Violenza di genere: l’importanza di dire di no e di saperlo accettare

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di Benedetta Parrini

È stata approvata dalla Camera dei deputati lo scorso 19 novembre 2025 la proposta di emendamento dell’articolo 609-bis del codice penale, ed ora è in discussione al Senato che potrà confermare il documento o proporre ulteriori modifiche.

L’emendamento introduce il concetto di consenso nei rapporti sessuali, come atto “libero e attuale”. È libero poiché non deve essere subordinato ad obblighi o costrizioni, significato già intrinseco nell’espressione di “consenso” ma importante da sottolineare secondo i legislatori ed è attuale, deve perciò persistere per tutto il rapporto e può essere revocato in qualsiasi momento.

Sono state molte le associazioni che si sono battute per questo emendamento, in particolare quelle che si occupano di violenze di genere, volendo attualizzare la legge vigente che, come impostazione, risale al 1996 quando per la prima volta si parlò di violenza sessuale non come reato contro la morale pubblica ma contro la persona.

Molti parlamentari sono però gli scettici nei confronti dell’emendamento proposto poiché ritengono difficilmente dimostrabile in sedi giuridiche la revoca del consenso durante un rapporto.

Ci si chiede inoltre perché sia necessario inasprire le pene e lavorare sul Codice penale, piuttosto che educare ad una coscienza di massa che estirpi la violenza dalla mentalità attuale, educazione che può essere impartita anche attraverso libri di professionisti che raccontano le loro esperienze.

Lo dimostrano Stefania Martani, autrice di “Certe donne” (Altrimedia edizioni, pubblicato nel 2025) e Chiara Gambino e Giampaolo Salvatore autori di “Mai più indifesa” (Altrimedia edizioni, edito nel 1019) in occasione della presentazione tenutasi il 28 novembre a Roma, in cui le due esperte riflettono sui tanti ruoli che la società attribuisce alla donna.

Stefania Martani nelle sue poesie racconta la storia di una “bambina cane”, come si definisce in una di queste. Una bambina che aspettava il ritorno di un padre da lei amato, che però non ricambiava quell’amore.

Offre poi il ritratto di una donna stanca e di una madre fatta sentire inadeguata tanto che, nel componimento “super mater”, si rivolge al figlio dicendo che vorrebbe “parole per consolarti di questa madre che t’è toccata in sorte”.

A partire da questo senso di inadeguatezza continuo che perseguita tante donne si innestano meccanismi di dipendenza affettiva che persuadono le vittime di doversi guadagnare l’amore di chi hanno vicino, subendo comportamenti sbagliati ed episodi di violenza fisica o psicologica.

Ci si chiede dunque come si possano prevenire questi comportamenti, prevenzione che deve partire dalle famiglie e dalla scuola.

Lo psicoterapeuta Massimo Giusti con la giornalista Francesca Fialdini presentano nel libro “come fossi una bambola” cinque testimonianze realmente attinte da storie di pazienti seguite dell’esperto, donne intrappolate in relazioni diverse con caratteristiche disfunzionali.

In tutte le dinamiche la difficoltà delle vittime è quella di essere inconsapevoli di ciò che vivono perché educate a doversi meritare l’amore.

Massimo Giusti evidenzia come il primo passo per uscire da queste situazioni è stato per le sue pazienti la presa di consapevolezza di dinamiche sbagliate, e poi l’imparare, anche attraverso l’aiuto della psicoterapia, l’importanza di dire no.

Un “No” che non è rifiuto alla vita o alle relazioni, ma che è un mettersi al centro per impedire che la pressione sociale faccia accettare dinamiche sbagliate o vessazioni.

Bisogna tenere presente però che in una società che si definisce civile non può essere giusto insegnare alle vittime come difendersi, ma è necessario intervenire per educare i “carnefici”.

A un mondo femminile ancora spesso ostacolato anche dalle istituzioni, troppo spesso incapaci di intervenire in modo tempestivo, corrisponde infatti un mondo maschile che sembra essere per lo più incapace di accettare un rifiuto e che si esprime con azioni violente.

Lo dimostrano i dati diffusi dall’Eures (EURopean Employment Services) che evidenziano come nel 2025 più di novanta donne siano state uccise in Italia per mano di uomini che nell’80% dei casi avevano rapporti affettivi con loro.

Ci si è dunque interrogati su come porre fine a queste violenze e alla mentalità che le genera con la consapevolezza che la chiave è l’educazione dei più giovani.

Questa basa le fondamenta nelle famiglie di origine ma deve essere anche coltivata dalla scuola, luogo di confronto e strumento importante per far sviluppare senso critico e una vera e propria coscienza di massa. È per questo importante la presenza di docenti formati, che accompagnino i ragazzi verso una maggiore consapevolezza e diano all’uso di gesti di violenza alternative concrete, riuscendo a valorizzare gli alunni e a educarli al “No”.

Un No che, come evidenzia la stessa Stefania Martani, fin dagli autori classici greci e latini è equivocato, ignorato o giustificato.

Vis grata puellae” dice Orazio, slogan usato fino agli anni Novanta per giustificare violenze sessuali e abusi, basta poi pensare al mito di Dafne, che, come narra Ovidio, si trasforma pur di non subire una violenza da Apollo.

Di fronte a una letteratura comunque misogina, figlia del suo tempo, è necessario quindi che gli insegnanti sappiano guidare i loro ragazzi in un mondo che perpetra la violenza anche attraverso le immagini che girano, per esempio, nei social.

Una recente dimostrazione di quanto sia necessario l’intervento tempestivo in ambito educativo è la scritta comparsa nei bagni del liceo Giulio Cesare di Roma, che presenta una vera e propria “lista degli stupri” corredata da nomi di ragazze.

La preside dell’istituto, Paola Senesi, ha subito preso le distanze dall’evento, illustrando agli inquirenti tutti i progetti proposti per appianare le distanze tra gli studenti e per contrastare violenze di ogni tipo.

Questo quadro complesso dimostra perciò che qualche progetto saltuario per promuovere una mentalità diversa non basta. Appare fondamentale l’introduzione di ore di educazione affettiva nelle scuole, affinché i giovani abbiano un’opportunità ulteriore di sviluppare competenze emotive e relazionali e a costruire relazioni basate sul consenso e sul rispetto.

Ma qui la controversia politica sale di tono.

 

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