Stati Uniti, di cui, inevitabilmente, la tappa più importante è Detroit, con l’incontro con il sindacato dell’auto e la riflessione sul campo rispetto agli aumenti diretti del salario in base alle performance aziendali, alle pensioni integrative, all’assistenza sanitaria, al tema delle qualifiche sul posto di lavoro, al controllo della linea di produzione, al risparmio contrattuale, al welfare negoziato, tutti temi di grande attualità anche oggi.

Firmare il contratto significa ottenere risultati concreti e misurabili per i lavoratori, ma anche trasformare la società: per Carniti il sindacato non è solo movimento, ma un’istituzione della società moderna, il “nostro” rifiuta l’etichetta di “sindacalista d’assalto” che, almeno nei primi tempi della sua esperienza sindacale, gli veniva spesso affibbiata (divenendo poi anche il titolo di un famoso libro[3]).

L’orizzonte di Carniti non è solo italiano e non è solo sindacale: si pensi alle riflessioni, contenute nel libro, sulla sua curiosità ed interesse (e anche una qualche delusione) rispetto al Concilio Vaticano II°.

Gli anni passano e Carniti riflette sull’”anticomunismo di sinistra” proprio e della Fim che, negli anni settanta, attira nel sindacato dei metalmeccanici cislini, proteso verso l’unità sindacale organica, significativi gruppi di extraparlamentari.

Siamo al 1972, ad un anno fondamentale, poiché avrebbe dovuto essere, ma non fu, dopo le “spinte” degli impetuosi ’68 e ’69, quello dell’unità dei metalmeccanici e, di federazione di categoria in federazione di categoria, quello dell’unità sindacale organica.

Le battaglie di Carniti si sposteranno nella confederazione di Via Po, che vivrà momenti duri e complessi, verso la fine della segreteria Bruno Storti (“convertitosi” gradualmente alle posizioni della “sinistra” cislina e di cui si ricorda la storica relazione congressuale del 1969: “Potere contro potere”). Carniti diverrà prima segretario generale aggiunto durante la guida del suo antico mentore Luigi Macario (1977-1979) e poi, indimenticato ed indimenticabile segretario generale (1979-1985).

Ritorna, in forma critica, nel ricordo carnitiano la figura e un dialogo, mai interrotto quanto mai “risolto”, con Bruno Trentin.

La Fim realizza il proprio congresso di autoscioglimento, la Fiom nemmeno lo convoca. Trentin, personalmente favorevole all’unità organica, si ferma, in primis di fronte alla contrarietà del Pci.

Quello con Trentin è un rapporto singolare, per nulla semplice, ma duraturo, a volte anche a parti invertite, si pensi ai passaggi fondamentali del 1985 con Trentin fiero e convinto avversario dell’accordo con il governo Craxi sulla scala mobile (segnato, tragicamente dalla scomparsa di Enrico Berlinguer e dal barbaro assassinio di Ezio Tarantelli, consulente comunista della Cisl, ucciso dalle Brigate Rosse) e del 1992, con un Carniti, ormai fuori dal sindacato, ma esplicitamente critico sull’accordo unitario che vedrà la famosa, tormentata firma del sindacalista italo-francese.

Non mi soffermo troppo, poiché lo faranno altri, sul passaggio fondamentale del 1984-1985 e di un Carniti, grande artefice dell’unità sindacale che compie, invece, un rottura storica, lasciando poi la segreteria generale della Cisl a soli quarantanove anni, oltre che per ragioni di salute, perché “era importante ricucire, e ciò non poteva essere fatto dalla stessa persona che, per ragioni di merito, aveva dovuto, invece, rompere”.

Come abbiamo ascoltato dal video registrato per l’incontro di oggi, Carniti si è voluto concentrare su un tema antico, ma di piena attualità: la riduzione dell’orario di lavoro al tempo della digitalizzazione. Quello della questione della ripartizione del lavoro in connessione con il problema della disoccupazione e dei cambiamenti tecnologici è una costante della riflessione del sindacalista sul quale, insieme, riflettiamo oggi. E’ un tema, peraltro, che si collega a quello, altrettanto importante di un sindacato inclusivo e dell’unità di azione.

Ricordo, inoltre, che Carniti ci suggerisce, anche nel video che ci ha inviato, come la riduzione contrattata dell’orario di lavoro, oltre che auspicabile da un punto di vista economico, sia un efficace risposta ai facili innamoramenti sul “reddito di cittadinanza”.

Avviandomi alla conclusioni, rimango, come desidera il vecchio Pierre, alle questioni per l’oggi: non è più rimandabile, secondo Carniti, che accompagnò l’ascesa e il declino dei consigli di fabbrica, una riflessione sul rapporto tra sindacato e democrazia partecipativa, su uno sguardo che ritrova il pieno collegamento con un mondo del lavoro sempre più frammentato e vorticosamente in cambiamento.

Si chiede Carniti: come mettere a sistema le buone prassi che certamente ci sono?

