Lavoro, dimensione sociale, “danza della cura” nella pandemia

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“Dopo questo,

io effonderò il mio spirito

sopra ogni uomo

e diverranno profeti i vostri figli e le vostre figlie;

i vostri anziani faranno sogni,

i vostri giovani avranno visioni.”

(Gioele 3,1)

 

“(…) Ma, invece, mi ostino a credere che guadagna la vita solo chi accetta di perderla, che il seme che muore, apparentemente sconfitto, risorge e dà frutto”.

(Paolo Giuntella[1])

 

“Ricordo un’etica democratica, discussa e partecipata, non imposta.

Si discuteva a lungo, infatti, sui comportamenti personali e collettivi.

Tutto questo serve ancora oggi: e noi “vecchi”, se forse possiamo dare una mano ai giovani di oggi, lo possiamo fare anche proprio ricordando, “testimoniando” questo tipo di episodi e di valori”.

(Pippo Morelli[2], Milano, febbraio 1993, seminario nazionale Fim Cisl. Conclusione dell’ultimo intervento pubblico, inedito)

 

Parole e numeri nella crisi

“Resilienza, tutela, ascolto, farsi sentire impreparati, coraggio, non essere all’altezza, farsi sentire distanti, ricostruire, innovazione, partecipazione, ascolto, necessità di aiuto, conciliazione, flessibilità, contatto umano…”

Sono solo alcune delle parole scaturite da una ricerca d’aula, realizzata, ovviamente a distanza, nell’ambito di un progetto formativo e organizzativo promosso nell’ambito di un corso di formazione sul tema del lavoro e della sua rappresentanza nell’“era Covid 19”. E’ un mix di paure e speranze, di lento ri-orientamento nello tsunami che ci ha colpito nel pieno di un’emergenza progressivamente globalizzatasi e che, da sanitaria, è divenuta quasi subito, sociale, economica, lavorativa, antropologica.

Cosa ci aspetta?

Al di là degli slogan ottimistici di inizio pandemia, non tutto andrà bene. Le conseguenze economiche che si stanno progressivamente palesando ci porteranno a sacrifici e difficoltà importanti. Il lavoro pagherà alti prezzi e non possiamo non elaborare e apprestarci a gestire questo dato di fatto e le complessità che ne deriveranno.

Il 29 aprie 2020 sono stati diffusi i dati dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro (Ilo) sugli effetti e l’impatto della pandemia sul mercato del lavoro. Si stima che, nel secondo trimestre del 2020, si perderanno a livello mondiale più di 305 milioni di posti di lavoro a tempo pieno[3].

Spostandoci dalla dimensione globale a quella continentale, una questione importante, rimasta eccessivamente sullo sfondo in questi tempi, è la necessità urgente di agire sulla costruzione progressiva di un mercato del lavoro europeo non solo più integrato, ma più giusto.

Si pensi, in giorni di pandemia e non solo, ai diritti e alle condizioni dei lavoratori frontalieri, migranti, distaccati, alla non rinviabile messa a punto di un sistema di “cassaintegrazione” europeo proposta dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen, alla revisione e ri-orientamento dell’utilizzo dei fondi strutturali e di coesione, alla graduale convergenza salariale e fiscale tra i paesi dell’Unione Europea. Un mercato del lavoro europeo più equo e sostenibile, senza dimenticare le catene di fornitura e del valore globali, sarà contemporaneamente, se seguiamo la sempre valida lezione di Ezio Tarantelli, un mercato del lavoro più efficiente.

Andiamo più in profondità.

Un tema che non può essere derubricato è quello dell’allargamento delle disuguaglianze nella crisi pandemica globale, ma anche nella specificità della situazione italiana. Disuguaglianze di genere, territoriali, settoriali, generazionali, educative, sanitarie, digitali.

Fermiamoci al mercato del lavoro nel nostro paese. A marzo 2020, come ha ricordato la prof.ssa Franca Alacevich in un’utile rubrica digitale messa in campo durante la pandemia dall’Università di Firenze (#chediloaunifi), in Italia si sono persi, rispetto al mese precedente e nonostante il blocco dei licenziamenti, 27.000 posti di lavoro (18.000 solo di donne). Nel secondo trimestre 2020 le cose peggioreranno di molto, soprattutto a causa degli oltre 400.000 contratti a termine in scadenza tra il mese di marzo e il mese di aprile. Saranno colpite, ancor di più nella c.d. “fase 2”, soprattutto le donne e, in particolare, le giovani donne.

