Interroghiamoci a fondo sui fatti di Colonia

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Gli eventi di Colonia nella notte di Capodanno sono un caso da non trascurare. Curiosamente, nella società dell’informazione, pare di dover dire che nemmeno a freddo, a distanza di giorni, sappiamo precisamente cosa sia successo. Una lunga inchiesta dell’autorevole settimanale «Der Spiegel» elenca dubbi e incertezze, cita testimonianze diverse e approda a sostenere che l’unica cosa certa è che la polizia era impreparata e non è riuscita a gestire il problema. Comunque, sono successe cose molto brutte: molestie sessuali spinte a molte donne da parte di molti (quanti? Pare che il migliaio inizialmente citato sia sovradimensionato) giovani maschi ubriachi, prevalentemente nordafricani, collegate a furti e maltrattamenti. Si parla di due casi di stupro. Non sono stati identificati molti colpevoli, anche se la voce che ci fossero molti profughi appena accolti in Germania non è confermata. Il settimanale tedesco tende a sostenere che i fatti («in parte frutto del caso, in parte esagerati») vadano ascritti soprattutto all’azione di alcune gang esperte in furti di borsette e cellulari distraendo l’obiettivo con evoluzione e danze, amplificate molte volte dal clima di esagerazione del festeggiamento collettivo.

Naturalmente tutto ciò ha scatenato una serie di reazioni isteriche contro la politica di accoglienza della cancelliera Merkel, riproducendo stereotipi – cito da blog riportati sempre dal settimanale di Amburgo – sul fatto che «secondo il Corano le bionde tedesche sono prede di cui è lecito abusare a piacimento o che si possono schiavizzare». Non è mancato l’inevitabile riferimento al complotto di un qualche potentato nascosto che avrebbe ordinato «l’immigrazione islamica di massa in Europa». Il tutto rafforzato con le polemiche contro una stampa che appositamente non parlerebbe dei fatti negativi riguardante l’immigrazione. Manna per gli xenofobi e i destrorsi di ogni tipo, insomma. Poco vale citare le testimonianza di giovani immigrati sconvolti che hanno preso le distanze dagli aggressori, o ricordare che a margine dell’Oktoberfest di Monaco non sono rarissimi i casi di molestie sessuali verso le donne collegate all’ubriachezza da parte di maschi autoctoni. Il clima è sempre meno predisposto alla serietà e alla criticità dell’informazione e della cultura.

Alcune riflessioni si possono però, e forse si devono, tentare. La prima è che ben venga da parte di ambienti della destra più sguaiata una nuova considerazione dei diritti e dell’integrità del corpo delle donne. Una cultura maschilista che spesso è portata a considerare le violenze frutto di provocazioni e a vittimizzare le donne, blandendo piuttosto i colpevoli, forse può fare qualche passo avanti in occasione di vicende come queste? O forse si tratta di mera strumentalità? Confidiamo di no. Dire chiaro e forte che l’oppressione e la violenza contro le donne sono crimini contro l’umanità è necessario per tutti. Sul sessismo non sono affatto solo i magrebini o i mussulmani a doversi fare un approfondito esame di coscienza, ma anche le società europee nel loro complesso, affatto immuni da linguaggi, comportamenti e mentalità inaccettabili in proposito.

La seconda è che l’integrazione delle diversità deve avvenire su un terreno di condivisione di alcuni valori comuni. Non è «imperialismo dei diritti umani» chiedere a tutti di allinearsi su un caposaldo «costituzionale» che preveda con chiarezza il rispetto della dignità delle persone nella loro diversità sessuale. Sarà naturalmente compito della coscienza comune e del dialogo definire con sempre maggior comprensione i contenuti di questo spazio umano e civile su cui non ci deve essere ambiguità (non è detto che una visione universale sia rigidamente codificata una volta per tutte), ma è importante che questo processo si sviluppi con chiarezza. Una visione del multiculturalismo come semplice accostamento di comunità diverse, in cui il rispetto della diversità implichi la tolleranza per mentalità umanamente inaccettabili è da respingere con decisione.

La terza è che chiaramente l’integrazione non è un processo spontaneo e assicurato a buon prezzo. Presuppone uno sforzo educativo di lungo periodo, una capacità di dialogo e di comprensione che va costruita e pazientemente strutturata, coinvolgendo le persone nella loro concretezza e partendo dalle loro storie e esperienze di vita. L’idea che basti aprire le frontiere senza curare poi la conoscenza e la condivisione tra i gruppi delle nuove società multietniche è destinata di per sé a creare mostri. Ma su questo occorre investire energie, creare occasioni, aprire cantieri di dialogo, non affidarsi semplicemente alla spontaneità dei processi. L’integrazione deve riposare sulla disponibilità di ciascuno a sviluppare i presupposti umani dell’incontro. Non sull’indifferenza e sulla ghettizzazione del diverso, che sono esattamente gli ingredienti che poi scatenano disagi e reazioni, che possono giungere fino a gesti inaccettabili.

Guido Formigoni

 

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