Le proprietà taumaturgiche dell’analisi costi benefici

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Il ministro Toninelli, quando deve dare risposte sullo stato di avanzamento delle grandi opere, risponde sistematicamente che la scelta se fare o non fare un’opera è demandata all’analisi costi benefici.

Il ministro Toninelli crede nelle proprietà taumaturgiche dell’analisi costi benefici e apparentemente sembra affidarsi ad un paradigma scientifico, al contrario di tanti suoi colleghi di partito su altre materie. In realtà il suo ragionamento è viziato da un errore da penna rossa che non può essere sottaciuto.

L’analisi costi benefici é stata sviluppata come uno strumento per l’analisi oggettiva della capacità di politiche e progetti pubblici di generare benessere sociale, basandosi sulla misurazione dell’importanza relativa di diversi criteri e utilizzando come metro monetario i prezzi di mercato.

L’analisi costi benefici non ha nessuna proprietà taumaturgica nella risoluzione dei problemi.  Semplicemente perché non è un teorema scientifico, ma è semplicemente una tecnica. Questo significa che su un problema si possono dare, con l’analisi costi benefici, diverse soluzioni, tutte legittime, che scaturiscono da presupposti diversi.

Solo un profano può ragionare nei seguenti termini: Dobbiamo decidere se fare un’opera pubblica? Allora facciamo un’analisi costi benefici; se i benefici superano costi l’opera si realizza, se i benefici sono inferiori ai costi l’opera non si realizza.

Nella realtà i problemi sono estremamente complessi; i benefici e i costi sociali sono di difficile quantificazione; e la valutazione non è un processo asettico, ma deve necessariamente incorporare le priorità del decisore.

Il decisore politico è un elemento fondamentale di questo complesso processo decisionale, nel senso che il processo di selezione e di valutazione degli investimenti non è neutrale rispetto al decisore, anzi le convinzioni e le inclinazioni “politiche” del decisore, congiunte alle situazioni contingenti, possono determinare una scelta piuttosto che un’altra.

L’analisi costi benefici in quanto tecnica non è, quindi, assoluta, ma storicamente contingente. In altre parole non può prescindere da una scelta politica che sta a monte. Il peso da dare agli obiettivi confliggenti è una responsabilità del politico che risponde agli elettori di questa sua scelta “ideologica”. L’analisi costi benefici non esenta il politico dalla responsabilità di decidere. Piuttosto l’analisi costi benefici permette di dare delle dimensioni quantitative alle sue scelte.

Quando si dà un prezzo a grandezze immateriali si utilizzano dei parametri di stima che influenzano il risultato finale. Il risultato di un’analisi costi benefici di un’opera pubblica dipende dai criteri utilizzati per la valutazione dei costi e dei benefici non monetari che necessariamente appartengono alla categoria dei giudizi di valore.

L’analisi costi benefici di un’opera pubblica non è la conclusione di un processo, ma l’inizio di una discussione che parte dalla condivisione dei criteri di valutazione utilizzati. Non si può assegnare unicamente al risultato di un’analisi costi benefici la scelta se fare o non fare un’opera pubblica. Il policy maker deve decidere con il supporto dei dati, ma sottoponendo agli elettori i suoi criteri di scelta.

Venendo a un caso specifico, non si potrà dire di sì o di no alla TAV sulla base di un’analisi costi benefici. Il sì o il no alla TAV dovrà essere responsabilità del politico che prenderà una decisione sulla base di quello che è il suo sistema di valori.

Il risultato di un’analisi costi benefici con obiettivi confliggenti può essere, infatti, diametralmente opposto in relazione al diverso peso degli obiettivi. E dare un peso agli obiettivi è compito del decision maker e non del valutatore.

In ultima analisi il ministro delle infrastrutture e tutto il governo non potranno trincerarsi dietro un’analisi costi benefici per giustificare la loro scelta come se fosse una scelta obbligata, ma dovranno indicare quali sono le loro priorità, che, attraverso l’analisi costi benefici, saranno tradotte in grandezze monetarie. Le istanze dei No-Tav e dei Si-Tav sono entrambe vere e reali, sia pur diametralmente opposte. Questo significa obiettivi confliggenti. Il governo, quando decide, sposa una posizione, nel senso che dà un peso maggiore ad una istanza rispetto che ad un’altra e usa l’analisi costi benefici per valutare il non irrealismo di quello scenario.

Gli obiettivi confliggenti nel caso della TAV sono da un lato la sostenibilità ambientale, dall’altro la capacità dell’infrastruttura di diventare un volano di sviluppo per l’economia locale.

Ritengo, personalmente, che un parametro di discrimine molto importante in questo processo decisionale sia l’utilità dell’infrastruttura. Dobbiamo realizzare tutte le infrastrutture che servono e solo quelle che servono! Era sicuramente inutile e non fattibile il ponte sullo Stretto; è inutile e inefficiente il Mose; sarebbe stata sicuramente utile dal punto di vista trasportistico la Gronda a Genova; non ha senso dare permessi per la ricerca di idrocarburi in Italia perché il ritorno sociale è sicuramente negativo. Ma il caso della TAV è diverso. Non si può affermare che quest’opera sia inutile. Si sarebbe forse potuto ragionare sul progetto, per renderlo meno impattante e più sostenibile, ma ormai è tardi per farlo. L’opera ha una sua utilità e una sua logica, anche se presenta numerosi profili di rischio di impatti ambientali negativi.

La scelta di quale obiettivo privilegiare è, quindi, unicamente politica.

 

Domenico Marino

Prof. di Politica Economica – Un. Mediterranea di Reggio Calabria

3 Comments

  1. Ben detto ed argomentato. Speriamo che lo capisca anche il ministro. Ma mi sorge un dubbio. Non è che l’utilizzo dello strumento nasconda un alibi per dare una parvenza ( pseudo) tecnico- scientifica a decisioni già precostituite.

  2. Gli esercizi intellettuali che prescindono dal merito specifico delle questioni sono una delle cose che portano, in questo paese, a giustificare tutto e il contrario di tutto.
    A Parma, città in cui vivo e sono nato, un “fine” intellettuale appartenente ad una associazione ambientalista, arrivò a sostenere la legittimità di una Metropolitana con un tunnel di sei chilometri sotto il centro storico. L’assunto da cui partiva ( a prescindere da ogni valutazione dei dati che “sostenevano” la legittimità del progetto) era che “ un’associazione ambientalista non può opporsi ,per sua stessa natura, ad un progetto di trasporto pubblico.
    Quindi anche se i dati presentati al CIPE erano del tutto irrealistici e gonfiati ( 15 milioni di utenti all’anno in una città con 200 mila abitanti in cui in 15 minuti di bici si passa da una periferia all’altra!)si doveva comunque evitare di prendere una posizione critica!
    Ma priorità in Italia non era la messa in sicurezza del territorio ?

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