Le ragioni sono evidenti: si pensi alla chiusura delle scuole e alla scarsità di risposte alternative per la cura e l’educazione dei figli, ai contratti tradizionalmente peggiori destinati al mercato del lavoro femminile (riflettiamo sulle differenze salariali che condizioneranno le famiglie con figli nella scelta di chi potrà riprendere il lavoro) e, non ultimo, all’aumento del lavoro di cura in tempi di pandemia e di “lockdown”, dovuto agli effetti indiretti del necessario distanziamento sociale.

Un approfondimento molto utile sulla gestione delle disuguaglianze per l’uscita dall’emergenza è stato proposto dal Forum Disuguaglianze Diversità, guidato da Fabrizio Barca. Il Forum ha redatto un focus sui diversi obiettivi e scenari attualmente in campo[4]: dal “riprendere la strada correggendo le imperfezioni”, all’”accellerare la dinamica autoritaria in atto prima della crisi”, fino ad una terza opzione che i sociologi e gli economisti della piattaforma hanno voluto denominare: “cambiare rotta per un futuro di emancipazione sociale”.

Affinché l’opzione della giustizia sociale (e ambientale) possa sfidare con successo le altre due, servono, secondo il Forum, tre requisiti: una visione del futuro che parli ai sentimenti; proposte operative con obiettivi verificabili; una mobilitazione organizzata.

 

Ripensare/ripensarsi e dare risposte

“L’operatore ai tempi del COVID-19 si sta rendendo conto che non sempre è essenziale e che forse ci siamo dati troppa importanza, ci siamo coperti di auto referenzialità perché facevamo tante assemblee e tanti incontri nelle fabbriche o partecipavamo a tanti convegni a cui intervenivamo con grandi paroloni…. 

A dire il vero mi rendo conto che siamo importanti perché non smettiamo di restare in ascolto, ciò che ci viene chiesto è solo esserci per far capire che nemmeno l’ultimo dei nostri iscritti in cima alla valle più remota ancora innevata è lasciato solo: anche quando non abbiamo risposte, pronte e preconfezionate.”  (Daniele Vedovati, operatore sindacale, Bergamo, 14 marzo 2020)

Quello del contrasto alla crescita delle disuguaglianze (si tenga conto anche del tema della disabilità, nelle sue varie declinazioni) è un argomento dirimente. Non possiamo nemmeno pensare di delegare esclusivamente all’esterno perché, se è vero che, a livello nazionale ed europeo, ci sono importanti iniziative e impegni istituzionali da portare a compimento, è necessario riflettere anche su interventi e progettualità diretti del protagonismo sociale e associativo.

E’ decisivo mettersi in discussione e in relazione con ciò che sta avvenendo in un’ottica solidale, inclusiva, partecipante, progettuale, non autocentrata. Dobbiamo porci in ascolto, ancora più di prima, delle vecchie e delle nuove fragilità, prestare attenzione e delineare interventi anche all’interno delle relazioni di lavoro, della contrattazione, della bilateralità, verso coloro che sono stati e saranno maggiormente colpiti da questa crisi.

Per quel che riguarda più strettamente le relazioni di lavoro, la contrattazione può e deve fare la propria parte con grande coraggio, riscoprendo progetti collettivi e condivisi di solidarietà, a partire, ad esempio, dalla destinazione di parte dei premi di risultato o altre iniziative solidali, a interventi di sostegno e ricostruzione per i settori e per le aree territoriali e, perché no, per le generazioni e le tipologie di lavoratrici e lavoratori maggiormente colpiti.

Ma non possiamo fermarci qui. Un’ulteriore riflessione non può non essere dedicata a come è cambiato e cambierà il ruolo e l’operato di chi sta “in mezzo”, come operatore sociale o della rappresentanza in tempi di distanziamento. A volte semplicemente velocizzando processi già in atto, altre, invece, facendoci intravedere, inventare, perseguire, strade e percorsi completamente nuovi.

In un quaderno speciale della Fondazione Ezio Tarantelli,[5] è stata pubblicata l’esperienza di un rappresentante dei lavoratori ai tempi dell’emergenza COVID-19. E’ la testimonianza di Daniele Vedovati, sindacalista della Femca Cisl, organizzazione dei lavoratori del settore energia, chimica e tessile, attivo a Bergamo, una delle zone più colpite dalla pandemia che ha sconvolto il nostro paese. Il suo si è rivelato un racconto nel quale una storia ha intrecciato tante altre storie. Persone, lavoratori, sindacalisti, operatori sociali di fronte a nuove fragilità e a nuove consapevolezze; di fronte alla paura e ai dilemmi, ma anche a nuove modalità di provare a dare risposte e di continuare a essere presenti, prossimi. Un racconto di un operatore sindacale che ha testimoniato, non solo a parole, umiltà e ordinaria straordinarietà, anche attraverso il senso del limite. Del proprio limite. Il contatto in presenza, l’incontro, il fare comunità con le persone è insito nell’azione individuale e collettiva della rappresentanza e dell’agire democratico.

