I problemi che il PD deve affrontare

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Serve un partito diverso; quello di adesso è modesto e portato a impegnarsi quasi solo per le campagne elettorali. Un partito presente tra la gente è impresa difficile, ma avvincente, credendoci.

 

 

 

A fatica si sta aprendo il dibattito nel PD; a fatica, perché è assente l’avvio formale e perché mancano gli spazi e gli strumenti per un dibattito pubblico visibile.

Nel frattempo, però, nei circoli si discute con convinzione e con passione.

Quali sono i problemi che il PD deve affrontare?

Penso che si possano riassumere in due questioni essenziali, riassuntive di molte altre.

La prima riguarda la sua identità, il suo programma “fondamentale”, la sua idealità.

L’impressione che si ricava, anche da una sommaria analisi, è che le grandi correnti storiche di una volta, incontrandosi, si siano neutralizzate a vicenda: si sono abbandonate le vecchie ideologie ed è subentrato il nulla, l’evanescente.

Un fatto ancora più grave: non esiste alcun sforzo di ricerca, nessuna attività culturale, uno straccio di rivista di studi, degli intellettuali che sostengano questa impresa.

Certamente non è possibile oggi avere una visione di una società futura, come orizzonte a cui tendere: una valida sostituzione a questa mancanza potrebbe essere individuata nella capacità del partito di indicare su alcune grandi partite (ambiente, lavoro, scuola/cultura, economia/globalizzazione, pace/guerra) i suoi orientamenti di lungo periodo, scelte che delineano il futuro, ad esempio per i prossimi 10/15 anni (con possibili revisioni periodiche).

Questo costituirebbe l’orizzonte cui si ispira il partito e per cui si possono battere convinti i suoi militanti, i quali devono avere una prospettiva in cui credere, che dia loro fiducia.

In fondo si tratterebbe di fare quello che i socialisti tedeschi chiamavano un tempo “congresso fondamentale” (vedi Bad Godesberg); si tratta, su questioni di grande rilievo, di esprimere orientamenti significativi, che qualifichino il partito.

Il secondo problema da affrontare è quello del rapporto con la gente e con la base.

Una questione primaria a riguardo è costituita dalla legge elettorale: abbandonando tante velleità espresse in passato (sistema bipolare, partito a vocazione maggioritaria, governabilità) e adottando una sana legge elettorale proporzionale, con liste scelte a livello locale e la possibilità di esprimere le preferenze, si realizzerebbe una grande opera di democrazia e nello stesso tempo di rivitalizzazione del partito.

In questo caso, infatti, chi si candida deve guadagnarsi i voti, deve essere noto, deve aver lavorato bene e il suo impegno è sottoposto al riconoscimento degli elettori.

Avremmo un altro partito e soprattutto dei dirigenti veri (come non sono quelli attuali): i dirigenti sono persone che emergono tra i membri del partito, scelti tra loro e da loro e che con loro tengono uno stretto rapporto circolare.

Vi è un altro aspetto da considerare: il modo con cui il partito si rapporta alla gente avviene oggi soprattutto attraverso i mezzi di comunicazione di massa, ma così il partito non arriva al popolo.

E’ ormai accertato che, non solo in Italia, i partiti di sinistra e di centrosinistra ricevono i loro voti dal ceto medio riflessivo, mentre non sono più votati dai ceti popolari (il PD è il 4° partito votato dai lavoratori).

Come si arriva al popolo? Ci sono in proposito due strade maestre: la prima è quella dei populisti (promesse di lauti benefici o di miti utopistici), la seconda, più difficile e più seria, consiste nel ritornare ad essere presenti tra la gente, a vivere in mezzo al popolo, condividerne i problemi, legare sempre i propri obiettivi alle concrete esigenze ed esperienze popolari.

Questo naturalmente richiede un partito diverso; quello di adesso è modesto e portato a impegnarsi quasi solo per le campagne elettorali: un partito presente tra la gente è impresa difficile, ma avvincente, credendoci.

Da ultimo una considerazione sul segretario da eleggere.

Non c’è bisogno di un segretario, c’è bisogno di un gruppo dirigente unito.

Consiglio la lettura di un libro particolarmente istruttivo in proposito: “La formazione del gruppo dirigente del PCI”, a cura di Palmiro Togliatti.

