Gli spiazzati (i cattolici anche di più)

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Un articolo breve ma denso, quello di Giuseppe De Rita sul Corriere della Sera di domenica 4 marzo. Dice che oggi il mondo cattolico, nonostante le apparenze (Todi, probabilmente), “pur avendo grande vitalità interna, è poi incapace di metterla in campo nella polemica politica e mediatica”. Eppure – di fronte al governo Monti –  il disagio c’è, perché “due cardini del pensiero sociale cattolico sono messi in discussione”: l’attenzione agli individui e alle famiglie e il riconoscimento del ruolo dei soggetti sociali intermedi. De Rita critica, nel governo Monti, la “tentazione alla verticalizzazione del potere e una strisciante tendenza a una stagione di neo-statalismo” ed esprime l’auspicio che i cattolici italiani sappiano “riprendere un ruolo dialettico nella gestione sociopolitica di questo delicato momento della società” (pur mostrandosi piuttosto scettico).

 L’ampia ribalta mediatica riservata ai primi cento giorni dell’attuale Governo è stata accompagnata da una parallela distrazione sul cono d’ombra in cui sono relegate ambizioni di medio-lungo periodo. In effetti son tanti coloro che vivono un imbarazzato spiazzamento di potere attuale e di prospettive future. A parte le più che conosciute difficoltà dei partiti, gli «spiazzati» coprono un largo campo. Penso ai cinque o sei aspiranti al Quirinale, obiettivo ormai perseguibile solo se vi rinuncia Monti; penso ai leader politici che, obbligati al presente, non riescono ad esprimere quelle istanze politiche di tempo lungo che sole legittimano la leadership; penso a quei protagonisti dell’associazionismo categoriale ridotti al silenzio da un governo che sa più di loro fare «rappresentazione» (magari al di là della rappresentanza) degli interessi in giuoco; e penso soprattutto al mondo cattolico, senza dubbio oggi in seria difficoltà.

Basta a tal proposito ricordare che solo ad ottobre un po’ tutti (giornalisti, politici, cardinali, leader dell’associazionismo, ecc.) ritenevano alle porte una ricomposizione forte della presenza pubblica dei cattolici e probabilmente la nascita di un nuovo soggetto (forse un partito) su cui incardinare tale presenza. A distanza di soli quattro mesi tale prospettiva è scomparsa dall’ordine del giorno e i bollettini quotidiani su quel quadrante ci parlano di cose più terra-terra: dalle tenebrose vicende dei «corvi» vaticani alla patetica vicenda della infrazione della concorrenza alberghiera da parte di alcune monachelle romane. Una caduta verticale di ruolo per un mondo che, pur avendo grande vitalità interna, è poi incapace di metterla in campo nella polemica politica e mediatica. Non è solo un momento congiunturale, visto che il rapporto del mondo cattolico con la logica culturale e politica del «governo tecnico» si sta dimostrando difficile e complicato. Non piace infatti a tale mondo lo spostamento verso l’alto di un potere di indirizzo e di governo che sacrifica gli spazi dei soggetti di base (individuali e familiari) e il ruolo dei soggetti intermedi: sono i primi infatti che soffrono o rischiano di più (per il prezzo dei carburanti, per l’imposta sulla case, per il rinvio della pensione, ecc.); mentre sui secondi incombe una azione di governo mirata su interventi generalizzati e automatici che mettono in secondo piano l’influenza dei soggetti collettivi, dalle grandi confederazioni sindacali e padronali agli ordini professionali, all’associazionismo di terzo settore.

In altre parole due cardini del pensiero sociale cattolico sono messi in discussione. E con un sovrappiù di esplicito giudizio negativo sulla storica indulgenza della cultura cattolica verso l’egoismo individuale, il familismo amorale, il particolarismo categoriale. Si è addirittura fatta strada l’idea che occorra rompere tale indulgenza e rieducare gli italiani alle logiche di produttività e di mercato necessarie nelle grandi sfide globali, e funzionali al rigore dei comportamenti che ci detta l’Europa. I cattolici sanno però bene, per esperienza diretta, che sotto ogni tentazione «pedagogica» si annidano sempre una tentazione alla verticalizzazione del potere e una strisciante tendenza a una stagione di neo-statalismo: gli individui gettati sul mercato cercano riparo alla loro precarietà in una responsabilità pubblica; il che produce una crescita degli strumenti di intermediazione statale; si rischia con ciò un aumento di spesa, cui corrisponde un aumento di imposizione fiscale senza un corrispettivo aumento dei servizi alla collettività; ed in più, per necessità, tutto viene deciso a colpi di decreti, di authority, di concentrazione finanziaria, di potere romano (magari vincolato se non eterodiretto da vincoli europei). In una direzione che sbilancerebbe il sistema sempre più verso l’alto.

Una società vive di equilibrio fra soggetti individuali, corpi collettivi intermedi, responsabilità statali, dinamica internazionale. I cattolici italiani sono sempre stati convinti di questa «complessa verità» e vedono quindi con sospetto tutte le politiche che turbano questo equilibrio. Sarebbe bello se potessero riprendere un ruolo dialettico nella gestione sociopolitica di questo delicato momento della società, evitando la condanna a doversi difendere in polemiche terra-terra.

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