LA POLITICA DI TUTTI

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Sintesi del convegno di c3dem a Paestum, e qualche prima valutazione

 

Le anime, e le gambe, che hanno contributo alla buona riuscita del convegno di Paestum sono tre. Una, certo, è la rete c3dem, da cui l’iniziativa è partita. C3dem esprime lo sforzo di coordinamento di gruppi e associazioni di matrice cattolico-democratica attive sul piano della cultura politica e radicate nel Centro-nord; pertanto c’era il desiderio di incontrare gruppi operanti nel Sud. Quanto al tema, c3dem voleva dare un contributo alla ripresa di attenzione al divario nord-sud (la secolare “questione meridionale”). E aveva scelto una specifica angolatura per affrontarlo: interrogarsi su come si possa determinare un circolo virtuoso tra le esperienze di volontariato e di partecipazione civica (che al Sud non mancano), da una parte, e l’esigenza di una rigenerazione della politica, dall’altra. Di qui il titolo del convegno: “Cittadinanza attiva e rinnovamento della politica nel Sud”. Una seconda anima del convegno è stata un’associazione che finora aveva avuto un’appartenenza solo nominativa alla rete c3dem e che in questa occasione si è invece spesa in pieno nel costruire la struttura del convegno e nell’individuarne alcuni dei principali protagonisti. L’associazione Paideia, di Salerno, portava in dote al convegno una lunga esperienza sia di attività di volontariato sociale sia di formazione socio-politica. La terza anima è stato il MoVI, il Movimento del volontariato italiano, fondato da Luciano Tavazza alla fine degli anni ’70. Il MoVI è una delle principali realtà del volontariato italiano e si è dato la missione di qualificarne l’operato e alimentarne la nervatura democratica e la tensione verso cammini di giustizia sociale.

Al centro del convegno, cui hanno partecipato circa 90 persone, vi è stato un continuo interrogarsi sulla dimensione politica delle iniziative che nascono dal basso, autonomamente. Queste iniziative, che possiamo chiamare di cittadinanza attiva, hanno bisogno di connettersi in modo virtuoso con le istituzioni locali per promuovere una rigenerazione della politica o sono esse stesse una forma efficace di attività politica? Sono la via maestra per restituire vitalità ai partiti politici e per formare una nuova classe dirigente o, prima ancora e soprattutto, sono un nuovo modo di fare politica, una politica non di parte (di partito) ma espressione della partecipazione dei cittadini in quanto tali, una politica di tutti?

Il convegno, aperto da Vittorio Sammarco, coordinatore della rete c3dem, ha poggiato su una relazione introduttiva di Rocco D’Ambrosio, pugliese, docente di Filosofia politica ed Etica politica alla Pontificia Università Gregoriana, animatore dell’Associazione (e della rivista) “Cercasi un fine”, una singolare figura di prete formatosi sulle orme di don Lorenzo Milani, di Emmanuel Mounier, di don Sturzo, di Tonino Bello. E si è articolato su quattro piste di lavoro: “Liberare energie e costruire comunità” (relazione di Gregorio Arena, presidente di Labsus; e gruppo di lavoro introdotto da Gianfranco Solinas, coordinatore di “Rete bambini, ragazzi e famiglie al Sud”); “Nuova economia e impegno per la legalità” (relazione di Gaetano Giunta, presidente della Fondazione di comunità di Messina, una straordinaria e innovativa esperienza di nuovo welfare e nuova economia locale; e gruppo di lavoro introdotto da Virginia Meo, di “Reti di economia solidale”); “Formazione sociale e partecipazione civica” (relazione di Lella D’Angelo, di Paideia; gruppo di lavoro introdotto da Piero D’Argento, coordinatore per la Regione Puglia del programma “Puglia capitale sociale” e collaboratore del programma per i giovani “Bollenti spiriti”); “Radicamento nel territorio e coscienza politica” (relazione di Giorgio Marcello, dell’Associazione San Pancrazio di Cosenza; gruppo di lavoro introdotto da Ferdinando Siringo, del MoVI, attivo a Palermo).