E’ una riflessione importante, che lascio ai dirigenti sindacali, non solo della Cisl, presenti qui oggi.

Due ultimi accenni legati alla parte “saggistica” del libro: “Pensiero, azione autonomia”.

Senza nulla togliere agli altri, sono, a mio parere, particolarmente significativi i contributi di Gian Piero Cella, sulla cultura sindacale di Carniti, e di Tiziano Treu sulla vicenda individuale e collettiva nella Cisl rispetto al rapporto tra legge e contratto che ha, ovviamente, un passaggio fondamentale con l’adozione, nel 1970, dello Statuto dei Lavoratori.

 

Chiudo, come faranno tutti i relatori, ricordando cosa ha rappresentato e cosa rappresenta Pierre Carniti per me.

Il 25 settembre 2016, in occasione dei suoi ottant’anni, scrissi in un giornale locale toscano un articolo che si intitolava così: “Gli ottant’anni di Pierre Carniti: kairòs della speranza e desiderio di futuro”.

Ancora oggi, per chi, come me, è entrato alla Cisl, ormai quasi tredici anni fa (tramite il Cesos centro studi animato da Domenico Paparella e Guido Baglioni), sulla scia del mito del sindacato negli anni sessanta e settanta, Carniti rappresenta, non un’icona, ma certamente un punto di riferimento imprescindibile.

Dico di più, per chi lo ha fatto sulla scia degli echi del cattolicesimo sociale, post conciliare e progressista, lui, il cattolico di sinistra, non democristiano, che ha guidato la Fim e la Cisl in epoche diverse, esercita un fascino ancora potentissimo.

Non posso vantare, anche per motivi anagrafici, una frequentazione assidua e profonda, ma non mi sono limitato a conoscerlo sui libri.

Ricordo, con emozione, la prima volta che lo vidi, una decina di anni fa, ad Assisi al seminario annuale dei Cristiano Sociali, con il suo immancabile sigaro, insieme a Emilio Gabaglio.

Ricordo il dibattito che avevo organizzato con lui sulla riforma contrattuale con giovani sindacalisti di tutte le provenienze, anche se le sue posizioni, in quel caso, non coincidevano pienamente con quelle della Cisl.

Ricordo le riunioni di Eguaglianza & libertà, cui ho per un po’ partecipato: i suoi interventi ironici e profondi, e quella volta che mi ha regalato l’autobiografia con dedica personale di Luigi Scricciolo, il sindacalista Uil ingiustamente accusato di far parte delle Brigate Rosse, sapendo che mi stavo occupando del tema.

Ricordo il momento, indimenticabile, in cui ho avuto l’onore e la richiesta affettuosa di Raffaele Morese, di accompagnarlo verso il palco dell’ultimo congresso confederale nazionale della Cisl, mentre tutta la sala si alzava in piedi, emozionata, a salutarlo.

Penso alla mia ultima notte in cui ho avuto casa a Roma, nell’ottobre del 2012. Lo andai ad intervistare a casa sua sull’Appia antica, sui suoi rapporti con Pippo Morelli, di cui ho già fatto cenno precedentemente.

Quella sera lo ritrovai un po’ scorbutico, ma lessi comunque l’emozione nei suoi occhi quando mi indicò, all’ingresso di casa, i quadri regalatigli da Morelli, in occasione delle nozze. Erano gli ultimi mesi di Pippo Morelli in vita, dopo oltre vent’anni vissuti dovendo convivere con le gravissime conseguenze di un ictus.

Voglio condividere la riflessione che Pierre Carniti non è solo un sindacalista eccezionale, una figura che rimarrà nei libri di storia italiana, ma è un testimone, un protagonista del sindacato, e più in generale dell’impegno sociale, che è importante e utile far conoscere ai ragazzi e ai sindacalisti di oggi, non solo della Cisl e della Fim.

Chi volesse approfondire i “mitici” anni sessanta, può leggere la sua testimonianza tratta dal libro: “Era il tempo della speranza”[4], sempre con l’attenzione non nostalgica di un “kronos” lontano e ormai esaurito, ma di un “kairòs”, un tempo opportuno che ci interroga e ci regala un grande entusiasmo, critico e non apologetico, ancora oggi.

Chi volesse invece leggere un suo testo recente sul lavoro, oltre che con il volume che presentiamo oggi e con le sue recentissime “lettere aperte”, può cimentarsi ne: “La risacca – Il lavoro senza lavoro”, in cui affronta il lavoro non solo come fatto economico, ma come fatto “sociale e relazionale”[5].

“Se il lavoro è sempre esistito e sempre continuerà ad esistere ci troviamo oggi – scrive Carniti nel testo – di fronte ad un grave paradosso: mentre la disoccupazione cresce in tutto il Mondo ed in particolare nei paesi “sviluppati” chi lavora, complice il sempre più evidente mischiarsi del tempo del lavoro e del non-lavoro, invece di riuscire a ridurre le ore di impegno le vede accrescere.”