Dobbiamo continuare ad alimentarlo, intessendo legami rinsaldati, molteplici, non caotici, ma anche non eccessivamente burocratici e gerarchici.

Siamo di fronte, a mio parere, lo scrivo senza retorica, a una grande occasione di rinnovamento e di “conversione di sguardo” anche perché a cambiare saremo obbligati dalla drammaticità delle conseguenze economiche e sociali che ci aspettano. Non siamo nudi, non siamo soli. Ciò che occorre è ripescare con intelligenza dal passato, ricostruire, senza eccessi “museali”, la storia, rilanciare i valori costituenti, ma anche cogliere, invece, i segni dei tempi, ed essere “presenti al nostro tempo”.

 

Dal come al cosa produrre

“Il sindacato nasce e rinasce tutte le volte che, come i profeti biblici, dà voce a chi non ce l’ha, denuncia il povero “venduto per un paio di sandali” (cfr Amos 2,6), smaschera i potenti che calpestano i diritti dei lavoratori più fragili, difende la causa dello straniero, degli ultimi, degli “scarti.” (Papa Francesco al congresso nazionale Cisl, giugno 2017)

Proviamo a rileggere una relazione di Pippo Morelli, grande dirigente sindacale ed esponente di spicco del cattolicesimo sociale italiano, scomparso, dopo lunga malattia nel 2013, alla Federazione Regionale Cgil Cisl Uil dell’Emilia Romagna[6] di oltre quarant’anni fa.

Affermava Morelli: (…) “l’accentuarsi della crisi negli ultimi anni, il tumultuoso cambiamento dell’aspetto sociale (…), i problemi nuovi posti soprattutto dai ceti emergenti creano difficoltà per tutti i sindacati ed impongono a tutte le strutture (orizzontali e verticali) una necessità impellente di adeguamento e rinnovamento (…)   Il processo di decentramento produttivo non è stato solo un modo di reagire alla crisi, ma ha determinato una nuova realtà sociale – la “terza Italia” – con la fabbrica diffusa, con una intensa mobilità del lavoro, con un cambiamento della stratificazione sociale, con sempre più immigrati nei lavori pesanti, con il diffondersi di lavoro misto cioè di lavoratori che svolgono due o più attività, con esperienze sempre più ampie di giovani che rifiutano il lavoro di fabbrica e si adattano sistematicamente al lavoro precario o al part-time.   Con la famiglia come sede di attività produttiva oltre che come garanzia di un reddito anche per i figli diplomati o laureati disoccupati.

Questi fatti stanno modificando il concetto di lavoro dove il lavoro industriale non è più il fondamento della nostra società e dove il conflitto si sposta dalla fabbrica al livello sociale, non solo tra padrone e operai, ma tra apparati e le popolazioni (…)

Aggiungeva il sindacalista reggiano: “la gravità del problema Mezzogiorno (e degli squilibri territoriali) che le forze politiche non hanno saputo risolvere, ma rispetto al quale anche il sindacato non è andato al di là di enunciazioni, di proposte e di qualche manifestazione di solidarietà, impone oggi – con tutta la sua drammaticità – la scelta tra “sindacato degli occupati” e sindacato di tutti i lavoratori, disoccupati e sottoccupati compresi (…).

Sono riflessioni che appaiono pienamente in linea con l’omelia di Papa Francesco pronunciata presso la Casa Santa Marta il primo di maggio 2020 e nelle quali troviamo il solco del messaggio del pontefice al congresso della Cisl del 2017, ma destinata ai sindacalisti di tutto il mondo, da cui è tratta la citazione in apertura di questo paragrafo.

Nel giugno di tre anni fa, il Papa ricordava ai sindacalisti l’importanza di organizzazioni dei lavoratori che sapessero muoversi tra “profezia” e “innovazione”, con la capacità di guardare anche a chi sta fuori, ai confini della “città del lavoro”. Ha detto Papa Francesco, nel giorno della festa dei lavoratori e delle lavoratrici di quest’anno: “Il lavoro dà la dignità. Dignità tanto calpestata nella storia. Anche oggi ci sono tanti schiavi, schiavi del lavoro per sopravvivere: lavori forzati, mal pagati, con la dignità calpestata. Si toglie la dignità alle persone. Anche qui da noi succede con i lavoratori giornalieri con una retribuzione minima per tante ore lavorate, con la domestica che non viene pagata il giusto e non ha le sicurezze sociali e la pensione. Questo succede qui: è calpestare la dignità umana. Ogni ingiustizia che si fa al lavoratore è calpestare la dignità umana (..).”

