I gruppi ecclesiali critici nella stagione di papa Francesco

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Lo scorso dicembre si è tenuto il XXXV Incontro nazionale delle Comunità di base. In quell’occasione, nella tavola rotonda conclusiva, Franco Ferrari, della Rete dei Viandanti, disse che nel contesto italiano i gruppi che si caratterizzavano per un comune approccio critico-propositivo nei confronti della comunità ecclesiale, a livello nazionale, erano cinque: l’area delle Comunità di base (una trentina i gruppi aderenti), il movimento Noi Siamo Chiesa (o meglio la piccola sezione italiana del movimento internazionale We Are Church per la riforma della Chiesa cattolica), le realtà riunitesi alcuni anni fa sotto il nome “Il vangelo che abbiamo ricevuto”, i gruppi e le riviste riunitisi più di recente sotto il nome “Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri”, e la Rete dei Viandanti (associazione sorta nel 2010, che conta più di 25 gruppi, espressione di un laicato cristiano adulto che, come si legge nel sito, vuole operare in modo responsabile sui temi ecclesiali). Vittorio Bellavite, il portavoce di Noia Siamo Chiesa, aveva poi detto che andava considerata anche un’altra pur piccola realtà, quella della Rete c3dem, benché essa fosse orientata più sul versante politico. Nello scorcio finale dell’incontro si era discusso se non fosse opportuno che tutte queste realtà si dessero una forma di coordinamento stabile. A favore di questa idea si espressero Franco Barbero, Marcello Vigli, e lo stesso Vittorio Bellavite. Franco Ferrari si mostrò perplesso. Secondo lui gli elementi di diversità tra questi soggetti erano più forti di quanto non si potesse pensare, e dunque era preferibile lasciare che ciascuno accendesse il suo fuoco, magari assumendo iniziative in comune di tanto in tanto. Aveva parlato di possibili convergenze a geometria variabile, ma si era detto contrario alla creazione di una rappresentanza unica. Il nodo cruciale su cui vi era di fatto una differenziazione era il rapporto da tenere con la chiesa nella sua dimensione istituzionale. Autonomia fino a che punto?

A poca distanza dall’incontro nazionale delle Cdb una delle realtà evocate da Franco Ferrari si è sciolta. Il gruppo promotore de “Il vangelo che abbiamo ricevuto”, sorto nel 2009 con un radicamento particolare nell’humus bolognese e fiorentino (la scuola di Alberigo, Melloni, Ruggieri, Paolo Giannoni), dopo sei convegni nazionali, l’ultimo dei quali a Napoli nel marzo del 2014, ha ritenuto che con l’avvento di papa Francesco l’iniziativa avviata aveva in un certo senso trovato risposta e, dunque, non c’era più ragione di proseguire (anche l’attività del sito statusecclesiae.net si è conclusa). Lo scorso 9 maggio si è, invece, tenuto a Roma il quarto incontro nazionale dei gruppi e delle riviste riuniti sotto il nome “Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri”, un raggruppamento  sorto tre anni fa con l’intento di commemorare e attualizzare il concilio Vaticano II a 50 anni dal suo svolgimento. Si trattava dell’ultimo incontro previsto, incentrato sulla Gaudium et spes. Si poteva temere una partecipazione scarsa, perché al primo incontro, nel 2012, vi erano state 700 persone, ma nel secondo le presenze si erano dimezzate, e di nuovo si erano dimezzate nel terzo (circa 160 persone). Si temeva un’ulteriore diminuzione, che invece non c’è stata: erano presenti poco meno di 200 persone. “Chiesa di tutti, Chiesa dei poveri” raccoglie (almeno sulla carta) una cinquantina di gruppi ecclesiali e di associazioni e una ventina di riviste: vi si ritrovano parecchie comunità di base, Noi Siamo Chiesa, larga parte dei gruppi aderenti alla rete dei Viandanti, e riviste come Il Tetto, Adista, Koinonia e molte altre. Tra i promotori Raniero La Valle, Giovanni Cereti, Serena Noceti, Vittorio Bellavite, Enrico Peyretti, Franco Ferrari, Fabrizio Truini. Anche in questa sede si è discusso se, dopo l’avvento di Francesco, andare avanti oppure no. E se tentare o meno di mettere in piedi un coordinamento stabile, allargato anche alle altre realtà più o meno simili presenti in Italia.

