I giovani e le mobilitazioni collettive

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di Salvatore Vento

Dal punto di vista sociologico i giovani, come gruppo, non sono un blocco sociale omogeneo, ma ampiamente articolato e dipendente da numerose variabili interne (genere, provenienza territoriale, famiglia d’origine, classi di età) ed esterne (contesto storico, eventi particolari). Il giudizio sui giovani è spesso condizionato da stereotipi e pregiudizi alimentati da fatti di cronaca negativi.  A livello più sofisticato si coniugano espressioni quali: generazione social dominata dal presente, invisibile, senza un’idea di futuro. Partendo da queste convinzioni ci si sorprende quando si assiste alla nascita di mobilitazioni collettive giovanili e di relative aggregazioni sociali.  Ronald Inglehart  – lo studioso americano più attento all’analisi dei mutamenti dei sistemi valoriali che ha fondato “World Values Survey” –  ha messo in risalto l’esistenza, nelle società avanzate, di un processo evolutivo dai bisogni materiali (carriera, reddito, stabilità economica) tipici degli anni ’50 a quelli post materiali (qualità della vita, natura, libertà personale, partecipazione) che hanno caratterizzato le generazioni dagli anni ’70 in poi. Ma, nei comportamenti collettivi e nei sistemi valoriali, non si tratta, come sostiene Albert Hirschman, di processi lineari e sempre progressivi, bensì di oscillazioni cicliche, una sorta di pendolo dal privato al pubblico, dai valori difensivi a quelli espressivi e viceversa. Un elemento di continuità nella storia dei giovani è lo slancio solidaristico durante eventi e calamità, come quello manifestatosi nei confronti dell’alluvione che colpì Firenze nel 1966, oppure come quello dell’alluvione genovese quattro anni dopo (ottobre 1970) e ripetuto nel 2011, dove i giovani vennero definiti “angeli del fango”. Un’intera generazione matura la propria coscienza politica internazionalista nelle proteste contro la guerra in Vietnam: dai campus universitari degli Stati uniti la lotta dilaga in tutti i paesi europei.  Il gruppo “I giganti” canta contro la guerra (“Mettete dei fiori nei vostri cannoni, per una ballata di pace”), Gianni Morandi fa esplicito riferimento al Vietnam (C’era un ragazzo che come me), esplode il maggio francese e le prime occupazioni delle università. I partiti appaiono impreparati e i giovani più attivi prediligono i nuovi movimenti. Nell’autunno caldo del biennio 1969-70, la ribellione dei giovani lavoratori trova un canale d’espressione nel superamento delle gloriose Commissioni interne e nella conseguente formazione dei delegati di reparto che formeranno i nuovi Consigli di fabbrica. Sull’altro versante, nel decennio degli anni ’80 le ricerche sottolineano la diffusione delle “passioni tristi”, dell’individualismo cinico e radicale. Come se fosse passata la sbornia e improvvisamente ci si trovasse di fronte ad un’altra realtà. Come noto, nella società della comunicazione, nel determinare i comportamenti e le scelte degli individui, prevalgono le apparenze e le finzioni. Umori e sentimenti che vengono sapientemente coltivati da Silvio Berlusconi e dal vertice aziendale di Mediaset. Nelle loro scelte pubblicitarie il sogno dell’innovazione permanente viene esemplificata nello slogan delle tre i (impresa, internet, inglese), in grado di abbattere i residui delle vecchie ideologie novecentesche. Un carattere particolare, che meriterebbe un’approfondita analisi, assumono le giornate mondiali della gioventù (GMG) convocate da Giovanni Paolo II a partire dal 1986 e che negli anni ’90 si svolgono con grande partecipazione in tutte le città del mondo; a Roma nel 2000 arrivano due milioni di giovani, un fatto sociologicamente significativo: il Papa sofferente viene considerato un testimone coerente, un uomo che mette in pratica le sue idee. Da Seattle (1999) in poi, in occasione dei vertici internazionali (Wto, G8), nascono movimenti di contestazione definiti impropriamente “no global”, ma che in realtà si schierano contro una globalizzazione dominata