In quello stesso giorno, rispettando le norme di sicurezza, nel centro storico di Firenze sono entrati in sciopero i “riders” di Deliveroo. Con la crisi e la chiusura dei negozi e dei ristoranti le richieste sono aumentate, ma la paga a consegna, 3,80 euro lordi circa, è diminuita. I lavoratori e le lavoratrici delle piattaforme digitali e della logistica sono stati centrali nell’emergenza Covid, dare loro voce e opportuna rappresentanza, costruire una relazione con chi utilizza il loro lavoro, con noi “consumatori”, insomma, è una delle sfide stringenti che abbiamo di fronte.

C’è un ulteriore punto, pronunciato nell’incontro della Federazione Unitaria Cgil Cisl Uil Emilia Romagna di oltre quarant’anni fa da Pippo Morelli che, in questo attuale frangente storico, appare opportuno ricordare. Affermava Morelli: “il crearsi di nuovi interessi e di nuovi bisogni, molti indotti dal consumismo, ma molti nati dalle trasformazioni sociali, sollecitati da gruppi emergenti o da esigenze diverse, comporta spesso un ritorno al privato, con tutte le conseguenze di diminuzione della partecipazione, di calo di consenso alle istituzioni, di partecipazione passiva alle stesse iniziative sindacali. Sarebbe un errore condannare moralisticamente tali fenomeni, valutandoli come una fuga rispetto ai precedenti impegni politici; e non basta parlare genericamente di nuove “qualità della vita”, ma occorre ricercare un nuovo equilibrio tra la sfera del lavoro, quella del provato e quella della partecipazione sociale.

In altri termini il classico interesse sindacale al come lavorare (peraltro non ancora risolto se si considerano le condizioni di lavoro nelle fabbriche, il ritorno al gerarchismo, l’inquinamento ambientale, ecc.) si deve spostare al cosa e per chi lavorare. (…)

Tornando all’oggi, la riflessione di Morelli può essere attualizzata concentrandoci sul tema dell’intreccio tra il “come produrre” e il “cosa produrre”: una questione centrale in quest’ultimo decennio e che lo sarà ancora di più in quello che è, solo da qualche mese, iniziato così complessamente. Una questione ricordata da chi, nella pandemia, ha giustamente riflettuto, senza alcuna ingenuità, sui tagli alla spesa sanitaria e, contemporaneamente, all’esplosione (con sempre meno controlli etici, nonostante la legislazione in vigore) della spesa militare.

Di fronte all’urgenza di ripensare il lavoro in un progetto complessivo di ecologia integrale e di una diversa economia, il territorio ri-assume, al di là di velleitari approcci nazionalistici, una rinnovata centralità senza ovviamente depotenziare l’azione sindacale sui luoghi di lavoro o, più in generale, l’azione sociale nel territorio. Pur essendo un aspetto tutto da verificare la pandemia globale potrebbe anche rimettere in discussione, almeno parzialmente, l’evoluzione e l’assetto delle catene globali del valore delineatesi ed evolutesi a partire dalla fine degli anni novanta del Novecento, in parallelo ai processi di digitalizzazione e robotizzazione.

Proprio la dimensione del ruolo dei territori, nell’ampio dibattito sugli assetti economici del nostro Paese in tempo di Covid 19, appare, però, assente o, al massimo, superficiale, denigratoria.

Ha ben scritto Giovanni Teneggi, reggiano come Pippo Morelli, che esistono due criticità diverse e decisive per la marginalizzazione dei territori al tempo della pandemia[7]. La fatica dell’esercizio territoriale, ammonisce Teneggi, è stata sostituita dal fascino del mero esercizio di strumenti digitali (ovviamente non negativi in sé) mentre l’approccio che può essere definito “soluzionista”, non ha permesso di cogliere, in questa emergenza, la necessità di soluzioni integrate nella governance e progressivamente sostenibili nella prospettiva.

La stessa pandemia non può essere considerata come un episodio a sé, ma come un concatenarsi di fattori scatenanti. E ciò vale anche in prospettiva futura. “Dove ci appare una catena di eventi, egli vede una sola catastrofe» scriveva profeticamente Walter Benjamin nel suo frammento filosofico dedicato all’Angelus Novus di Paul Klee. Era il 1921.