Un tema attualissimo e, come abbiamo visto, ricorrente, affrontato con efficacia e originalità.

Mi è sempre risuonata nella mente la famosa chiusura del suo intervento al congresso nazionale della Cisl, l’11 luglio 1985, dopo le grandi tensioni anche interne che avevano comunque portato alla vittoria nel referendum sulla scala mobile, quando, lasciando la segreteria a soli 49 anni, concludeva, parafrasando S. Paolo: “Ho combattuto la buona battaglia. Ho terminato la mia corsa. Ho conservato la fede in quello straordinario fatto di solidarietà umana che è il sindacato, che è la Cisl”.

E’ vero, Carniti è stato per me, come per molti altri, quasi indiscutibile, quello che, da giovanissimo ritenevo, un po’ ingenuamente: “avesse sempre avuto e avesse sempre ragione”.

Lo penso, tornando alla citazione di Paolo Giuntella, con un fiore rosso e le mani aperte.

Lo abbiamo visto così, pur nella fragilità dolce della sua salute, anche nel video che abbiamo proiettato oggi e lo ascolteremo nella citazione di un passaggio stupendo del suo libro, in cui si trasporta nelle vesti di un ragazzo di oggi, e non di un ragazzo qualunque.

Approfondendo la figura del segretario generale della Cisl ho imparato ad apprezzarne due grandi doti, solo apparentemente divergenti: la fragilità e la tenacia.

Mi spiego meglio: di Carniti sono molto interessanti anche le sconfitte. Lo ricorda lui stesso nel libro quando racconta della prima conta al consiglio generale della Cisl, in cui, credo sul tema dell’incompatibilità, insieme a quella di Pierre si alzano solo quattro mani, a fronte di un consesso di oltre cento persone.

Non senza un pizzico di malizia Carniti ricorda l’ironia finale del segretario generale della Cisl Bruno Storti che, di lì a pochi anni, lo raggiungerà sulle stesse posizioni.

A livello personale, io sono un tipo lamentoso e chi mi conosce lo sa; Carniti mi ha ricordato più volte questo e simili episodi che mi hanno fatto comprendere il valore rivoluzionario della tenacia e della pazienza, del saper far fare passi avanti, rompendo quando necessario, ma avendo cura, sempre, non dell’immediato, ma della coerenza di una strategia.

Di fronte ad una società che si concentra sempre di più solo sui “vincenti”, quel suo sapere stare “quasi ai margini”, quel suo saper tornare, non da solo peraltro, in periferia, ci consegnano un messaggio potentissimo: non temere, non fuggire la fragilità, la sconfitta, la testimonianza. Non per compiacersi di esse, e di una sterile e moralistica purezza, assolutamente. Ma per trovare la forza di un balzo più lungo, più vero, più condiviso.

Volgiamo ora lo sguardo verso di noi. Verso le nostre emozioni e la nostra passione. Verso la nostra unicità che non è per forza quella di essere grandi leader.

Sta a noi, con il nostro sguardo, raccogliere e intrecciare al meglio l’amore per il sindacato, per il “fare giustizia insieme”, citato all’inizio del mio intervento, attraverso il dialogo, fruttuoso e dialettico, tra le generazioni.

Mi ripeto: il primo passo non può che essere un ritorno alle origini valoriali della nostra straordinaria e più che centenaria esperienza collettiva: riscoprire il desiderio di fare ed essere sindacato, la felicità, in senso antropologico, l’habitus che Bordieu definisce “desiderio di essere”.

Sappiamo che c’è sempre un Kairòs, un tempo opportuno, per la Speranza.

In questo tempo, con le difficoltà e le opportunità che ci sono date, attraverso questo desiderio di essere, non possiamo che ritrovarci riconoscenti e fieri di persone, non solo icone, non solo miti, come Pierre Carniti.

Con voi lo vorrei ringraziare ancora con un applauso, discutendo i temi che ci ha proposto oggi e abbracciando, anche i suoi “arresti domiciliari sanitari” che non gli hanno impedito di essere, in forma diversa, qui tra noi.

E’ un gesto di Amore per la Cisl e per ognuno di noi, di cui gli siamo davvero grati!

Grazie Pierre, ancora una volta.

 

Francesco Lauria

 

 

[1] P. Giuntella, “Il fiore rosso. I testimoni, il futuro del cristianesimo” Edizioni Paoline, 2006.

[2] “Pensiero, azione autonomia. Saggi e testimonianze per Pierre Carniti”, a cura di R. Morese e M. Colombo, Edizioni Lavoro, 2017.

[3] C. Torneo: “Il sindacalista d’assalto. Pierre Carniti e le lotte operaie degli anni Sessanta”, Sugar Co, 1976.

[4] Si veda: http://www.fim-cisl.it/wp-content/uploads/2016/01/Pierre-Carniti-Anni-della-speranza.pdf

[5] P. Carniti “La risacca. Il lavoro senza lavoro”, Altrimedia Edizioni, 2013.

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