Sui risultati dei quattro gruppi di lavoro si è svolta la parte finale del convegno, cui avrebbero dovuto partecipare anche due interlocutori con una diretta esperienza politica alle spalle (Mimmo Cersosimo, docente di Economia all’Università della Calabria e già assessore alla Cultura nella Giunta regionale della Calabria, e Guglielmo Minervini, già assessore nella Giunta della Regione Puglia, di cui abbiamo messo sul sito una interessantissima intervista pubblicata sul numero in uscita della rivista “Lo straniero”); ma problemi di salute hanno costretto entrambi alla rinuncia. E’ toccato, allora, a Giuseppe Cotturri, docente di Scienze politiche a Bari e protagonista di una pluridecennale riflessione sui temi della partecipazione democratica e della cittadinanza attiva, misurarsi con l’insieme di annotazioni e di interrogativi emersi dal lavoro dei gruppi e a evidenziarne i nuclei principali e le piste per ulteriori approfondimenti. Nel dibattito che è seguito, moderato da Guido Formigoni, sono intervenuti, tra gli altri, il presidente del MoVI, Franco Bagnarol, il segretario generale della Fim Cisl, Franco Bentivogli, e una collaboratrice di Gustavo Minervini ed esperta di valutazione delle politiche sociali all’Università di Bari, Fausta Scardigno.

Un momento ugualmente significativo, nel corso del convegno, è stato l’incontro serale con Giovanni Ladiana, padre superiore dei gesuiti di Reggio Calabria, autore di un libro edito da Laterza in cui narra il suo percorso tra le persone più fragili nel rione di Scampia a Napoli, al quartiere Librino a Catania, e infine a Reggio Calabria (“Anche se tutti, io no. La Chiesa e l’impegno per la giustizia”). Nel convegno, condotto sul filo di una limpida laicità, numerosi sono stati gli arricchimenti provenienti da fonti cristianamente ispirate: nella cartellina era presente, tra altro materiale, un opuscolo contenente la relazione di Luciano Tavazza a conclusione del Convegno sui mali di Roma del 1974 (“La responsabilità dei cristiani di fronte alle attese di carità e di giustizia”). Sui tavoli in sala i libri delle edizioni “la meridiana” (la bella casa editrice di Molfetta). La prima serata del convegno è stata dedicata all’ascolto di alcuni brani musicali espressione delle culture e delle religioni del bacino del Mediterraneo e del mondo slavo. E, soprattutto, nei gruppi di lavoro è emerso che, dei partecipanti, molti avevano esperienze nell’Azione cattolica, nell’Agesci, nelle realtà parrocchiali o in percorsi di missionarietà nei quartieri più disagiati (come suor Lucia Sacchetti a Napoli). Diciamo che nelle tre “c” (Costituzione, Concilio, Cittadinanza) un po’ tutti si sono ritrovati.

Nella relazione d’apertura (“Il Sud tra appartenenze e risorse”) don Rocco D’Ambrosio ha rivendicato al Sud la passione e l’autenticità, ma ha indicato gli elementi che minano queste virtù, in particolare il familismo. D’accordo con le tesi sostenute più di cinquanta anni fa da Banfield, che nel suo libro “Le basi morali di una società arretrata” aveva parlato di “familismo amorale”, D’Ambrosio ha descritto questo tratto della società meridionale come “la tendenza a massimizzare i vantaggi materiali e immateriali della famiglia nucleare e a presupporre che tutti facciano allo stesso modo”. L’interesse per la famiglia, pertanto, non lascia spazio alla carità, alla giustizia, alla solidarietà, se non in rare occasioni e per una spinta di natura emotiva. “E questo ci distrugge!”, ha detto D’Ambrosio, che ha poi indicato il cammino da percorrere usando una frase di Mounier contenuta nel Trattato del carattere: si tratta di “organizzare lentamente le prossimità in comunità”, un lavoro lungo ma bellissimo, che mira a far sì che lo spirito di comunità prevalga sull’istinto familistico. Per questo cammino le risorse il Sud le ha, risorse naturali e capacità di progettare, ma manca di visioni ampie, di capacità specifiche di gestione, e di fiducia nell’efficacia di partecipare alla progettazione delle politiche pubbliche. Lo Stato è sentito ancora come lontano. Nel Meridione, dunque, non c’è bisogno solo di un rinnovamento della classe politica ma anche, secondo D’Ambrosio, di un rinnovamento della comune mentalità politica; nella convinzione che resta valido l’appello di Sturzo a Napoli quasi un secolo fa – “il Mezzogiorno salvi il Mezzogiorno!” -, e anche quello di don Tonino Bello – “Meridionali, non svendete le vostre ricche potenzialità etiche e culturali per omologarvi ad altri abiti d’importazione, destinati ad andarvi sempre o troppo stretti o troppo larghi”.

