C’è di che avvilirsi

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Che esempio danno all’opinione pubblica, alla gente, ai giovani i partiti che hanno negato la fiducia a Draghi? Era chiaro quale avrebbe dovuto essere il loro ruolo, una volta accettato di far parte di un governo di unità nazionale in una stagione tanto difficile della vita nazionale. Invece …

 

 

C’è di che avvilirsi. Tanto. Che esempio danno all’opinione pubblica, alla gente, ai giovani i partiti che hanno negato la fiducia a Draghi?

Il presidente Mattarella, che per la sua serietà e dedizione ha un grande consenso popolare, aveva con assoluta chiarezza, un anno e mezzo fa, detto al parlamento e a tutti gli italiani quale era la sua proposta per uscire da una crisi politica, in piena pandemia, che pareva senza sbocco: dar vita a un governo di unità nazionale, mettendovi a capo una personalità esterna al mondo politico e di massima competenza e prestigio, con l’impegno prioritario di affrontare la pandemia e l’implementazione del Piano nazionale di ripresa e resilienza.

I partiti che hanno accettato questa proposta, tutti meno Fratelli d’Italia, avevano chiaro quale doveva essere il percorso. Un percorso, certo, non facile, ma chiaro nella sostanza: mettere da parte i progetti politici che caratterizzavano l’agenda di ciascun partito, impegnarsi a trovare la migliore convergenza possibile su quelle riforme che erano parte inscindibile del Pnrr, finanziato dall’Unione europea, e dedicare i due anni di tempo che mancavano alla fine della legislatura a mettere a fuoco la propria identità politica, il proprio legame con i cittadini e con il territorio, cioè prepararsi alla competizione politica che avrebbero dovuto affrontare alla fine della legislatura.

Che questo fosse il senso di un governo di unità nazionale credo fosse evidente a tutti. Non difficile da capire. E Draghi ha avuto il merito di avere chiarissimo questo percorso e di rivolgersi al parlamento, ai partiti e alla popolazione con parole chiare e concrete, spiegando via via il realizzarsi dell’agenda di governo.

I partiti, però, non hanno mantenuto l’impegno promesso. E’ presto apparso chiaro che il loro obiettivo primo era di rivolgersi ai propri elettori per dire quanto dei loro obiettivi di partito erano riusciti a mettere dentro ai provvedimenti del governo. Non si percepiva affatto che lo sforzo fosse quello di trovare un punto di sintesi, il più alto possibile, portando ciascuno il proprio apporto, con riferimento, certo, alle diverse opzioni politiche e anche ideologiche di ciascuno. Questo sacrificio intelligente, questa prova di responsabilità nazionale non c’è stata. Solo da parte dei singoli ministri si è visto un maggiore spirito di squadra, la comprensione del compito che si aveva di fronte.

Certo, un partito si è distinto per una migliore capacità di comprendere il proprio ruolo: il Partito democratico (ma credo che avrebbe fatto meglio a non insistere in questa fase politica per far passare la pur attesa e necessaria legge sulla cittadinanza e quella più discutibile sulla cannabis); e, a seguire, Articolo Uno e i piccoli partiti di centro. Non gli altri: né Forza Italia né tanto meno la Lega e I 5 Stelle.

Ha contribuito a questa crescente incomprensione del proprio ruolo nella prospettiva dell’unità nazionale il dibattito che si è andato sviluppando soprattutto in Tv e sui social. Dibattiti quasi sempre basati sullo schema della competizione, dell’uno contro l’altro, con il rito dei sondaggi settimanali per vedere chi saliva nei consensi e chi scendeva. Ma che cosa significava salire nei sondaggi in un tempo politico di unità nazionale? Era evidente che veniva premiato (di uno 0,2 o 0, per cento) non già chi dava alla soluzione di un problema o alla formulazione di un provvedimento legislativo il contributo migliore, chi prospettava la mediazione più efficace; ma piuttosto – inevitabilmente – chi aveva sgomitato di più, chi si era impuntato con più determinazione e chiasso, chi aveva saputo portare in modo più fragoroso l’acqua al proprio mulino. E dunque:  a che serviva fare un sondaggio a settimana? Solo a guastare il clima di coesione che era necessario mantenere.