dall’alta finanza; lo slogan unificante è quello di “un altro mondo è possibile”. Il ventennio successivo la contestazione anti global parte invece dai movimenti populisti e sovranisti. Nel vertice del luglio 2001 a Genova si sviluppano iniziative e dibattiti con grande coinvolgimento giovanile, la Chiesa apre le porte, gli spazi dove riunirsi risultano sempre insufficienti. Dalla politica ufficiale i giovani pretendono coerenza tra idee proclamate e pratica, sono alla ricerca di testimoni coerenti. Amano impegnarsi su temi specifici nei quali possono toccare con mano i risultati delle loro azioni. Se vogliamo accertare meglio gli orientamenti nei confronti della politica il dato elettorale è certamente significativo. Nel 2008, secondo l’inchiesta di Ilvo Diamanti effettuata dopo il voto, il 49% dell’elettorato di 18-29 anni si sposta sul centrodestra di Berlusconi a fronte del 31% del candidato di centro sinistra (Veltroni). Da notare che per la prima volta votano i nati nel 1989. Nelle manifestazioni giovanili un ruolo particolare svolgono le donne che nel 2011 costituiscono il movimento “Se non ora quando”, una rete di mobilitazione di un centinaio di piazza italiane. Sull’atteggiamento dei giovani nei confronti del lavoro se la dimensione lavorativa si è fatta così frammentata e in continua evoluzione, può ancora costituire uno spazio in cui i giovani “fanno società”, si aggregano, creano forme di relazione? A questa domanda le ricerche sociologiche rilevano che il lavoro rimane fonte di identità più a livello individuale che non di costruzione di solide relazioni sociali. Ma nel referendum del giugno 2011 sull’acqua pubblica, la maggiore affluenza (pari al 64%) si è riscontrata nella classe d’età più giovane (18-24 anni. Nell’ultima ondata di mobilitazioni di giovani per il clima è stata significativa la partecipazione di adolescenti e anche delle loro famiglie. A Genova la manifestazione del gennaio 2019, per una città aperta e solidale e contro la chiusura dei porti, coinvolse oltre diecimila giovani e il corteo fu aperto dagli scout in divisa dell’Agesci.  Ogni volta che si presenta alla ribalta sociale un movimento civile tutti si affannano a chiedere il programma invece spetta ai partiti e alle grandi organizzazioni sociali cogliere l’occasione offerta dai movimenti per tradurre queste esigenze in programmi d’azione politica. Nel 2020 durante il periodo del Coronavirus e del conseguente lockdown, fu interessante, e per molti aspetti sorprendente, la reazione degli studenti alla necessaria scelta della didattica a distanza (DAD) per contenere la diffusione della pandemia. La stragrande maggioranza voleva ritornare a scuola e comunicare di persona con gli insegnanti e con i propri compagni. La presenza fisica veniva ritenuta rilevante sia per acquisire competenze, sia per sviluppare capacità cognitive e relazionali. Nell’ultimo Rapporto giovani 2025 leggiamo che gli adolescenti, contro ogni stereotipo, dimostrano buoni livelli di empatia e una forte attenzione ai principi morali. Nonostante il clima sociale spesso scoraggiante, gli adolescenti italiani mantengono un buon livello di speranza attiva e motivazione interna per raggiungere i propri obiettivi. Arriviamo così alle straordinarie manifestazioni giovanili contro la distruzione del territorio e dei palestinesi della striscia di Gaza che ha suscitato una vera e propria presa di coscienza etico morale. L’azione della “Global Sumud Flotilla” è stata seguita con ansia e partecipazione emotiva. L’uso dei social ha svolto un ruolo significativo dimostrando che esiste la possibilità di prendere posizioni anche a livello internazionale: oltre 50 imbarcazioni con giovani provenienti da 44 diverse nazioni partiti da diversi porti. Una delle più grandi iniziative internazionali di tutti i tempi, il che può rappresentare, se ben coltivata, un’esperienza da sviluppare per altre iniziative nel momento in cui le questioni mondiali sono destinate a condizionane sempre di più la nostra vita quotidiana.

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