Gregorio Arena, padre fondatore del Laboratorio per la Sussidiarietà (Labsus), ha ripreso il tema mouneriano dell’organizzare le prossimità (cioè le famiglie, i vicini) in comunità, e ha centrato il suo intervento su una proposta impegnativa: costruire comunità intorno ai beni comuni. Si fa comunità, ha detto, lavorando insieme per la cura dei beni comuni. Facendo qualcosa insieme si costruisce coesione sociale, si impara a fidarsi gli uni degli altri. I beni comuni, ha spiegato Arena, sono quegli edifici o spazi che non sono più usati (una ex scuola, una ex caserma, una fabbrica abbandonata, uno spiazzo inutilizzato …). E’ la comunità stessa che identifica un bene comune nel momento che decide di prendersene cura. Un esempio è la scuola Di Donato, nel cuore della Roma multietnica, che dalle 8 alle 14 è un bene pubblico, poi dalle 14 alle 22, con il benestare del preside, diviene un bene comune, perché è affidato alla libera iniziativa di un comitato di genitori che ne fa un luogo di mille iniziative per bambini e per adulti. Arena ha raccontato come, dopo l’introduzione nella Costituzione, nel 2001, del quarto comma dell’articolo 118 (“Stato, Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni, favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”), si siano andate diffondendo numerose esperienze di cittadinanza attiva, cioè di cittadini che, volontariamente, ma mossi da un interesse concreto anche personale, e con spirito di solidarietà, hanno preso l’iniziativa di prendersi cura di un pezzo del loro territorio. I sindaci, dal canto loro, hanno cominciato a vedere i cittadini non solo come un insieme di bisogni cui dover rispondere, ma anche come un insieme di risorse cui attingere. Poco più di un anno fa il Labsus ha presentato a Bologna il “Regolamento per l’amministrazione condivisa”, che valorizza e disciplina le molteplici possibilità di alleanza tra l’iniziativa autonoma dei cittadini e l’amministrazione pubblica. E già una cinquantina di comuni hanno assunto questo regolamento, e un centinaio, tra cui anche alcuni grandi centri urbani, ne stanno discutendo l’approvazione.

