CATTOLICI IN POLITICA: TRE SFIDE

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Franco Monaco, in una lettera all’Avvenire, si chiede quali siano le sfide più impegnative “per una coscienza politica di matrice cattolica pur pluralisticamente declinata” e ne indica tre: affermazione del primato della politica, tensione all’uguaglianza, cura del legame familiare e comunitario di fronte alla “retorica dei diritti civili, in realtà concepiti come meri individuali” (“Giuste direzioni oltre gli individualismi”). La lettera prende spunto da due interventi pubblicati dal quotidiano nei giorni scorsi in merito all’impegno politico dei cattolici: Luca Diotallevi, “Cattolici rilevanti in politica con Sturzo e De Gasperi” (a cui Monaco replica criticamente); e Giorgio Campanini, “Senza il ‘salto’ rischio di irrilevanza”. Sull’Eco di Bergamo è intervenuto giorni fa anche Giovanni Cominelli (“I cattolici nella società e nella politica. Una presenza assente”).

 

 

 

 

3 Comments

  1. MI piace la sollecitazione di Monaco a cercare, pur nel rispetto dell’ormai consolidato pluralismo di scelte concrete di schieramento e di strumenti, una convergenza su qualche punto qualificante per chi si rifà ad un magistero e ad una storia importante.
    L’affermazione del primato della politica sull’economia, penso debba portare a realizzare (sia in Europa che a livello più generale) intese politiche fra movimenti, associazioni, partiti che indichino proposte per contrastare un modo di concepire la globalizzazione come affossamento dei diritti dei popoli, degli Stati, e dei lavoratori e bloccare accordi economico-commerciali internazionali che aggirino le Costituzioni e le libertà dei Parlamenti nazionali.
    La sensibilità sociale e per l’uguaglianza significa che quanti si rifanno al cattolicesimo democratico dovrebbero ripensare al welfare non per tagliare e ridurre le tutele, ma garantire un aumento per chi ne è escluso. I costi non possono che essere coperti con una giustizia fiscale (compresa l’intensificazione della lotta all’evasione) e con un forte impulso agli investimenti pubblici che aiutino l’economia e l’occupazione a ripartire.
    La cura della famiglia non può che essere una serie di politiche family friendly (vedere molte proposte della 47^ Settimana Sociale), e un approccio ai diritti civili meno individualista, come dice lo stesso Monaco.
    Mi permetto di aggiungere tra i punti i seguenti:
    1- dopo il Referendum sarebbe importante che i “cattolici democratici” si sedessero per ripensare insieme pochi punti di modifica istituzionale / elettorale che riavvicini le posizioni. Si tratta di ripensare la visione di organizzazione dello Stato che tenga conto della necessità di governo ma anche di rappresentanza, con un occhio alla necessità/volontà di RICOSTRUIRE l’Unione Europea Federale.
    2- (anche come conseguenza al punto precedente) il rispetto e la valorizzazione alle autonomie (quelle sociali, e quelle locali). Se è fondamentale andare ad una maggiore aggregazione dei Comuni -che deve essere libera ed incentivata, non imposta- non da meno vanno pensate forme di rappresentanza di area vasta elettive che, tenendo conto del dibattito sulle Province e di una per me necessaria diminuzione/accorpamento della Regioni, riaggreghi territori di interesse storico e socio-economico quali erano (ad esempio in Piemonte) i Comprensori: questi dovrebbero essere le nuove Provincie.
    Comunque l’importante è continuare a parlarsi e confrontarsi per cercare soluzioni più condivise e unitarie

  2. Tutti e quattro i contributi presentano spunti interessanti e meritevoli di approfondimento. Monaco arriva anche a focalizzare l’attenzione su tre piste specifiche ma anche negli altri articoli si intravedono aspetti meritevoli di attenta considerazione. La domanda che io mi pongo però è questa: per quali ragioni un raggruppamento ancora così consistente come i cattolici praticanti (8 milioni, secondo Cominelli; forse un po’ meno ma comunque ancora significativo), che ha avuto in modo più o meno ampio una certa formazione, che riceve comunque sollecitazioni dalla liturgia domenicale e che evidentemente ha una fede cristiana (altrimenti non parteciperebbe alla Messa), presenta un’attenzione così tiepida a percorsi di partecipazione civile, di approfondimento, di confronto sui temi di attualità, mentre tutto sommato attività di volontariato pratiche trovano ancora una certa presenza (anche se non sempre costante nel tempo)? Come mai di fronte alle difficoltà della politica e anche all’appello all’impegno degli ultimi Pontefici, le realtà associative, ecclesiali e non, che tentano di coinvolgere le persone in un “lavoro culturale” appena più profondo che non la chiacchierata episodica o la trasmissione televisiva, faticano a trovare nuovi aderenti e ad interessare e coinvolgere le persone? Certamente ci sono tanti limiti nelle proposte: limiti di linguaggio, di strumenti, di concretezza degli obiettivi, magari persino di organizzazione pratica e oraria. E poi c’è il rischio dell’intellettualismo, dell’astrattismo, della retorica, del parlarsi addosso; della difficoltà a trovare una risposta, dopo tante discussioni, alla fatidica domanda: “bene, e adesso”? Ma è sufficiente tutto questo per spiegare l’ampio disinteresse verso tutto ciò che richiede uno sforzo di presa di coscienza e di comprensione e – aggiungo – di allenamento al confronto e all’argomentazione (e persino di educazione al conflitto gestito), senza i quali molto difficilmente scatta il meccanismo che porta a fare scelte di impegno più determinate nell’ambito civile e sociale (il che non significa entrare direttamente nell’agone politico, ma nemmeno lo esclude)? Mi verrebbe da dire: dov’è che abbiamo sbagliato? E forse qualcosa ci sarebbe da capire, su una certa “demonizzazione” della politica che si respira in tanti nostri ambienti e, diciamolo pure, su una sorta di “fastidio” strisciante per tutto ciò che appare “intellettualistico” (con buona pace del Progetto culturale, iniziativa che forse avrebbe potuto dare esiti diversi se impostata in modo diverso…); con l’eccezione (associazioni a parte) di alcune parrocchie più sensibili e delle Scuole di formazione politico/sociale diocesane, sulle quali – al di là della maggiore o minore positività delle singole esperienze, spesso molto diverse fra loro – si potrebbe fare qualche riflessione. Ma chiedersi solo se ci sia stato qualche errore da parte della “classe dirigente ecclesiale” (chierica e laica) o se siano gli 8 milioni di cattolici praticanti a doversi fare un esame di coscienza o entrambe le cose, potrebbe forse aiutarci ma non sarebbe sufficiente. La domanda più urgente è: cosa possiamo fare, qui ed ora?

  3. ciao,
    ho letto con interesse i commenti e l’articolo del prof. Cominelli.
    Condivido la necessità di sondare la qualità delle nostre omelie ecclesiali…
    Invio un contributo scritto per tuttavia, il sito culturale curato dal prof. Savagnone di Palermo.
    http://www.tuttavia.eu/2017/01/15/processi-sinodali-a-nuova-tagaste-noi-facciamo-cosi/

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