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  1. Va ricordato che Mons. Negri ha fatto -per così dire- un’industria della apologetica d’assalto; i contenuti dei suoi corsi di teologia in Cattolica, i titoli dei suoi libri e dispense, tutto di lui dice la sua dedizione quasi ossessiva alla “difesa” della Chiesa e del papato da presunti nemici. Con la visione della cittadella assediata; la sua visione è dualistica: “noi” siamo nella Chiesa, “noi” possediamo la verità e dobbiamo difenderla con ogni arma contro l’assedio del mondo secolarizzato e scristianizzato che è tutto e solo oscurità, menzogna e peccato. Si dovrebbe discutere a fondo sul motivo per il quale una visione così lontana da quella conciliare abbia meritato l’onore dell’episcopato, ma tant’è. Ha poi fatto un’industria della divulgazione del magistero di un papa: Giovanni Paolo II, cui ha dedicato altri scritti, conferenze, tanto lavoro.
    Quello che fa più impressione è dunque che proprio un pretoriano del papato si comporti così verso il papa (che credo consideri papa… perché non è noto che condivida con il sodale Socci la teoria della sede vacante); che proprio un falangista della difesa della Chiesa dai nemici, parli giurando vendette contro suoi fratelli nell’episcopato.
    E fa infine impressione, per contrasto, il tono mellifluo e vagamente servile con cui si rivolge poi al Papa, nel momento in cui deve smentire il tutto.
    Non c’è franchezza, non c’è dialogo, non c’è correzione fraterna, non c’è critica costruttiva, non c’è parresia. C’è solo o servilismo di facciata e di convenienza, o livore con bava alla bocca dietro le quinte. Sono i rapporti di convenienza del peggior cortigiano del Faraone, non certo del fratello, del figlio. Nulla di più lontano delle relazioni franche, eventualmente dissidenti ma sempre fraterne che sono richieste nella Chiesa. Dove oggi peraltro i dissidenti hanno tutta la possibilità di esprimersi senza temere roghi. Stupisce, di nuovo, che il portatore di un simile stile sia stato elevato all’episcopato.

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