Ma non c’è solo la via delle pratiche di “amministrazione condivisa”, nella direzione indicata da Gregorio Arena. Gaetano Giunta, un fisico teorico convertitosi all’innovazione sociale, ha raccontato la piuttosto straordinaria avventura della “Fondazione di Comunità di Messina”, che ha descritto con queste parole: “La Fondazione di comunità di Messina è un atto d’amore verso la nostra costituzione repubblicana e verso un territorio ed una comunità caduti da anni sotto la soglia di povertà (…); nasce per promuovere sviluppo umano innovando e favorendo la crescita di connessioni tra sistema educativo, sistema di welfare, sistema di produzione, dotazione di conoscenze (anche tecnologiche) e le capacità tradizionali delle comunità locali”. Si era a metà degli anni ’90. Dopo le stragi di via Capaci e di via D’Amelio, si era prodotta in Sicilia una forte scossa, ed era nato un movimento di cittadini dal basso. Giunta ha partecipato a questo tentativo di opporsi a povertà e violenza, ma poi si è reso conto che tutto sarebbe stato riassorbito se non si provava a cambiare – come lui dice – “i paradigmi” del sistema sociale ed economico. Tenendo fede ai tre principi della Costituzione –  dignità, libertà e uguaglianza – e potendosi giovare delle sue numerose conoscenze negli ambienti universitari e del mondo scientifico, Giunta ha dato vita ad una fondazione di comunità con scopi molto impegnativi: promuovere le libertà individuali delle persone e delle comunità locali, sviluppandone le capacità; promuovere la coesione sociale, a partire dalle reti di vicinato e parentado; promuovere forme di economia sociale e solidale, che consentano alle persone più emarginate di trovare cittadinanza e che si pongano come un’alternativa ai circuiti delle economie illegali e criminali; promuovere l’apertura dei sistemi locali allo scambio di risorse, conoscenze e opportunità, promuovendo lo sviluppo dei talenti locali e l’attrazione di talenti creativi. Giunta ha raccontato come, subito dopo la sua costituzione, la Fondazione ha realizzato un parco diffuso di energie rinnovabili, il cui rendimento netto (insieme alle raccolte fondi attuate ogni anno) ha permesso di auto-finanziare una serie di iniziative sociali, culturali, di economia solidale, che hanno finito per dar vita a una sorta di “distretto sociale condiviso”. Esemplare è stata la fuoriuscita dall’Ospedale psichiatrico giudiziario di Pozzo di Barcellona di 60 pazienti con i quali è stata creata una cooperativa sociale.

L’intervento di Giunta è stato affascinante, ma non se ne è potuto discorrere perché, finita la relazione, ha dovuto lasciare il convegno (il gruppo di lavoro su economia e legalità ha comunque suggerito una pista per sperimentare nuove pratiche di economia solidale). Va sottolineato, però, un punto che attiene al rapporto tra l’iniziativa della Fondazione di comunità di Messina e la politica. Gaetano Giunta ha sostenuto che la Fondazione vuole essere una risposta politica alla impossibilità di un’opzione rivoluzionaria nel contesto storico attuale e all’inefficacia dell’opzione riformista sin qui praticata in Italia (che, a suo dire, è “un riformismo di destra”); rappresenta dunque un’opzione riformista nuova, che cerca di sperimentare, a livello territoriale, un approccio all’economia basato su un’idea della persona umana che non ne considera come primaria la natura egoistica, e che cerca di costruire elementi di economia civile.

Più tempo c’è stato invece per conoscere e discutere alcune altre sperimentazioni di cittadinanza attiva, di economia solidale, di partecipazione dal basso: dalla “Rete bambini, ragazzi e famiglie al Sud” al programma di politiche pubbliche giovanili “Bollenti spiriti”. In particolare quest’ultimo ha offerto parecchi stimoli. Ne ha riferito Piero D’Argento, un pugliese con una intensa esperienza  di volontariato, che è poi stato assessore alle politiche sociali a Conversano, e ultimamente ha lavorato collaboratore alla Regione Puglia. D’Argento racconta che in Puglia, una regione considerata molto conservatrice, i primi fermenti di senso civico e di partecipazione sociale sono venuti durante la stagione dei nuovi sindaci, “nuovi” perché eletti per la prima volta direttamente dai cittadini, all’inizio degli anni ’90, e si sono mantenuti vivi per molti anni fino a consentire, nel 2005, che venisse votato come presidente della Regione un outsider come Nichi Vendola, comunista e omosessuale. Della giunta, da quell’anno, fa parte anche Guglielmo Minervini, già obiettore di coscienza, amico di don Tonino Bello e fondatore della casa editrice “la meridiana”. La Puglia, dice D’Argento, smette di essere pensata dagli altri; si comincia a percepire come soggetto. E si avvia così un processo d liberazione della tante risorse latenti. Il programma pubblico “Bollenti spiriti” è un esempio di questo nuovo approccio. Si tratta di un investimento sui giovani per dare loro visibilità, per stimolarne il protagonismo. Utilizzando i fondi europei si lancia un programma che guarda ai giovani come una risorsa e non come un problema; l’accento è sul talento, l’energia e la voglia di partecipare; sullo spirito, insomma. Si offrono borse di alta formazione per giovani neo-laureati (circa 5.000); si aprono laboratori per ristrutturare edifici abbandonati (oltre 150) e trasformarli in laboratori urbani da dedicare all’espressione e alla creatività giovanile; si finanziano centinaia di gruppi informali di giovani per la realizzazione di idee nel campo della tutela e valorizzazione del territorio, dell’economia della conoscenza, dell’inclusione sociale.  E il risultato è che, come dice D’Argento, una generazione si è finalmente materializzata nel giro di un anno. Era un soggetto che fino ad allora non esisteva. La miccia è stata proprio l’aver dato loro l’opportunità concreta di essere protagonisti. Si è costruita fiducia. Lo si è fatto con la prossimità, la sobrietà, la coerenza.