Sono lezioni utili e importantissime. Occorre, di fronte a queste sfide immani, immaginare percorsi fortemente ripensati, in alcuni casi spiazzanti. Percorsi non possono essere percorsi da soli, ma in “carovana”.

C’è, infine, un elemento importante e che ci dona speranza, vissuto da tutti e da tutte in queste settimane, un elemento che è stato evidenziato, con la consueta profondità, dal pedagogista Ivo Lizzola: ci stiamo accorgendo che la cura di noi stessi è cura d’altri e la cura d’altri è cura di noi stessi. Ha scritto Lizzola: “è una danza della cura quella di queste settimane, ed è meravigliosa. Una danza che non ci chiede di essere donne e uomini perfetti o buoni, non per forza innocenti o altruisti ma semplicemente umani, consapevoli dell’importanza delle relazioni[8].”

Mi avvio alla conclusione.

Viviamo un orizzonte di prospettiva, non privo di rischi ed incognite, ma anche di grandi potenzialità, quella che potremmo chiamare la “fase 3” della ricostruzione e del cambiamento. Anche del risveglio e del sogno. Parole vive, quelle di Paolo Giuntella, altra grande figura “educativa”, maestro prezioso a cui in tanti siamo debitori, che ho volutamente accostato, all’inizio di questo scritto, a quelle di Pippo Morelli e di un profeta biblico considerato minore: Gioele. Una citazione, quella di Gioele che ho “preso in prestito” da Ivo Lizzola, seguendo il filo del concetto di ribaltamento e “traboccamento” generazionale. Se sapremo farne tesoro, esse potranno riprendere voce, insieme ad altre del tutto inedite, accompagnando le visioni e le profezie concrete dei giovani e dei figli e i sogni “sorgivi” degli anziani e dei maestri.

L’epoca del post Covid 19 può realmente rappresentare una grande opportunità per un reinvestimento effettivo di pratiche e di saperi, per un’occasione di futuro desiderabile e consapevolmente co-generativo.

 

Francesco Lauria

(Pistoia, 22 maggio 2020)

 

[1] P. Giuntella, Il Margine Anno III n.1, gennaio 1983. Paolo Giuntella (1946-2008) è stato giornalista Rai, scrittore, seminatore di speranza, educatore anticonformista. Animatore della Lega Democratica e fondatore e Presidente della Rosa Bianca italiana. E’ scomparso il 22 maggio 2008.

[2] Pippo Morelli (1931-2013) è stato formatore, cooperatore internazionale, capo scout. Segretario nazionale della Fim Cisl, segretario generale della Cisl Emilia Romagna, direttore del Centro Nazionale Cisl di Firenze, figura di spicco anche nell’ambito ecclesiale e culturale. Per un breve profilo biografico di Pippo Morelli si rimanda a: http://www.nuovi-lavori.it/index.php/sindacato/81-una-persona-ponte e al video: “Pippo Morelli, sindacalista e formatore”, a cura dell’Fnp Emilia Romagna: https://www.youtube.com/watch?v=UOT6GGUlWDo .

[3] Si veda: ILO Monitor: COVID-19 and the world of work. Third edition:      https://www.ilo.org/wcmsp5/groups/public/—dgreports/—dcomm/documents/briefingnote/wcms_743146.pdf

[4] Forum Disuguaglianze Diversità: Durante e dopo la crisi per un mondo diverso. Perché, cosa, come, con chi.” https://www.forumdisuguaglianzediversita.org/wp-content/uploads/2020/05/ForumDD_Durante-e-dopo-la-crisi.-Per-un-mondo-diverso.x89907.pdf

[5] Sindacalisti, fragilità, coronavirus: una testimonianza dalla “periferia” bergamasca, Working Paper online speciale della Fondazione Ezio Tarantelli, scaricabile all’indirizzo:

https://www.fondazionetarantelli.it/wp-content/uploads/2020/03/WPspecialed2-.pdf

[6] Direttivo regionale unitario Federazione Cgil Cisl Uil Emilia Romagna, Bologna, 17 settembre 1979.

[7] G. Teneggi, L’opera e il tempo dei sistemi territoriali, Pandora Rivista, 2 maggio 2020 (www.pandorarivista.it).

[8]  “Passare dal conflitto alla danza della cura: la ricostruzione ricomincia da qui”, intervista a Ivo Lizzola, docente di Pedagogia sociale e della marginalità. L’intervista è comparsa sulla rivista online Vita del 29/03/2020.

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