Ribelle per amore, ribelle nell’azione. La breve, intensa, generosa, coraggiosa vita di Giorgio Morelli, “Il Solitario”: un giornalista partigiano.
di Francesco Lauria
“Non meravigliarti se ti ho detto: dovete nascere dall’alto. Il vento soffia dove vuole e ne senti la voce, ma non sai da dove viene né da dove va: così è chiunque è nato dallo Spirito.”
Questo celebre passo del Vangelo di Giovanni mi è tornato alla mente mentre riponevo, dopo un’avida e soddisfatta lettura, la splendida e tanto attesa biografia di Giorgio Morelli, il giornalista partigiano “Solitario”, scritta dall’ottima storica Marta Busani.
Il testo, corredato da un poderoso e accurato lavoro di ricerca di archivio, racconta il contesto in cui si è sviluppata la troppo breve esperienza terrena di Giorgio Morelli, partigi
ano cattolico reggiano, ferito a morte, a soli ventuno anni, in un’imboscata comunista nell’immediato secondo dopoguerra e perito nel 1947, oltre un anno dopo l’agguato, a seguito delle ferite ricevute.
Ha testimoniato don Eleuterio Agostini, amico della famiglia Morelli, nel mio libro Sapere, libertà, mondo, dedicato alla biografia di Pippo, fratello minore di Giorgio:
“Giorgio Morelli veniva chiamato, durante la guerra, il Solitario. Durante la Resistenza, ma soprattutto dopo, il suo ruolo fu molto rilevante nell’area reggiana ed emiliana. Il Solitario era un nome particolare, non conosco il vero motivo della scelta, pur essendone facilmente comprensibile il significato. Il fratello di Pippo fu il primo partigiano a entrare a Reggio, da solo. Dal balcone del Comune innalzò il tricolore, sempre da solo. Iniziò poi le sue pubblicazioni (prima Il Foglio tricolore e poi La Nuova Penna). Durante la Resistenza aveva fatto parte delle Fiamme Verdi, dal settembre del 1944 (in un primo momento si era arruolato nei Garibaldini, da cui era uscito).”
Giorgio Morelli, grazie anche alle sue grandi abilità giornalistiche e di inchiesta, aveva cercato di opporsi al momento di grande sbandamento che ci fu dopo la Liberazione (eravamo nel famigerato «triangolo rosso»).
Tutto questo lo pagò nella sua forma più estrema.
Al di là della vicenda dolorosissima della morte, rimasta amaramente senza colpevoli, si può riconoscere che Busani, senza cadere in agiografie e martirologi, abbia perfettamente adempiuto alle parole di Luciano Bellis in ricordo di Pippo Morelli, riportate all’inizio del volume: “Alla mia memoria rendete omaggio se vivrete anche voi, come me, sempre uomini nella coscienza, sempre giovani nel cuore”.
Il libro è diviso, in rigoroso ordine cronologico, in quattro capitoli che presentano il percorso personale e pubblico di Giorgio Morelli.
Il primo ci racconta il suo impegno nella giovinezza, a partire dall’Azione Cattolica reggiana, con la redazione degli, incredibilmente parzialmente scomparsi: “Fogli Tricolore”, la diserzione della chiamata alle armi della Repubblica Sociale, l’impegno tra i partigiani della Repubblica di Montefiorino.
Il secondo ricostruisce la nascita della Brigata Fiamme Verdi, il rapporto con i fratelli Ermanno e Giuseppe Dossetti, l’uscita del periodico clandestino “La Penna”, l’avvento della Liberazione.
Il terzo delinea il dopoguerra e l’uscita del “capolavoro” (pur in alcuni tratti discutibile) di Giorgio Morelli: il giornale “La nuova Penna”. Le inchieste sui primi attentati comunisti, il rapporto, non sempre agevole, con la Democrazia Cristiana locale, la nascita dell’Ogi (Organizzazione Giovanile Italiana) in contrapposizione al comunista Fronte della Gioventù, l’attenzione alla questione istriana e triestina, fino all’attentato e ai sei colpi di pistola ricevuti da Morelli, parzialmente andati a segno, il 27 gennaio 1946.
L’ultimo capitolo si concentra sulle inchieste relative ai delitti nel triangolo rosso e in particolare nel territorio di Reggio Emilia. Inchieste che Giorgio Morelli porta avanti, nonostante sia fortemente debilitato dalla malattia subentrata a seguito dell’attentato. Fino al trasferimento, per diretto interessamento di padre Agostino Gemelli, presso l’Università Cattolica di Milano, l’illusione della guarigione e la prematura morte, avvenuta il 9 agosto 1947, un anno e mezzo dopo il vile attentato subito.