Oltre a presentare iniziative positive di cittadinanza attiva, il convegno ha offerto anche spazi di riflessione sul più largo mondo del volontariato, quello delle piccole associazioni. Sulla base di una recente ricerca a livello nazionale, Giorgio Marcello ha osservato come in realtà si stia evidenziando, nelle attività del volontariato, una crescente debolezza della dimensione politica: la maggior parte dei gruppi tendono a identificarsi totalmente con le attività in cui sono impegnati, prestando scarsa attenzione ai contesti. Prevalgono interventi centrati sui bisogni piuttosto che sulle persone. Anche la gratuità non è più un criterio regolativo condiviso. C’è scarsa attenzione alla scarsità di coesione sociale e alle povertà emergenti. C’è poco interesse a fare rete a livello orizzontale ed è scarsa la percezione dei bisogni formativi. Sono carenti, insomma, la riflessione e la ricerca sulle cause dei percorsi di esclusione sociale. Una testimonianza sull’importanza, ma anche sulle difficoltà, di avviare percorsi di formazione sociale e di consapevolezza politica l’ha offerta Lella D’Angelo, di Paideia, l’associazione di Salerno che molto ha contribuito alla buona riuscita del convegno. E Maria Paola Tavazza, nella relazione del suo gruppo di lavoro, ha declinato la via per un volontariato che voglia e sappia costruire comunità e non solo effettuare un specifico servizio.

E’ stato Peppino Cotturri a tirare le fila del convegno, riprendendo i vari spunti emersi dalle relazioni e dai gruppi di lavoro. Cotturri ha premesso che davvero ci sono forti nessi tra le tre “c” di c3dem: la Costituzione repubblicana ha aperto un processo di partecipazione e di cittadinanza; il concilio Vaticano II ha consentito ai cattolici di uscire dalla contrapposizione nei confronti delle forze politiche di sinistra, liberando le energie vitali del Paese, a cominciare dal movimento operaio. Cotturri si è richiamato a Luciano Tavazza e al suo discorso del ’74 sui mali di Roma (che era in cartellina): la città si costruisce insieme, superando l’idea che solo alcuni possono capire e guidare. È un’altra idea di politica che emerge: una politica fatta da tutti, e non solo per tutti. Ha ricordato, su questo piano, anche mons. Nervo, la nascita della Caritas e il suo spirito di fedeltà alla Costituzione e alla democrazia. E ha ricordato il ruolo cruciale del cattolicesimo democratico. Cotturri ha poi richiamato brevemente la nascita dell’espressione “cittadinanza attiva”, che risale al’inizio degli anni ’90, e la revisione della Costituzione operata nel 2001 inserendo nell’artico 118 un comma in cui si dice che le istituzioni debbono favorire la cittadinanza attiva. Cittadinanza attiva, dice Cotturri, è fare politiche pubbliche dal basso, senza bandiere identitarie, e senza neppure il bisogno di manifestazioni di piazza. Cotturri si è ritrovato in sintonia con il riferimento di Rocco D’Ambrosio a Mounier e al suo invito a organizzare le prossimità in comunità. Come anche al suo avvertimento che si tratta di un percorso che non può che essere fatto lentamente, passo dopo passo, perché si tratta di far maturare sentimenti, idee, nuove regole. Le difficoltà da superare sono tante (come aveva avvertito Lella D’Angelo). I soggetti di cittadinanza attiva, operando in questa prospettiva, sono dunque portatori di un diverso modo di intendere e di fare politica. Ormai, afferma Cotturri, c’è un’altra politica in campo. Però, qui, gli interrogativi che nascono sono tanti. È lo stesso Cotturri a chiedersi: siamo capaci di influenzare la decisione politica? E aggiunge: cosa dobbiamo fare, farci partito noi? No, risponde; piuttosto si tratta di obbligare i partiti a cambiare. Fare richieste ai partiti? E a quale? No, meglio è radicarsi tra la gente, ascoltare “i piccoli” e leggere la realtà con i loro occhi, come ha raccontato suor Lucia Sacchetti. Ma, alla fine, però, (come ha suggerito qualcuno nei gruppi) ci ritroviamo dentro a un labirinto di esperienze e percorsi da cui non si vede una via di uscita? No, dice Cotturri, un filo c’è nelle tante esperienze. Però bisogna ora cominciare a dire di sé in positivo: non più definirsi “no profit” o “terzo settore”; è tempo di percepirsi come un sistema politico diverso in via di costruzione, fatto di cittadini attivi che, in varie forme, fanno politiche che i governi non fanno; e di trovare una voce con la quale parlare insieme.

