Eppure la costruzione dell’Unione Europa non finisce con il voto

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Di Gianni Borsa

 

«Noi pensiamo a due sole vie ermeneutiche per fare l’Europa: la cultura e l’economia. Con quale risultato? La cultura è in caduta libera e l’economia ha perso di vista la felicità dell’uomo. Parole come “pace” e “solidarietà” sono derise, si sono svuotate di senso. Abbiamo dimenticato che esiste una terza via per fare l’Europa: la politica, una politica basata su valori forti, capace di combattere il linguaggio della paura, parlare alle periferie, ridare speranza agli Ultimi e riscoprire la comunità. Nei monasteri benedettini hai in nuce tutto questo. Un’altra politica intesa come sapiente gestione dei rapporti umani». Paolo Rumiz, viaggiatore e scrittore, in una pagina del suo Il filo infinito, pone in luce due grandi snodi del tempo presente, strettamente connessi tra loro: costruire l’Europa e rianimare la politica.

Il voto del 23-26 maggio per il rinnovo del Parlamento europeo si colloca in questo contesto. Non si tratta di una elezione come tante altre (per quanto ciascuna tornata elettorale sia di assoluta rilevanza in quanto prova democratica e opportunità di partecipazione politico-istituzionale): è piuttosto un’occasione per dimostrare che c’è chi crede ancora alla politica e, allo stesso tempo, ritiene che l’Ue è oggi più che mai necessaria per il bene dei popoli del continente nonché un valore aggiunto sulla scena internazionale.

Su ruolo, funzioni, successi, criticità e possibili riforme del Parlamento europeo e delle altre istituzioni comunitarie è stato scritto di tutto e di più nelle ultime settimane, segnale che queste elezioni suscitano maggiore interesse rispetto al passato. Meno si è detto che la “crisi dell’Europa”, di cui tanto si è discusso, è in realtà, e prima ancora, una “crisi della politica”, una crisi del senso di cittadinanza che rispecchia un diffuso e crescente atteggiamento individualista, per il quale l’altro, gli altri, la comunità in cui si vive, la propria città, la propria stessa nazione sono di sovente considerati in subordine rispetto agli interessi personali, o della propria parte, del proprio clan, della propria “razza”. «Prima vengo io, poi semmai ci siete voi»; «Prima gli italiani…»; «Prima gli interessi nostri, anche a scapito dei vostri…». Un individualismo e un egoismo sociale che mina alle fondamenta la convivenza civile (tante volte a partire dalla comunità-famiglia).

Il nazionalismo dilagante non è altro che la trasposizione politica di tale egoismo. La conferma viene dalle parole di alcuni politici che seminano zizzania, che mostrano il volto feroce del razzismo, che hanno smarrito le parole e il senso della giustizia e della solidarietà. Da questi politici e dai loro partiti occorre guardarsi in questa elezione europea. Senza fermarsi lì, però. Bisogna riedificare il valore della comunità, educare al senso civico e alla responsabilità pubblica, alimentare la virtù del “farsi prossimo”, favorire una nuova stagione dei doveri che proceda di pari passo con quella dei diritti.

La buona politica si alimenta in una società buona.

E ci serve una buona politica per rilanciare la “casa comune” europea a partire da casa nostra, dai comuni, dalle regioni, dalla nostra Italia.

Nell’ultima pagina del suo bel libro, Rumiz indica un percorso virtuoso: «Coraggio e cuore, dunque. Come monaci che rifondarono l’Europa sotto l’urto delle invasioni barbariche. Come i padri fondatori dell’Unione che dopo due guerre mondiali ridiedero dignità e ricchezza a un continente in ginocchio. Essi sapevano che l’Europa non è un dono gratuito, ma una conquista, e spesso un sogno che nasce dalla disperazione per la sua mancanza. Osarono sognarla nel momento non cui tutto sembrava perduto. Essi tesero dei fili. Tesserono trame e relazioni. Imitiamoli. Costruiamo una rete con i fratelli degli altri Paesi per far sentire meno solo chi non si rassegna a un ritorno dei muri e al linguaggio della violenza».

 

Gianni Borsa

giornalista, corrispondente del Sir da Bruxelles

Direttore di Segno, rivista per i soci di Ac

 

 

One Comment

  1. passaggio determinante, questo suggerito dalla riflessione di Rumiz circa l’importanza della politica, cerniera tra cultura ed economia
    a patto, però, che per politica non si intenda, com’è largamente inteso e praticato, il solo esercizio dialettico dei rapporti di forza, in base al quale ottenere il consenso necessario per governare
    occorre migliorare la qualità della politica, che richiede uno sforzo per distinguere il momento del confronto di idee, del dibattito, delle scelte, da quello dell’esercizio del potere: senno la dispersione in rivoli sempre più frazionati, ma capaci di ricatti nei momenti decisionali e decisivi, rimane determinante
    segno tangibile di questo declino è la perdita di significato dei congressi di partito, da taluni trasformati in eventi di piazza, che non sono nulla di nuovo rispetto al balcone di piazza venezia!
    non rimpiango quell’epoca, ma pero ora resta solo il vuoto
    occorre riempirlo al più presto

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