E’ in questo senso che ritengo che si è data al Paese una pessima immagine della politica. Quella solidarietà che nel Paese si era andata creando e diffondendo nel tempo della pandemia, e che avrebbe potuto essere alimentata dai partiti per affrontare i tanti impegni che il Pnrr immetteva nella vita italiana, territorio per territorio, ambito per ambito (istruzione, formazione, sanità, trasporti, ambiente, etc.), è stata ignorata, e al suo posto si sono riproposte contrapposizioni sterili.

L’atteggiamento di gran lunga più deprecabile è stato quello che ha caratterizzato il Movimento 5 Stelle. Perché qui non c’è stata la difesa intransigente, comunque impropria in questa fase, di posizioni tradizionali di partito (come è capitato per Forza Italia e Lega sulle tasse, il catasto ed altro), ma la costante ambiguità delle proprie posizioni, spacciate per la difesa dei più deboli, per il pacifismo, per l’ecologismo, quando ciascuna di queste bandiere era sollevata in modo demagogico, strumentale, al servizio di un potente risentimento verso il premier Draghi, risentimento del quale il giornale di riferimento, Il Fatto Quotidiano, ha fatto da brodo di coltura, giorno per giorno, spargendo veleno e irrisione sul governo e sulla persona di Draghi, con una totale irresponsabilità.

Lascia sbalorditi che il M5S, e allo stesso modo Lega a Forza Italia, per ottenere qualche ulteriore cedimento da Draghi sui tassisti o i balneari o il termovalorizzatore o un paletto invece che un altro al reddito di cittadinanza o al superbonus, abbiano potuto lasciare l’Italia senza governo, mandando a casa un premier che in pochi mesi aveva sollevato il prestigio (e il Pil) dell’Italia in Europa e poteva continuare a dare al Paese, in mesi cruciali, un apporto di straordinaria competenza e autorevolezza nel disegnare la legge di stabilità, nel completare un primo livello di realizzazioni del Pnrr, nel guidare in Europa le politiche per l’autosufficienza energetica, per il rinnovo delle politiche finanziarie, e nel sostenere con fermezza fermo e trasparenza l’Ucraina nella sua coraggiosa opposizione all’invasione russa.

Erano in molti, e da tempo, ad avere dubbi sulla fecondità politica di un ‘campo largo’ in cui era privilegiata, da parte del Pd, l’alleanza con i 5 Stelle. Ora c’è da chiedersi se il comportamento del M5S e del suo leader nelle ultime settimane, fino alla non fiducia al governo Draghi in Senato il 20 luglio, non debba essere considerata la pietra tombale di tale alleanza.

 

Giampiero Forcesi

3 Comments

  1. Ora occorre un “nuovo Ulivo”, con tutte le formazioni riformiste, responsabili, ambientaliste ed europeiste, che si contrapponga al centrodestra di Meloni e Salvini, del quale ormai Forza Italia è parte integrante.
    Il Conte di queste settimane non riesco a vederlo in questo perimetro, gli ex 5 stelle attuali o futuri forse sì.

  2. Condivido queste prime analisi di Giampiero, così come la necessità di prefigurare un “nuovo Ulivo”. La battaglia contro la destra deve essere chiara ed essenziale: il “centro” aggiunto alla “destra” è puramente propagandistico e occorre smascherarlo. Una cosa sono le “formazioni civiche” alleate alla destra e diffuse nel voto amministrativo, un’altra è la battaglia politica nazionale dove la destra esprime in maniera chiara la sua vocazione estremista e revanscista.

  3. Dopo il discorso di Draghi al Senato mi sono commossa. Un discorso alto e di grande responsabilità. L’hanno fatto cadere, purtroppo, gli esponenti di quel degrado culturale che, anno dopo anno, sta mortificando il nostro paese. Mi sono meravigliata che Conte sia stato un professore universitario e, dunque, un educatore, un formatore. La gente che non ha avuto tanti mezzi per istruirsi, per viaggiare, ha desiderio di crescere, di capire di più le complessità di questo nostro mondo globalizzato, ma come fa se i politici, al posto di aiutarli, li usano per i loro tornaconti, come ben s’è visto, ancora una volta, dopo il discorso di Draghi?

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