E’ una raccolta di lettere tra dirigenti comunisti negli anni 1923-1924, in cui Gramsci dapprima manifesta il rifiuto di assumere la carica di segretario e in un secondo momento l’accetta, dopo essersi assicurato l’unità del gruppo con cui lavorare.

L’insegnamento è chiaro: non basta la persona, abbiamo bisogno di un partito libero, ma che operi concorde per un obiettivo comune e il gruppo dirigente deve essere di esempio e costituire l’elemento trascinatore dell’unità del partito.

Il dibattito è appena iniziato, speriamo che qualcuna di queste speranze possa trovare ascolto.

 

Sandro Antoniazzi

8 Comments

  1. CIAO SANDRO, ho letto con molto interesse le analisi e i suggerimenti che cerchi di dare, a un partito che ha perso le sue origini, in questi 20 anni si è trasformato in un partito in cerca di potere, certamente non è l’unico, si sono persi quei principi fondamentali, far politica non deve essere un mestiere, ma una scelta di essere al servizio del popolo italiano. Una altra cosa che condivido è che nei partiti non si fa più cultura, come si faceva ai nostri tempi, si convocano gli scritti quando ci sono le persone da eleggere che non conosciamo che sono già state decise dai vertici. Personalmente mi sento fortunato che vivo una realtà un po’ diversa, faccio parte dei Beati costruttori di pace, e della “Tavola della pace” c cerchiamo di confrontarci con letture ricerche dibattiti, insomma siamo un po’ le mosche bianche. Mi viene in mente “la lettera alla classe operaia” del dicembre 1983 quando ricordavi le letture che si facevano, mi viene in mente E. Mounier il suo pensiero rivoluzionario, che mi ha accompagnato per tutta la mia vita politica e sindacale. Per concludere, il PD deve andare in mezzo alla gente, deve fare una scelta radicale stare dalla parte dei più deboli non con la borghesia dei grandi evasori. Scusami di questo mio pensiero, ho 86 anni, come credente mi sento un rivoluzionario come dice Marcelo Barros nel suo libro “Liberazione”. Ciao

    • Giancarlo,
      io di anni ne ho “soltanto” 83, ma come te continuo le battaglie di un tempo, nei modi in cui ci è possiile oggi, per le nostre forze e per la situazione. I nostri riferimenti sono sempre gli stessi: sono cresciuto con Lazzati e Turoldo e alla scuola di don Milani, Mounier, Simone Weil…. Continuiamo con fede, quel poco che possiamo dare è importante. Sono semi: é il Signore a decidere se serviranno. Ciao, Sandro

  2. Caro Sandro condivido in pieno le tue argomentazioni di contenuto (di merito). Il Pd deve riprendere a fare politica su grandi temi che possano interessare e appassionare, come quelli che indichi. Sul metodo, l’organizzazione, il segretario: hai ragione, gruppo dirigente e non solo un “uomo/donna solo/a al comando”. Ma metto in evidenza un problema. Il congresso e le primarie che ci si accinge a praticare, sottolineano le diversità piuttosto che le similitudini che sono la base per poi ritenersi “gruppo dirigente unito”, come giustamente scrivi. Molti hanno paura e condannano questo strumento ritenuto non solo superato ma addirittura deprecabile perché relega gli iscritti a un ruolo secondario. Non sono d’accordo. Io, sostenitore delle primarie da tempo, dico che non bisogna spaventarsi delle contrapposizioni ideali, ma, anzi, farne una valore. Iscritti, elettori, simpatizzanti e anche semplici curiosi, aderendo al percorso congressuale (mettendoci faccia, nome, qualche spicciolo, e soprattutto idee e proposte) possono arricchire il patrimonio del Partito. Lo fanno aperto, inclusivo e accogliente. A patto che, esaurito il percorso (il 12 marzo), vincenti e perdenti, sappiano fare tesoro di questa pluralità. E siano capaci di lavorare insieme. Da posizioni anche diverse. E’ a democrazia, bellezza…Solo così, ritengo, si può ravvivare un partito che, in quanto comunità politica, ha, sinceramente, mostrato le sue debolezze. Grazie e Buon lavoro.

