Riflettendo sul futuro possibile Partito democratico

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Il Pd deve riformarsi sul piano culturale e acquisire gli elementi di fondo di una visione post-moderna, fare i conti con la società digitale e le tensioni individualiste e orientarsi verso la rappresentanza plurale delle singolarità che oggi costituiscono la società, definendo i tratti di un neo-personalismo

 

 

Dopo anni di vagabondaggio politico e sono approdato al Pd ritenendola l’unica forza in grado di competere con  le forze di destra. Il Pd non soddisfa appieno la mia visione politica, ma non ci sono oggi alternative in grado  di  instaurare un rapporto di forza con queste destre.

Le elezioni e il sistema elettorale hanno consegnato l’Italia alla coalizione delle destre ma non il Paese.

Debbo però riscontrare che il risultato elettorale è stato profondamente traumatico per il Partito Democratico. Nel tentativo di definire le cause della sconfitta e della apertura  del congresso si è introdotta una sorta di accanimento terapeutico nei confronti del Pd che rischia di indebolirlo più che la presenza di un governo di destra. Si scatenata una ricerca di capri espiatori e l’emergere di vecchi risentimenti che stanno a mio parere inibendo i necessari ragionamenti più pacati. Ho l’impressione che lo sguardo si stia volgendo all’indietro più che in avanti. Sicuramente le sconfitte vanno analizzate con estremo rigore tenendo conto dei percorsi compiuti, degli errori e delle sfide che si devono affrontare.

Da montanaro penso che per salire  una montagna come quella che il Pd ha da scalare prima di partecipare alle prossime elezioni serve un buon allenamento capace di  rafforzare le gambe e il cuore. Le sue gambe sono gli iscritti e i militanti da rimotivare e ampliare, il cuore le idee, le proposte e quel tanto di utopia che rappresenta un ingrediente indispensabile  per  dare il tono ideale  a una proposta politica dei tempi lunghi. L’utopia è stata ridotta a sogno mentre rimane una visione di lungo termine della partita che si intende giocare.

Nella realtà di oggi che appare raffreddata dall’avanzare della ideologia tecnocratica, serve introdurre una proposta e una visione calda in grado di  emozionare il cuore degli italiani per navigare nel periodo turbolento in cui stiamo vivendo e che vivremo nei prossimi anni.

Ci si deve rendere conto che abbiamo un partito che manca di identità e che non si è dato una proposta sui tempi lunghi e che rimane nonostante l’avvio della stagione congressuale impigliato nella visione puramente  elettoralistica dei tempi brevi. Non è un caso che si continui a discutere di alleanze quando invece servono prioritariamente nuove risorse intellettuali e politiche.

Sono stupito che di fronte al configurarsi di una  crisi esistenziale si tenda  a dare  priorità alle candidature a segretario e al puro contrasto congiunturale con il Governo Meloni  di cui non si è analizzata la novità che questo rappresenta nello scenario politico e sociale italiano. Si è preferito ricorrere a raffigurazioni superate e non cogliere che la pratica di settant’anni di democrazia ha ucciso le nostalgie verso i modelli totalitari e che ci consegna una nuova dialettica nella quale si deve essere in grado di giocare la partita da centroavanti e non in difesa.

Senza una nuova narrazione politica e senza una strategia il Pd è oggetto degli interessi parziali e personali delle vecchie leaderships che avrebbero oggi, prima del congresso, dovere di mettersi da parte essendo statei sconfitte dall’elettorato. Perché se il Pd ha preso pochi voti la responsabilità è di chi in questi anni lo ha guidato. Per questo ho apprezzato le dimissioni di Enrico Letta, ma non può essere l’unico che si assume la responsabilità .

Si è ora aperta una scaramuccia congressuale che manca di respiro, di entusiasmo e che rischia di spingere  il partito ancora più fuori rotta

I cattolici democratici devono smettere di svolgere un ruolo subalterno, quando invece  hanno un ruolo da giocare nella ricostruzione del Pd, non si tratta di fare una corrente ma di immettere una linea di tendenza e di proposta capace di proporre innovazione e di recuperare il voto dei molti cattolici che, delusi e non catturati dalle destre, hanno scelto di astenersi.

Ho apprezzato e mi sono ritrovato nell’intervento e nell’incontro dei Popolari organizzato da Castagnetti. Ma quello che mi lascia perplesso è che questo incontro non abbia generato una raccolta di quanto emerso e non abbia spinto verso la proposta di una specifica candidatura congressuale, estremamente necessaria non per conquistare la Segreteria ma per segnare il Pd come partito plurale.

C’è una responsabilità culturale prima che politica di una nostra presenza di cattolici democratici  ed è nel renderci chiaramente visibili e stimolanti, soprattutto oggi che le forze della destra governativa  stanno  strumentalizzando i segni e il linguaggio religioso in un modo che offende la nostra sensibilità di fede e la nostra laicità positiva .

