Ai cattolici di Todi serve la democrazia «deliberativa»?

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Domenico Rosati, su “l’Unità” del 9 luglio 2012, ritorna sul documento preparatorio dell’incontro di Todi 2, previsto a ottobre, tra alcune organizzazioni cattoliche del mondo del lavoro. Ne mette in evidenza, per discuterlo criticamente, il punto riguardante l’intenzione di “operare scelte vincolanti in base a pratiche di democrazia deliberativa”. Scelte che, poi, dovrebbero servire per “interloquire con le rappresentanze che intendono condividerle, e per sostenere il dialogo strutturato con le varie istituzioni”. Rosati si chiede se si tratti di “un’integrazione delle procedure democratiche”, il che andrebbe bene, oppure  di “una loro sostituzione a opera di un’autorità che movimenta il consenso tramite il sapiente intervento degli esperti”; ed è questa seconda cosa che egli teme. “Più si scava – su questo argomento, osserva Rosati – e più ci si accorge di addentrarsi in un cunicolo… franoso”. Piuttosto – qui la sua proposta – “se appena si riflette sulla realtà cattolica italiana dell’ultimo ventennio, ci si accorge con straordinaria facilità che la vera risorsa da mettere in campo non è l’adozione di una qualche procedura di consultazione, ma la riattivazione nelle comunità cristiane della capacità di ricerca e di esplorazione sulle cose del «secolo». Quella che si è tanto indebolita da lasciare il campo all’abitudine di parlare solo dopo che i vescovi si sono espressi”.

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