Lettera aperta di un vecchio prodiano a Matteo Renzi

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Pubblichiamo la versione integrale della lettera, uscita oggi 4 gennaio, con alcuni tagli, sull’Unità

 
Caro Renzi,
ci conosciamo poco. Come ho dichiarato più volte, non sono riuscito a vincere talune riserve critiche su di te e sulla tua proposta politica. Preciso: apprezzo due elementi non di poco conto e cioè la tua visione di una democrazia nitidamente competitiva e dell’alternanza (il bipolarismo) e la battaglia per un ricambio del gruppo dirigente del PD da te condotta con coraggio e determinazione. E con successo, che tu hai conseguito a differenza di noi, ulivisti della prima ora, che pure ce lo eravamo proposto, al fine di fare dell’Ulivo prima e del PD poi un soggetto politico nuovo a tutti gli effetti, anziché la sopravvivenza pattizia dei suoi antenati e del loro personale politico. Per converso, non mi sono chiare le tue politiche (al plurale), anche perché non sono mancate oscillazioni. Tre soli esempi: dal tuo originario allineamento alla tesi corriva del nostro eccesso di antiberlusconismo (a mio avviso, una sciocchezza, ancorché assurta a luogo comune) al tuo antagonismo recente contro gli epigoni del berlusconismo e contro la natura consociativa del governo Letta; dall’apprezzamento per Marchionne all’asse con Landini; dalle tesi di Ichino alla nomina di Taddei al dipartimento economico del PD. Spero tu me lo conceda: il Renzi delle primarie recenti si è un po’ riposizionato rispetto a quello della contesa con Bersani.
Ciò detto, non ho pregiudizi. Mi auguro sinceramente che tu possa riuscire a imprimere al PD la scossa della quale esso aveva ed ha oggettivamente bisogno. Con questo spirito costruttivo, mi permetto di sottoporti qualche preoccupazione.
La prima verte sul celebre concetto di rottamazione. Tu stesso ne hai riconosciuto i limiti e gli equivoci che la parola può ingenerare. In particolare, penso che si debba marcare la discontinuità politica e non solo quella generazionale. Sul punto, hai ragione a contestare a Letta la pretesa di associarsi alla nuova stagione in nome di una presunta rivoluzione generazionale. Enrico, persona dabbene e attrezzata, non può tuttavia rappresentare se stesso come estraneo ai venti anni di vita politica alle nostre spalle, che peraltro non sono tutti da buttare. Lo stesso governo che egli presiede ha ancora una base politica disomogenea, non è passato attraverso una competizione elettorale ed è infarcito di berlusconiani (e di nostri…) non pentiti dei propri trascorsi. Detto questo, suggerirei di non esagerare nel processo al passato e nell’esame del sangue ai suoi protagonisti. Tra i tuoi sostenitori non mancano ex che si segnalarono per il loro contributo al declino dell’Ulivo di Prodi. Tu stesso facevi riferimento a Rutelli e tuttora gli ex rutelliani figurano tra i tuoi sostenitori. Come dimenticare che proprio Rutelli, da ex vicepremier di Romano, fu il più attivo nell’azione di logoramento del governo Prodi e persino nell’affossamento dell’Ulivo? Domandare a Prodi e Parisi per credere. Oppure basterebbe leggere il puntuale diario di bordo del secondo governo Prodi messo in carta da Rodolfo Brancoli nel suo libro dall’eloquente titolo  “suicidio della sinistra”. Vi si documenta che il Prodi 2 fu corroso assai più dal centro che non dal fronte di sinistra, sin dal primo giorno. Questo per dire che non tutto il passato è da buttare, che non tutti i suoi protagonisti portano le stesse responsabilità e che la discontinuità ha da essere politica e non meramente generazionale.
Seconda preoccupazione: l’interpretazione della tua investitura e il mantra dei tre milioni di elettori che l’hanno “consacrata”. Giusto rivendicarla. Essa non ha espresso solo una leadership ma anche un indirizzo politico. Ma appunto un indirizzo. Non tutti e singoli i contenuti programmatici. Lo noto perché i tuoi collaboratori un po’ abusano nel sacralizzare le proprie opinioni invocando a tempo e fuori tempo i tre milioni di elettori. Spero tu convenga su due punti: 1) pur nel quadro di quell’indirizzo politico (al netto delle menzionate oscillazioni), si richiede una più puntuale elaborazione programmatica nei singoli settori, dalla quale non possono essere totalmente escluse le sedi istituzionali del partito, altrimenti tanto varrebbe chiuderle sino alle prossime primarie di partito; 2) sarebbe utile che i membri della tua segreteria non si limitassero a rivendicare l’investitura tua, né che assumessero l’abitudine di prendere ogni giorno parola per andare sui giornali atteggiandosi a leader che dettano la linea politica, ma mostrassero piuttosto una qualche attitudine alla elaborazione pertinente e competente sulla materia loro affidata, non disdegnando il compito di persuadere e convincere, di fare maturare un certo consenso dentro il partito sulle loro proposte. Sono sicuro che la tua rivendicata concezione forte della leadership non si spinge al punto da misconoscere il partito e i suoi organi, come luoghi non solo di decisione ma anche di elaborazione e discussione.
Terza preoccupazione: appunto la cerchia dei tuoi collaboratori. Giustamente deve correre tra voi un rapporto di fiducia e di affinità politica. Non di tipo feticistico. Non ci infliggere, ti prego, lo spettacolo avvilente di quelli che intonano la canzoncina “meno male che Matteo c’è”. Mi sono fatto l’idea che il primo test della tua intelligenza e caratura politica si misurerà sulla tua propensione a circondarti non di yes men ma di uomini e donne liberi e pensanti. Gente tipo Graziano Del Rio, che non è giovanissimo, ma è persona saggia e quadrata. E perché no? Coinvolgendo soggetti  che magari non ti hanno risparmiato critiche. Come fece Craxi con Amato, se il paragone non ti procura imbarazzo.
Infine, la principale delle mie preoccupazioni. La tua segreteria ha alimentato grandi attese dentro e fuori del partito. È una risorsa preziosa. Ripristinare fiducia nella politica è il primo e più impegnativo compito oggi. Ma c’è un problema di misura e di responsabilità. Non vi sono soluzioni facili a problemi che hanno dimensioni e complessità da far tremare le vene e i polsi. Stante la portata della crisi materiale e il dilagante sentimento antipolitico, non ci possiamo permettere di alimentare attese destinate a produrre ulteriori, brucianti delusioni. Anche su questo si misura la qualità della politica e delle leadership non effimere.
Franco Monaco

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