Debré Libanos. Fu molto di più di una mancanza di rispetto da parte della chiesa; e un eccidio ignominioso da parte dello stato italiano

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Non ha tutti i torti “Noi Siamo Chiesa” a criticare il modo, debole e privo di un qualche richiamo a gesti concreti, con cui il card. Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana, ha chiesto scusa, dopo molti decenni di silenzio della chiesa italiana (e non solo della chiesa), al popolo etiope e alla chiesa copta ortodossa di quel paese per l’orribile strage che fu commessa dall’esercito italiano nel monastero di Debre Libanos nel maggio 1937 (“Bassetti, con decenni di ritardo interviene sulla strage di Debré Libanos…“). Tra il 21 e il 29 maggio del 1937, monaci, preti e pellegrini ortodossi, radunati nel monastero di Debre Libanos per la festa dell’Arcangelo Mikael e di San Tekle Haymanot, vengono trucidati dalle truppe italiane, comandate dal generale Maletti, dietro un preciso ordine del viceré Rodolfo Graziani. “Oggi chiedo scusa ai fratelli dell’Etiopia per la mancanza di rispetto che si ebbe per i loro padri” ha detto il card. Bassetti. Lo ha detto nel corso della presentazione del libro di Paolo Borruso  Debre Libanos 1937. Il più grave crimine di guerra dell’Italia (Laterza, pagine 256, euro 20). “Fu – ha aggiunto Bassetti (e Noi Siamo Chiesa riporta le sue parole, tratte da un resoconto del Sir dello scorso 25 febbraio) – una mobilitazione del disprezzo e dell’odio contro gli etiopici, considerati nemici dell’aspirazione italiana ad avere un impero coloniale. Come cristiano e responsabile della Cei mi interroga molto”.  “Qualche importante prelato – ha evidenziato – dichiarò che sui campi di battaglia sventolava il vessillo della croce di Cristo, quando gran parte dell’Etiopia era già cristiana. La passione nazionalista negò questa storia esaltando la guerra. Oggi appare impossibile nutrire certi sentimenti”. Una posizione, quella del card. Bassetti, certo onesta, ma che appare non proporzionata all’enormità di quanto accadde, e priva dell’indicazione di una iniziativa concreta (in questo senso, delle proposte le aveva avanzate, tra gli altri, nel maggio del 2017, Noi Siamo Chiesa).

Si deve  a Lucio Brunelli, direttore di Tv2000 e alla Comunità di Sant’Egidio se da alcuni anni si è riusciti, almeno in parte, a rompere il muro di silenzio intorno alla strage dei cristiani di Debre Libanos, il più grande massacro di religiosi e fedeli cristiani avvenuto in Africa (secondo le ultime ricerche storiche, il numero delle vittime di questa strage sarebbe compreso tra 1.800 e 2.200). Nel 2016, da un’idea di Brunelli, esce il docufilm “Debre Libanos”, di Antonello Carvigiani: un’ora e cinque minuti di accurata ricostruzione storica, basata su testimonianze e documenti inediti. Il film è trasmesso da Tv2000 il 21 e 22 maggio, in occasione degli 80 anni dalla conquista italiana dell’Etiopia. Il barbaro episodio che viene raccontato nel docu-film (visibile qui) è pressoché sconosciuto in Italia, nonostante gli scritti che vi ha dedicato lo storico Angelo Del Boca. Si tratta di una pagina rimossa della storia italiana.

