Benedetto XVI agita le acque: “La disobbedienza è una via per rinnovare la Chiesa?”

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Alberto B. Simoni nel n. 302 dell’11 aprile 2012 di “Koinonia-Forum” analizza l’omelia del giovedì santo di Benedetto XVI (http://www.vatican.va/holy_father/benedict_xvi/homilies/2012/documents/hf_ben-xvi_hom_20120405_messa-crismale_it.html), nella quale il papa si era chiesto,esplicitamente ma  retoricamente: “la disobbedienza è una via per rinnovare la chiesa?”e dice di considerarla una sorta di controcanto all’Appello alla disobbedienzavenuto recentemente da oltre 300 parroci austriaci (http://www.adistaonline.it/?op=articolo&id=50339). Nel suo commento p. Simoni, dopo aver osservato che “sarebbe già buona cosa se la chiesa nel suo insieme prendesse coscienza della esistenza di un conflitto interno che è nelle cose e imparasse a viverlo in una sana dialettica”, si rivolge all’area dei cattolici del disagio per sottolineare che “sarebbe necessario che quanti agitano la bandiera della riforma e del rinnovamento nella Chiesa trovassero finalmente modo di uscire dalla sterile denuncia o dalla protesta del proprio disagio, per entrare nella prospettiva di un’altra chiesa possibile da costruire come pietre vive”…

 

Se lo chiede Benedetto XVI il Giovedì santo, in controcanto ad un “Appello alla disobbedienza” di circa 400 parroci austriaci, con i quali sembra voler entrare in dialogo.  Ma se proprio non è retorica, la domanda è funzionale ad una risposta d’ufficio, che per la verità gioca alquanto sul rischio di equivoco a cui si presta la parola obbedienza: si va tranquillamente dalla obbedienza di Cristo e a Cristo come modello – e quindi qualcosa che attiene al mistero della fede – alla obbedienza intesa come disposizione morale o come rispetto e osservanza di istanze istituzionali. Senza voler entrare nell’articolato ragionamento del Papa, basta cogliere il significato sintomatico del suo intervento, che raccoglie voci della periferia “come deve realizzarsi – una conformazione a Cristo – nella situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi”. In sostanza, si prende atto di una situazione critica anche alla base, così come da tempo è successo nei confronti dei lefebvriani, oggetto di ben altra attenzione e mai trattati così perentoriamente. Vengono esaminate alcune obiezioni funzionali alle risposte scontate e viene presentata la ricetta della “chiesa docente” con i testi del Concilio Vaticano II e del catechismo della chiesa cattolica insieme ai documenti offerti da Giovanni Paolo II: dove l’ottica è sempre quella “magisteriale” a senso unico e non quella “pastorale” e interattiva dei segni dei tempi promossa da Giovanni XXIII.

Sarebbe già buona cosa se la chiesa nel suo insieme prendesse coscienza della esistenza di un conflitto interno che è nelle cose e imparasse a viverlo in una sana dialettica. Ma soprattutto – questo è l’auspicio – sarebbe necessario che quanti agitano la bandiera della riforma e del rinnovamento nella Chiesa trovassero finalmente modo di uscire dalla sterile denuncia o dalla protesta del proprio disagio, per entrare nella prospettiva di un’altra chiesa possibile da costruire come pietre vive, da presentare al mondo “tutta gloriosa, senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata” (Ef 5,27). E cioè come la trasparenza di Cristo nella sua umanità. Non è solo questione interiore o spirituale – come farebbe pensare Benedetto XVI – né problema di sole strutture istituzionali, ma di una cosa e l’altra insieme! Penso – e torno a dire – che è necessario un ripensamento critico di come è stato interpretato e si è sviluppato l’”aggiornamento”, per dire tutto con una sola parola. C’è chi è rimasto legato alla stagione della contestazione e del dissenso, senza andare al di là della contrapposizione istituzionale e compromettendo le potenzialità di riforma in un confronto impari. E c’è chi ha mutuato da quella stagione solo le forme esteriori o le foglie di quella modernizzazione, ritenendo di recidere alla radice la pianta nuova che stava spuntando. Per cui lo stesso Benedetto XVI può dire che chi “guarda alla storia dell’epoca post-conciliare, può riconoscere la dinamica del vero rinnovamento, che ha spesso assunto forme inattese in movimenti pieni di vita e che rende quasi tangibili l’inesauribile vivacità della santa Chiesa, la presenza e l’azione efficace dello Spirito Santo”. Qualcosa che stride con la menzionata “situazione spesso drammatica della Chiesa di oggi”. Volendo ritrovare quelle radici e cercando di portare a maturazione i frutti sperati, c’è forse da ripercorrere il lungo e variegato processo di rinnovamento post-conciliare, portandolo fuori dai vicoli ciechi o dalle secche di istanze istituzionali che sono solo una conseguenza o un frutto di organismi nuovi fatti di persone e tra persone. È in questo senso e con questo spirito che riandiamo alla storia dell’Isolotto, senz’altro indicativa di percorsi futuri per chi non si sente già arrivato al traguardo di qualche “riforma”, di base o di vertice che sia.

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