A Cotturri non piace l’espressione “riforma della politica” e dunque neanche l’espressione usata nel titolo del convegno (“rinnovamento della politica”). Insiste sulla necessità di usare parole nuove e chiare. Cittadinanza attiva è portatrice di una “politica di tutti”, una politica non oligarchica. Cotturri legge l’articolo 49 della Costituzione (quello che dice “Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale”) in un modo progressivo, estensivo e più articolato. Dice che l’articolo 49 non è scritto per i partiti, perché tutti hanno diritto di concorrere alla politica nazionale; e la forma partito non è l’unico modo di farlo. Secondo lo studioso, la formulazione dell’articolo 49, nello spirito stesso della Costituzione, dovrebbe essere riscritto (o interpretato) più o meno così: “Tutti i cittadini hanno diritto di concorrere a determinare la politica nazionale, attraverso la libera associazione in partiti, attraverso i referendum, attraverso proposte di legge di iniziativa popolare, e attraverso loro iniziative autonome di cittadinanza attiva che realizzino interessi generali …”. Si deve fare una battaglia, ha concluso Cotturri, per dire chiaramente che la politica non è appannaggio solo dei partiti, e per affermare, come invitava a fare Lelio Basso, che “il principe siamo noi”.

Lo scenario indicato da Cotturri, da lui proposto sia nelle conclusioni sia in uno dei gruppi di lavoro, ha suscitato naturalmente un certo dibattito. E’ uno scenario che indica alle esperienze di cittadinanza attiva, diffuse in modo molecolare nel Paese, una prospettiva tout court politica, una soggettività tout court politica. Qualcuno, soprattutto (ma non solo) “i democristiani” come li ha chiamati con bonaria ironia il gesuita padre Ladiana, ha lamentato che nel convegno si prendessero così nettamente le distanze dai partiti, ritenuti una forma ormai usurata di fare politica (Cotturri stesso è sembrato dire che, di per sé, fanno una politica di parte, alla quale è preferibile opporre la “politica di tutti” portata avanti dai soggetti di cittadinanza attiva). Qualcuno ha fatto notare – e personalmente io sono tra questi – che, ad esempio, le belle esperienze della regione Puglia riferite da Piero D’Argento sono state possibili grazie a decisioni “dall’alto”, prese dai nuovi politici approdati alla presidenza e alla giunta della Regione nel 2005, e anche grazie ai fermenti suscitati già prima dai sindaci eletti direttamente dal popolo nei primi anni ’90; e che dunque non sarebbe vano interrogarsi sulla opportunità di far emergere, dalle esperienze dal basso, una nuova classe dirigente che ridia credibilità ai partiti e alla politica-politica, cioè al sistema della rappresentanza. Anche Giovanni Serra, vicepresidente del MoVI, che ha riferito il lavoro di uno dei gruppi, ha dato conto dei numerosi interrogativi in questo senso emersi nella discussione. Ci si è chiesti che impatto reale riescano ad avere le organizzazioni della società civile sulla “politica dei politici”, e se la società civile riesca oppure no ad elaborare una cultura politica. E si è convenuto che c’è una crisi di pensiero politico che attraversa tutti: i cittadini come le organizzazioni della società civile, come i politici e i partiti. Serra ha parlato di possibili “patti” tra società civile e politica, e di possibili auto-candidature da parte di membri delle realtà di cittadinanza attiva ad entrare nelle istituzioni (ha anche proposto una ricerca delle esperienze che ci sono state sin qui). Ha infine osservato come la riflessione comune svolta nel convegno tra associazioni solidaristiche (quelle di cittadinanza attiva) e associazioni di cultura politica (quelle di c3dem) sia stata una esperienza positiva (“nuova e preziosa” ha detto), che va continuata e che certo richiede tempo e la maturazione di un linguaggio comune.