Il massacro di Debre Libanos fu la reazione a un attentato contro Graziani. Nel febbraio del 1937 due giovani eritrei lanciano alcune bombe contro il viceré. Sette sono i morti. Graziani viene ferito. Gli italiani scatenano una feroce vendetta. Per tre giorni Addis Abeba viene messa a ferro e fuoco. E’ una strage (le stime più basse parlano di 3.000 morti). I due attentatori fuggono verso il Nord del Paese in direzione del monastero di Debre Libanos, uno dei centri più importanti per la spiritualità e per l’identità nazionale etiopica. E’ il pretesto per regolare definitivamente i conti con la Chiesa ortodossa, ritenuta ispiratrice e fiancheggiatrice della resistenza anti-italiana. Il 18 maggio del 1937, il generale Maletti, dopo uno scambio di telegrammi con Graziani, accerchia con il 45esimo battaglione la cittadella conventuale di Debre Libanos e compie il massacro. Qualche giorno dopo, su ordine esplicito di Graziani, in una località vicina, vengono uccisi anche tutti i diaconi.

Due anni fa, il 12 maggio 2017, in occasione dell’anniversario del massacro, l’Avvenire pubblica un articolo di Alessandro Beltrami, “Debre Libanos. Gli 80 anni di un eccidio senza scuse”. Vengono intervistati Andrea Riccardi e il curatore del docufilm, Antonello Carvigiani. Riccardi, storico e fondatore di Sant’Egidio, aveva scritto, due mesi prima, sul Corriere della Sera del 7 marzo, un articolo importante, lanciando una sorta di appello: “Serve ricordare il massacro dei monaci etiopi con gesti concreti”. Sull’Avvenire rilancia il suo appello, e lo fa sia nei confronti dello Stato italiano sia nei confronti della chiesa Italiana: “Debre Libanos rappresenta una realtà dolorosissima, ma anche il simbolo di una violenza inaudita da parte dell’Italia fascista, di fronte a una Chiesa cattolica silenziosa nei confronti del messaggio di disprezzo che veniva lanciato verso il cristianesimo etiope. Naturalmente le responsabilità sono molto diverse. Io credo che ci sia una responsabilità delle forze armate italiane: l’ordine del viceré Graziani e l’esecuzione del generale Maletti e dei suoi sottoposti. Ho parlato di questo col ministro Pinotti, che è interessata ad approfondire il discorso e a non lasciar cadere la responsabilità italiana in proposito. Ma è significativo che nessuna personalità italiana abbia sentito la necessità di portare nemmeno una corona di fiori a Debre Libanos in tanti e tanti viaggi effettuati in Etiopia nella storia repubblicana. Questo è il momento in cui fare riemergere la memoria di questo fatto terribile”.

E’ oggi, finalmente, che lo Stato italiano sembra muoversi. Il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha annunciato la sua intenzione di recarsi il prossimo mese di maggio in Etiopia per portare le scuse dell’Italia al popolo etiope. Lo ha detto alla presentazione del libro di Paolo Borruso, alla quale è stato presente insieme al card. Bassetti (“Guerini: ‘Debre Libanos, andrò in Etiopia a chiedere perdono’”, Avvenire 26 febbraio 2020).

Quanto alle responsabilità della chiesa, Riccardi, sempre nell’intervista del 2017 all’Avvenire, disse: “La Chiesa ha vissuto durante la guerra il massimo d’identificazione col regime, benedicendo la sua azione bellica. Il cattolicesimo italiano non si limitò a tacere. Ci fu un disprezzo aggressivo nei confronti della Chiesa etiope. Fu l’atteggiamento della maggioranza dei vescovi, dei responsabili della Chiesa italiana. Ci sono molte manifestazioni, prime fra tutte le parole del cardinale Schuster sul fatto che i soldati portavano la croce in Africa”. Oggi, a distanza di due anni, Riccardi è tornato sulla questione scrivendo la prefazione al libro di Borruso, della quale  l’Avvenire ha pubblicato ampi stralci  lo scorso 23 gennaio (“Debre Libanos, il vero volto dell’Italia fascista”).

E’ davvero tempo che sia lo stato sia la chiesa compiano un atto pubblico, forte, nel quale si ammettano apertamente le proprie responsabilità per quell’ignominia e ci si impegni in qualche modo a compensare il male arrecato.

 

gi.fo.

 

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