Dopo le due relazioni in programma, quella di La Valle (“Dopo cinquant’anni Francesco, il Concilio ritrovato”) e quella di Giovanni Cereti (“Il prossimo Sinodo: problemi aperti”), e dopo alcuni interventi tematici (tra cui don Renato Sacco, direttore di Pax Christi, Alex Zanotelli, Enrico Peyretti, Felice Scalia, Lilia Sebastiani, Luigi Sandri, il gruppo donne della Comunità di S. Paolo), il tema del che fare è venuto al pettine. Il primo a toccarlo è stato don Franco Barbero, fondatore e animatore della comunità di base di Pinerolo, da sempre impegnato anche a sostegno della piena accettazione nella chiesa degli omosessuali e del loro vissuto. Barbero ha sostenuto la necessità di far nascere una “struttura sinodale permanente”, che si sentisse parte integrante della Chiesa, e che potesse dare espressione corale alle proposte che sorgono nella base del popolo di Dio. Il tema è stato ripreso dal domenicano padre Alberto Simoni, direttore di Koinonia, rivista mensile edita a Pistoia, che ha argomentato così: oggi c’è un conformismo dilagante, e il dissenso è rimasto fuori gioco; papa Francesco è piuttosto isolato e l’apertura della Chiesa al mondo appare piena di contraddizioni; c’è il rischio che l’Anno santo resti in ottica tradizionale, e persino che il 50° del Concilio sia vissuto in un’ottica riduttiva di giubileo sacrale; dunque, non basta che vi sia, come c’è, un pluralismo di fatto, è necessario “riattivare una dialettica” che oggi è assente, non solo tra base e vertice ma anche nella stessa base; e per farlo ci vogliono “nuovi soggetti”. Di qui l’invito a fare in modo che la diversità praticata da molti cristiani nei decenni del post-concilio acquisisca un suo spessore sia teologico che pratico. Padre Simoni non ha detto, però, come arrivarci. Ci ha provato Raniero La Valle, a conclusione del convegno.  Ha esordito chiedendo: “Che cosa ne facciamo di questa nostra cosa?”.“E’ una cosa viva”, ha aggiunto, e sarebbe un peccato metterle fine. Certo, oggi c’è la novità di Francesco. E oggi la Chiesa si è rimessa in cammino. A differenza del gruppo “Il vangelo che abbiamo ricevuto”, che ne aveva tratto la conclusione che non aveva più ragion d’essere continuare a esercitare un ruolo di pungolo,  La Valle ha osservato che non sarebbe giusto, proprio ora, “tirarsi indietro”. Ha dunque ripreso la proposta di Franco Barbero, che ha declinato così: dare vita a un “sinodo di discepoli permanente” , dove discepoli sono tutti, tanto i preti quanto i laici e i religiosi. Non è andato oltre, sul punto, La Valle. Del resto la questione non ha avuto tempo di essere dibattuta dai presenti, rimasti ormai solo poche decine. Ma, a convegno finito, una riunione del gruppo promotore sembra aver scelto di proseguire il cammino (come ha poi riferito uno dei componenti del gruppo, Enrico Peyretti, in un comunicato; anche se padre Simoni subito dopo il convegno, ha reso nota una sua valutazione problematica sulla “rilevanza propria e specifica”, a suo dire troppo debole, dei credenti e dei gruppi presenti ).

A mio avviso resta vero quanto Franco Ferrari aveva osservato lo scorso dicembre all’Incontro nazionale delle comunità di base. Nonostante l’impegno sincero di tanti, la realtà di quello che è stato, nei decenni scorsi il dissenso cattolico e poi il generarsi di diverse esperienze, di diversi gruppi, a sostegno di un fare chiesa in forma più partecipata e più responsabile, anche al di fuori dalle strutture tradizionali, sebbene abbia creato spazi di libertà di parola e di critica non rinunciabili, non ha però portato a maturazione un soggetto che possa parlare a nome di queste stesse esperienze e comunità e gruppi. Né, certo, nel loro insieme, i vescovi in Italia hanno favorito incontri, dialoghi, momenti di ascolto con queste realtà. Tutt’altro. Il cammino da compiere, da parte di questi gruppi, per portare un contributo davvero incisivo alla vita della chiesa, resta dunque difficile e non univoco. Ma non ha torto chi dice che la presenza di papa Francesco invita tutti a fare di più, e non di meno. Ad avere più fiducia. A cercare con più tenacia il dialogo con i vescovi. Senza saccenteria, ma con più vigore di prima. Ci sono due buone ragioni per prendere più coraggio e cercare il confronto nella comunità ecclesiale: perché Francesco ha buttato giù alcuni muri e aperto molti passaggi cruciali, e questo consente nuovi spazi di dialogo e progetti di riforma a cui sarebbe importante prendere parte, e perché Francesco rischia di trovare opposizioni così forti che possono alla fine far rialzare quei muri, e questo impegna ognuno a fare quanto è possibile perché ciò non accada.

 

Giampiero Forcesi

N.B. Il sito www.chiesadituttichiesadeipoveri.it pubblicherà le relazioni di la Valle e di Cereti.

 

 

 

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