Inoltre, sono turbato nel vedere emergere una sorta di nostalgia verso una sinistra che non è mai esistita e che rischia di rendere comunque il tono e il linguaggio della comunicazione congressuale  prevedibile e poco brillante.

Sono convinto che al paese serve la presenza di una sinistra riformatrice in grado di porsi come alternativa alle destre conservatrici e di delineare i contenuti del nuovo riformismo progressista, solidale e federalista. In questa riformulazione della Sinistra il pensiero dei cattolici democratici è indispensabile, anche perché in questi ultimi anni è stato arricchito dal magistero di Benedetto XVI e di Papa Francesco.

L’Italia ha bisogno di una sinistra che abbandoni i miti del passato e che cerchi con forza e intelligenza di delineare le forme e i mezzi della nuova emancipazione sociale degli strati più deboli della società, ma che sia anche in grado di disegnare le nuove forme di un patriottismo non nazionalista, europeista, con uno sguardo attento ai paesi poveri, alla questione della guerra e del pacifismo. Nello stesso tempo capace di valorizzare le culture che attraverso l’immigrazione s’impiantano nel nostro paese e che lo stanno già rendendo multiculturale, multireligioso e sempre più ibrido; e che ne costituiscono la nuova struttura unitaria che il patriottismo sovranista minerebbe.

Si deve tenere presente che ad  accentuare  le difficoltà del riformismo progressista, le destre – più agili e maggiormente concentrate sul mantenimento del potere – stanno assumendo molti dei titoli dei temi riformisti per poi piegarli alle loro istanze come: il salario minimo, la rivoluzione industriale verde, l’abbassamento delle tasse, le politiche famigliari, la politica demografica , la sanità, la scuola. Attraverso questa operazione mistificante e trasformista  già stanno penetrando nelle aree tradizionalmente rappresentate , socialmente e politicamente, dal Pd. Sono temi  che esigono declinazioni concrete e non ci si può accontentare nel dire che il Pd le farebbe meglio.

Le metamorfosi del lavoro e della produzione

Dobbiamo anche tenere presente che il Pd condivide la situazione di crisi con il sindacalismo che nasce dalle trasformazioni del lavoro. Siamo davanti a una metamorfosi che incide in profondità sull’organizzazione del lavoro, della produzione, del commercio e degli scambi ad ogni livello e che modifica di conseguenza la stratificazione sociale che ha reso obsolete e inutilizzabili la definizione di classe e quella di interclassismo, facendo avanzare la dimensione individuale e generando una trasformazione sociale di natura antropologico-esistenziale che ha muta i valori e l’etica che sottostavano all’attività lavorativa e a quella imprenditoriale.

Osservando e facendo tesoro della mia esperienza di sindacalista, i cambiamenti che si registrano nella struttura dell’economia e negli strumenti-mezzi del produrre e del commerciare, mi sono reso conto  che la vittoria elettorale delle destre sia stata prodotta anche dal venire avanti, con il mutarsi della globalizzazione, di un modello di crescita che, oltre agli afflussi finanziari e al passaggio dalla società industriale a quella digitale, che ha modificato le forme del lavoro e della comunicazione, ha determinato una nuova cultura neoliberale, che ha fornito la base di un intrecciarsi d’interessi tra settore finanziario, commercial-consumistico e generazioni anziane.

Dobbiamo prendere atto che il tentativo fatto dal Pd di adattarsi al modello di crescita neoliberale per poterlo civilizzare piuttosto che per modificarlo ha fallito e ha portato alla sconfitta, ma ha anche aperto le porte al populismo.

A mio modesto parere il Pd deve riformarsi sul piano culturale e acquisire gli elementi di fondo di una visione post-moderna, fare i conti con la società digitale e le tensioni individualiste e orientarsi verso la rappresentanza plurale delle singolarità che oggi costituiscono la società, definendo i tratti di un neo-personalismo.

Solo dopo avere deciso cosa è e cosa vuole rappresentare può tendere verso alleanze riformiste e possibilmente progressiste, senza abbandonare i suoi valori costitutivi .

La via d’uscita dalla crisi sta nel suo nome: Democratico, ovvero nell’essere un partito plurale in cui convivono le diverse espressioni culturali progressiste accumunate dalla ricerca e dalla costruzione del bene comune.

 

Savino Pezzotta

 

Per chi volesse conoscere, almeno un po’, la ricca esperienza di vita, sindacale, politica e associativa, dell’autore, si consiglia uno sguardo su wikipedia (nota redazionale)

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  1. Condivido pienamente i contenuti dell’intervento e, in particolare, la necessità di avere un Nome che ne sia l’espressione operante nel quadro politico interno ed esterno al partito; ringrazio vivamente per il contributo nella speranza che serva finalmente ad uscire dalla attuale “stagnazione”
    roberto cazzola

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