Un convegno positivo, dunque, che ha colto un’esigenza reale: quella di una maggiore riflessione politica dentro le iniziative della società civile e del mondo della cittadinanza attiva. E che, in pari tempo, ha verificato anche la necessità di tenere legata la riflessione politica alle dinamiche reali presenti nella società, a partire dai luoghi di emarginazione e di esclusione sociale e dall’ascolto dei più “piccoli” e di chi con loro cammina insieme giorno dopo giorno. Un convegno “originale” (come lo ha definito Franco Bagnarol), che ha rivelato quanto necessaria sia, nel Sud, una classe dirigente che favorisca finalmente il protagonismo sociale e culturale delle persone, e dei giovani soprattutto, e come le esperienze di cittadinanza attiva siano davvero la strada maestra di un nuovo approccio alla politica. Un approccio che passa per le iniziative di amministrazione condivisa dei beni comuni (secondo i percorsi individuati dal nuovo articolo 118 della Costituzione e dalle proposte elaborate da Gregorio Arena) e che ha però anche molteplici altre possibilità di sviluppo, come hanno mostrato i contributi di Piero D’Argento sul risveglio giovanile in Puglia (i “Bollenti spiriti”) e di Gaetano Giunta sul distretto sociale condiviso a cui ha dato vita la Fondazione di comunità di Messina. Un convegno che ha mostrato insofferenza per la politica decisionista, anche se di decisioni c’è bisogno, e che ha visto in questa insofferenza il principale messaggio di attualità politica da mandare al governo in carica: politica (buona) è ascolto e partecipazione, sempre; e non è mai arroganza.

 

Giampiero Forcesi

 

 

 

5 Comments

  1. Bellissima e rapida sintesi. Congratulazioni!

    Aggiungerei soltanto il positivo contributo di Marco Bentivogli (segretario generale della Fim Cisl) disponibile a instaurare un dialogo tra il sindacato e le esperienze di volontariato e di economia civile illustrate durante il convegno.

    Mi hanno positivamente sorpreso le diverse citazioni di Emmanuel Mounier, che non sentivo da molto tempo.

    Salvatore

  2. Grazie davvero per il convegno e per questa ottima ricostruzione degli interventi, che insieme ai video ci consente di far conoscere anche ad altri le analisi e le prospettive emerse nel convegno.

  3. Ottima esposizione di lavori così ricchi di idee e stimoli. Grazie agli organizzatori e grazie a Giampiero Forcesi

  4. Ringrazio anch’io per la completa, esauriente e sintetica relazione, che mi ha permesso di cogliere i frutti del convegno anche senza aver potuto partecipare.

  5. Mi aggiungo ai commenti che sono già stati espressi per esprimere anch’io un vivissimo apprezzamento e ringraziamento a Giampiero per la sintesi assai fedele e intelligente del convegno di Paestum; e per ringraziare Lui, Vittorio e tutti quelli che hanno contribuito a progettare e realizzare l’incontro che io vedo davvero come un segno di speranza e di orientamento per il servizio che i cattolici democratici possono svolgere per il futuro del nostro Paese. angelo b.

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