    • Caro Vittorio,
      a proposito delle primarie, ho un’idea un pò diversa. Io le salverei, ma le utilizzerei soprattutto per scegliere i candidati alle varie elezioni comunali, regionali ed eeventualmente nazionali (cosa molto più difficile). In questo caso le persone scelte dovranno essere poi votate dagli elettori e dunque è utile che siano scelte nella forma più ampia possibile.
      Il partito è una cosa diversa: è bene che l’unità si costruisca all’interno attraverso il confronto fra coloro che si impegnano. Occorre prima che si facciano elezioni proporzionali con scelte locali delle liste e preferenze per ristabilire un processo democratico. Allora hai dei dirigenti veri e responsabili. Finora le elezioni primarie interna non hanno dato buoni risultati: Franceschini ha perso e ha dato vita a una corrente, Orlando ha perso e si è fatta la sua corrente.
      Posso sbagliarmi, ma per il partitto personalmente preferirei un lavoro più attento, più approfondito, più costruttivo. Ciao,
      Sandro

      • Vero Sandro; spesso le primarie (anche interne per il partito) sono gestite in maniera maldestra. Ma ti faccio una domanda: fra chi ha la tessera del Partito e non si impegna o lo fa raramente, e chi non ce l’ha (per mille motivi) ma poi si impegna e partecipa, secondo te, chi ha “diritto” di partecipare al congresso e magari anche di votare per il segretario (guarda che non sono eccezioni queste, conosco tante persone dell’una o dell’altra parte…). Si tratta di capire solo se la semplice iscrizione è l’unico modo di sentire il partito come “cosa propria”… ma il dibattito è aperto e penso che presto scrivo qualcosa in proposito…
        Ciao e.. (sempre grato per i tuoi preziosi spunti…)
        Vittorio

        • Vittorio,
          come hai letto, personalmente lascio la porta aperta alle primarie.
          Certo che non è molto credibile fare le primarie e non consentire le preferenze alle elezioni. Quelle sì che sono primarie vere, dove si decide, mentre così tutti gli onorevoli sono decisi dall’alto e continuano a costituire il gruppo dirigente.
          Tu hai ragione nell’allargamento della partecipazione anche attraverso il mezzo delle primarie. Però io che partecipo nella mia zona e nel mio circolo, posso dirti che se non ci fosse quel gruppo di iscritti che ci crede e che si impegna ogni giorno, il partito non starebbe in piedi.
          Però la discussione continua….
          Ciao,
          Sandro

  3. Mi fa piacere che anche Sandro Antoniazzi proponga, per l’area del centrosinistra e della sinistra, il percorso fatto dai socialdemocratici tedeschi nel 1959.
    E’ da tempo, più di qualche anno, che sostengo questa necessità, e cioè che il centro sinistra e a sinistra italiana abbiano la volontà e a capacità di fare quello che hanno fatto i socialdemocratici tedeschi con il Congresso di Bad Godesberg: hanno buttato a mare ciò che non serviva più segnando, con l’abbandono formale dell’ideologia marxista e la finalità di un capovolgimento rivoluzionario della società, una profonda rottura con la linea politica precedente. Inoltre, la SPD riconosceva l’economia di mercato e affermava di voler essere espressione del popolo intero e non dei soli lavoratori.
    Credo che di questa esigenza di riflessione se ne debba far carico anzitutto il PD, che è il maggior partiti dell’area del centrosinistra, e di questo deve discutere al suo congresso senza alcun vincolo pregiudiziale, compreso la sua disponibilità a dar vita ad un soggetto politico nuovo e unitario, oppure ad una coalizione di forze politiche che, in ogni caso, si riconosce su un programma di governo di ampio e lungo respiro.
    Convengo con Sandro che questa è la priorità da affrontare in questa fase storica e che questa è la premessa per affrontare e risolvere gli altri problemi da lui indicati: il rapporto con la gente e la scelta del gruppo dirigente.
    Se questo non avviene l’area del centrosinistra e della sinistra sarà condannata all’irrilevanza politica e all’esclusione dal governo del Paese e relegata al ruolo di testimonianza di fasi storiche passate e superate.

  4. Condivido pienamente tutto quello che hai scritto: non è un caso che tu sia cresciuto con Lazzati, Turoldo, don Milani, Mounier … ma oggi chi li conosce più? Non per nostalgia ma, per guardare avanti occorre conoscere la strada che si è già percorsa e il testimone che ci è stato lasciato; purtroppo i giovani di oggi sono in gran parte totalmente all’oscuro di tutto. In tutti i casi la partita è estremamente difficile come avviene nel campo della fede: i nostri argomenti non sembrano interessare più a nessuno. Ci aspettano lunghi anni di seminagione … poi vedremo cosa crescerà (se ci sarò ancora!). Grazie ancora
    roberto

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