Ha testimoniato, sempre in Sapere, Libertà, Mondo, lo storico reggiano Massimo Storchi rispetto al contesto in cui si è sviluppata la vicenda umana e civile di Morelli e a come, per decenni, molti aspetti sono rimasti colpevolmente celati:
«Nel 1990, dopo il silenzio che era calato colpevolmente sulle violenze del triangolo rosso, vi fu una sorta di esplosione. L’ex onorevole del Pci Otello Montanari (Reggio Emilia, 1926-2018), ex partigiano, presidente dell’Istituto Cervi, da sempre punto di riferimento dell’Anpi a Reggio Emilia, pubblicò, il 29 agosto del 1990, un famoso articolo sul quotidiano “Il Resto del Carlino” intitolato: “Chi sa, parli”. L’articolo aprì mediaticamente il dibatto sui misteri del dopoguerra in Emilia e in particolare a Reggio Emilia. Se ne parlò in tutta Europa e persino nel mondo. La Rai mandò a Reggio Emilia gli inviati a cercare le fosse dei morti.
L’operazione, in teoria meritoria [e che tra l’altro costò a Montanari l’espulsione dall’Istituto Cervi e dall’Anpi, salvo poi una successiva riabilitazione, ndr] aveva anche una componente di strumentalità. Da quel momento, per un periodo non breve, tornò in Emilia un clima da guerra fredda e non fu possibile, per quasi due anni, andare avanti con la raccolta di testimonianze». Sulla vicenda e sulla figura di Montanari si spaccò il mondo della sinistra reggiana, ma anche regionale e nazionale.”
Se spostiamo l’attenzione del mondo della sinistra comunista a quello cattolico appare molto rilevante riprendere ciò che scrive lo storico del movimento cattolico Giorgio Vecchio nella sua prefazione al libro:
“La Resistenza dei cattolici contro il nazifascismo è stata a lungo sottovalutata, soprattutto nella sua dimensione di lotta armata. I motivi sono tanti e diversi tra loro: l’imbarazzo della Chiesa, al tempo della guerra fredda, di fronte a un periodo nel quale i cattolici avevano pur collaborato con i comunisti; il dato di fatto che la Resistenza attiva era stata un fenomeno minoritario o persino di breve durata (si pensi alle differenze tra Nord, Centro e Sud); la pretesa del Partito Comunista di incarnare il monopolio della “vera” Resistenza; la presenza nella comunità cristiana di ecclesiastici e laici tutt’altro che orientati verso la democrazia”.
Continua Vecchio, passando a una riflessione sulle motivazioni della Resistenza armata di matrice cristiana:
“Che cosa spinse i redattori, cresciuti sotto il regime fascista, a dar vita di “Fogli Tricolore”? A preferire, come scriverà Giorgio Morelli in un articolo polemico, alle “mura arrugginite della protezione attendista, l’atmosfera cocente e rossastra della lotta per la vita, con la vita”? Dove erano maturate le riflessioni critiche sulla natura del fascismo e dello Stato totalitario? Da dove nasceva il bisogno di libertà più volte richiamato nelle pagine del giornale? Quali potevano essere i punti di riferimento umani, politici e culturali di giovani che erano stati educati all’interno del regime fascista?”
Prosegue, ancora, lo storico comasco:
“Quale lascito abbiamo ricevuto da Giorgio Morelli? Al di là dei suoi limiti ci rimane di lui anzitutto un esempio di cristallino coraggio e di perseveranza, finalizzato alla costruzione di un sistema politico realmente democratico e pluralista, all’interno di una società più equa e solidale. In questa prospettiva il giovane reggiano si trovò costretto a combattere contro due totalitarismi: quello nazifascista e quello stalinista”.
Di Giorgio Morelli è importante ricordare, oltre alla contestualizzazione storica, l’esempio personale e una fede adulta, vissuta, trasfigurata.
Scriveva nel suo diario, “il Solitario”, solo due giorni prima di morire:
“Ho una tristezza infinita nell’anima. Quasi un presentimento che debba avvenire qualcosa di inatteso, di acerbo. Forse questa mia giornata terrena potrebbe non vedere l’alba di domani. Non mi spaventa la morte. Mi è amica, poiché da tempo l’ho sentita vicina, in ore diverse: sempre bella…
Nell’istante prima del mio tramonto, mi prenderebbe una sola nostalgia: quella di aver poco donato.
Oggi la mia confessione ultima sarebbe questa: l’odio non è mai stato ospite della mia casa. Ho creduto in Dio, perché la sua fede è stata la sola ed unica forza che mi ha sorretto”.
Ribelli per amore, furono definiti i partigiani cattolici bresciani, guidati da Teresio Olivelli.
Ribelli nell’azione, potremmo aggiungere, pensando a Giorgio Morelli e ai suoi compagni.
Un’azione, è innegabile, compiuta anche con le armi.
Ma con un profondo e severo codice di condotta, rifuggendo qualsiasi bestialità e desiderio di vendetta.
Con l’obiettivo e il progetto di un’Italia, una patria, non aveva problemi a definirla così Giorgio Morelli, libera, equa, solidale e, soprattutto, compiutamente democratica.
Grazie Marta Busani.
Grazie “Solitario”!
Marta Busani, Giorgio Morelli “Il Solitario”. Storia di un giornalista partigiano, Studium, Milano, 2025.